Con l’uomo e il vescovo Carlo Maria
Martini, Dio ha lasciato un segno speciale della sua presenza e del suo
insegnamento non solo nella Chiesa, ma nell’umanità, intesa come realtà
aperta e diversificata.
Siamo grati a Dio e a lui.
Prima di tutto un uomo di fede profonda che si è nutrito costantemente
della Parola di Dio, favorito anche dal suo essere uno straordinario
studioso ed esegeta della Bibbia, della Parola dei Vangeli, ma
soprattutto dal suo saper intrecciarla con la storia, con le storie
della persone, le più diverse.
“Non puoi rendere Dio cattolico
– ha detto – perché Dio è al di là
dei limiti che noi stabiliamo. Il cuore di Dio è sempre ‘più vasto’ di
tutte le definizioni che gli uomini gli possono applicare”.
E il riferimento fondamentale a Gesù di Nazaret: “non solo una persona straordinariamente
umana che ha avvicinato gli uomini con domande profonde, ma la
vicinanza di Dio stesso a ciascuno di noi e alla nostra vita”.
Una fede così profonda non può che essere del tutto sincera: Martini ha
detto che ci sono state fasi della sua vita in cui non ha sentito di
essere credente, e che spesso ha avvertito dentro di sé, nel suo
intimo, dialogare e interrogarsi la parte credente e quella non
credente.
Questa profondità ha generato la sua indicazione continua alla Parola
profetica del Vangelo, a proporre la “scuola della Parola di Dio”,
caratterizzata dal silenzio e dalla riflessione, e partecipata da
migliaia di persone; e la “cattedra di non credenti” sulla quale le
persone che si ritengono tali sono state chiamate a comunicare, a
dialogare, a confrontarsi: ancora con straordinaria partecipazione.
Ha saputo unire il suo essere esegeta e pastore, uomo di contemplazione
e di presenza e azione per comunicare profondità e indicare
ulteriorità. Riservato, disponibile e presente, studioso e
intellettuale, elevato e umile di cuore; direttore dell’Istituto
Biblico, rettore dell’Università Gregoriana, Arcivescovo di Milano,
pastore e compagno di viaggio di fede, di inquietudini, di ricerca, di
fratellanza; indicatore di senso e di speranza. Si è sentito vescovo
educato dal popolo, perché sempre in mezzo, restandone guida,
proponendo costantemente il criterio dell’amore come misura di tutto,
di sé e degli altri, del proprio agire, della cultura, dell’etica,
della politica.
Per questo un vescovo che si è lasciato provocare dalle grandi
questioni della giustizia, della legalità e della politica, della pace
e dell’accoglienza; dell’etica, dell’inizio e del fine vita, della
famiglia, della sessualità; della condizione dei detenuti: proprio
perché queste grandi questioni riguardano la vita della persone, le
loro storie di amore e di tribolazione, di ricerca di senso e di
speranza.
La Chiesa del cardinale Martini è quella del Vangelo e del Vaticano II,
che si nutre alla Parola e all’Eucarestia, che non pretende di occupare
la società, ma che è lievito, animata da forza profetica, da umiltà e
mitezza, misericordia e perdono, memoria penitenziale; da sensibilità,
verità, amore; sempre coinvolta, ma libera dal potere, con una
connessione inscindibile con la coerenza e l’impegno morale.
C’è stato un tempo – ha detto – in cui aveva sognato una “Chiesa nella povertà e nell’umiltà, che
non dipende dalle potenze di questo mondo. Una Chiesa che concede
spazio alla gente, a chi pensa più in là. Una Chiesa che dà coraggio,
specialmente a che si sente piccolo o peccatore. Una Chiesa giovane”.
Negli ultimi anni – ha commentato - ”Non
ho più di questi sogni…ho deciso di pregare per la Chiesa”.
E nelle parole raccolte l’8 agosto scorso da padre George Sporschill e
Federica Radice dice: ”La Chiesa è
rimasta indietro di 200 anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura
invece che coraggio? Comunque la fede è il fondamento della Chiesa. La
fede, la fiducia, il coraggio”. E ha indicato tre strade: la
conversione; la Parola di Dio; i sacramenti come aiuto per il cammino
delle persone, nelle debolezze della vita”.
E ancora: “Io consiglio al papa e ai
vescovi di cercare 12 persone fuori dalle righe per i posti
direzionali. Uomini che siano vicini ai più poveri e che siano
circondati da giovani e che sperimentino cose nuove. Abbiamo bisogno
del confronto con gli uomini che ardono, in modo che lo Spirito possa
diffondersi dovunque”.
Dalla straordinaria profondità di Martini è venuta l’attenzione e il
dialogo con le altre fedi religiose, la sollecitudine ad un vero
ecumenismo; la partecipazione interlocutoria alla diversità delle
condizioni esistenziali: dal riconoscimento del “valore di un’amicizia
duratura e fedele tra due persone dello stesso sesso”; all’attenzione
all’amore fra persone come dono, come grazia; “la domanda se i
divorziati possono fare la Comunione dovrebbe essere capovolta, come
può la Chiesa arrivare in aiuto con la forza dei sacramenti a chi ha
situazioni familiari complesse?”.
L’attenzione dialogante riguardo al fine vita, a una morte “naturale”,
umana, senza l’invadenza della tecnologia: un terreno di confronto, in
cui ascoltare e apprendere.
I temi fondamentali nell’agenda della vita e della Chiesa: non essere
mai sorpresi dalle diversità; essere disposti a correre rischi; mettere
al centro la vita dei poveri; e la Chiesa come popolo di Dio, con la
richiesta di rivedere la condizione del prete e della donna, della
responsabilità di tutti con compiti diversi.
Il motto scelto da Martini come vescovo è stato: “Pro veritate adversa diligere: per amore
della verità, amare le circostanze sfavorevoli”. Così anche di
fronte alla verità della morte: “Senza
la morte non arriveremo mai a fare un atto di piena fiducia in Dio,
senza escludere, anzi accogliendo quell’oscurità che fa paura, perché
mentre le altre situazioni della vita possono avere altre uscite di
sicurezza, la morte non ne ha e chiede di affidarsi totalmente a Lui”.
E questo suo affidamento è da tutti percepibile per come ha vissuto e
per come è morto ed entrato nel Mistero della vita di Dio.