Lettera di Natale 2015
Vivere la misericordia
Scarica la lettera di
Natale 2015 (in pdf - 192kb)
Ci rivolgiamo a voi per condividere nell’accoglienza e nell’amicizia
reciproche esperienze, interrogativi, speranze, per cercare di
contribuire con parole e segni a un’umanità più umana e a una Chiesa
più evangelica. Condividiamo con tante persone la fede in Gesù di
Nazareth e con tutte le donne e gli uomini di buona volontà l’anelito e
la dedizione per un mondo di libertà, di giustizia e pace.
Un tempo particolare
Viviamo un tempo di particolare intensità e di cambiamenti straordinari
che in pochi decenni renderanno il nostro mondo profondamente diverso,
soprattutto per la presenza e la necessaria convivenza fra donne e
uomini provenienti da tutti i luoghi del Pianeta e per l’urgenza
drammatica di proteggere e custodire la Madre Terra e tutti gli esseri
viventi. Come evidenzia papa Francesco nell’enciclica Laudato si’ in
cui il grido dei poveri e il grido della terra “si uniscono in un unico
grido” che ci provoca, ci interpella e ci chiede risposte urgenti, non
più rinviabili. In tale contesto papa Francesco ha indetto “Il Giubileo
straordinario della Misericordia” per la Chiesa come segno per tutta
l’umanità, nel 50° anniversario della conclusione del Concilio
Ecumenico Vaticano II.
La misericordia dimensione e pratica indispensabile per l’umanità
La Misericordia è la rivelazione e l’incarnazione dell’Amore di Dio: la
sua presenza, il perdono per ogni persona, per l’umanità intera, con
attenzione particolare ai poveri, ai deboli, ai sofferenti. La
misericordia di Dio si è rivelata nella storia, nella persona, nelle
parole e nei gesti di Gesù di Nazareth, che con la sua quotidiana
presenza continua a coinvolgerci e a sollecitarci alla compassione.
Francesco, vescovo di Roma, segno di misericordia
Ancora una volta esprimiamo profonda gratitudine a Francesco per le sue
parole e i suoi gesti in un momento particolarmente difficile per lui a
causa delle vicende che riguardano il Vaticano e la lontananza di chi
nella Chiesa si riferisce al suo insegnamento con distacco e arroganza.
Francesco cerca di liberare la Chiesa dal potere nelle sue diverse
espressioni, dall’apparato religioso che nasconde incoerenze, infedeltà
e corruzione.
Il fondamento è il Vangelo
Nella complessità del momento storico, ribadiamo come fondamento e
guida il Vangelo di Gesù di Nazareth, da cui ci sentiamo ogni giorno di
ripartire e a cui sempre ritornare, sperimentandone lo straordinario e
consolante coinvolgimento nelle scelte della nostra vita.
LA SOLA CHIESA CREDIBILE
La sola Chiesa credibile a cui ci sentiamo di appartenere è quella del
Vangelo di Gesù, del Concilio Vaticano II, dei profeti e dei martiri,
di tante donne e tanti uomini credenti, umili e credibili, di papa
Francesco: misericordiosa perché cerca di seguire il Dio della
Misericordia, di cui vive l’esperienza. Desideriamo condividere con voi
alcuni momenti significativi di incontro.
Il Sinodo dei Vescovi sulla famiglia
La famiglia e la coppia umana, assunte nella molteplicità delle loro
situazioni, sono le vere destinatarie della misericordia: i divorziati
risposati non sono più considerati pubblici peccatori, ma “battezzati,
sono fratelli e sorelle, lo Spirito Santo riversa in loro doni e
carismi per il bene di tutti” mentre si vedrà come “possono essere
superate le diverse forme di esclusione di cui oggi sono gravati” in
ambito liturgico e in ogni altra dimensione ecclesiale. Nei confronti
dei fratelli e sorelle omosessuali sono stati espressi attenzione,
accoglienza, rispetto, valorizzazione.
L’assemblea della Chiesa italiana a Firenze
Il 10 novembre 2015 papa Francesco nella sua riflessione ha delineato
le qualità imprescindibili della Chiesa italiana.
Il primo sentimento è l’umiltà: l’ossessione di preservare la propria
gloria, la propria ‘dignità’, la propria influenza non deve far parte
dei nostri sentimenti.
Un altro sentimento è il disinteresse: dobbiamo cercare la felicità di
chi ci sta accanto. L’umanità del cristiano è sempre in uscita, non è
narcisistica, autoreferenziale. “Evitiamo di rinchiuderci nelle
strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci
trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo
tranquilli”. (Evangelii Gaudium, 49). Il nostro dovere è lavorare per
rendere questo mondo un posto migliore e lottare. La nostra fede è
rivoluzionaria, qualsiasi vita si decide sulla capacità di donarsi.
Un ulteriore sentimento di Cristo Gesù è quello della beatitudine: il
cristiano è un beato, ha in sé la gioia del Vangelo. Due sono le
tentazioni che la Chiesa italiana deve affrontare. Coperta
dall’apparenza di un benessere c’è la fiducia nelle strutture, nelle
organizzazioni, nelle pianificazioni perfette perché astratte;
nell’assunzione di uno stile di controllo, di durezza, di normalità.
Davanti ai mali o ai problemi della Chiesa è inutile cercare soluzioni
in conservatorismi e fondamentalismi, nella restaurazione di condotte e
forme superate che neppure culturalmente hanno la capacità di essere
significative. La dottrina cristiana non è un sistema chiuso, incapace
di generare domande, dubbi, interrogativi, ma è viva, sa inquietare, sa
animare. Non ha un volto rigido, ha un corpo che si muove e si
sviluppa, ha carne tenera: la dottrina cristiana si chiama Gesù Cristo.
È importante procedere con genio e creatività, mai in difensiva per
timore di perdere qualcosa.
La seconda tentazione è quella di confidare nel ragionamento logico e
chiaro, il quale però perde la tenerezza della carne del fratello.
Bisogna mettere in pratica; se non si conduce la Parola alla realtà, si
costruisce sulla sabbia, si rimane nella pura idea, si degenera in
intimismi che non danno frutto. Vicinanza alla gente e preghiera sono
la chiave per vivere un umanesimo cristiano popolare, umile, generoso,
lieto. Se perdiamo questo contatto con il popolo fedele di Dio perdiamo
in umanità e non andiamo da nessuna parte. I due pilastri sono per noi
le beatitudini e le parole del giudizio finale: ho avuto fame e sete,
ero ammalato, carcerato, forestiero, denudato dai vestiti e della
dignità
e voi mi avete incontrato se siete stati solidali o non mi avete
incontrato se siete stati indifferenti. Due raccomandazioni
soprattutto: inclusione dei poveri e capacità di incontro e dialogo.
Noi cerchiamo di vivere questa Chiesa.
Il patto delle catacombe
Rinnoviamo anche noi in questo Natale 2015 il patto delle catacombe che
il 16 novembre 1965, pochi giorni prima della chiusura del Concilio
Vaticano II, una cinquantina di padri conciliari hanno dichiarato nella
celebrazione dell’Eucarestia nelle catacombe di Domitilla a Roma. Il 16
novembre 2015 a Napoli gruppi e comunità, donne e uomini fra cui anche
padre Alex Zanotelli e don Luigi Ciotti hanno rinnovato questo patto a
cui aderiamo e invitiamo ad aderire.
Prima di tutto, Signore, ti vogliamo chiedere perdono. Siamo
consapevoli che, attraverso il nostro stile di vita, siamo causa di
tanta sofferenza dei nostri fratelli e sorelle, dell’oppressa e
devastata terra.
Ci impegniamo a fare l’opzione dei poveri, degli esclusi, degli
‘scarti’ della società, a riconoscere in loro la ‘carne di Cristo’,
Sacramento vivo della sua Presenza, “a prestare ad essi la nostra voce
nelle loro cause, ma anche ad essere loro amici, ad ascoltarli, a
comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole
comunicarci attraverso di loro.”
Ci impegniamo, affinché la nostra azione pastorale porti i poveri a
sentirsi a ‘casa loro’ nelle nostre comunità, e a essere al centro
della nostra attenzione.
Ci impegniamo, davanti a Te, Unico Signore, in questa società che adora
l’idolo del denaro, a non arricchirci, a non possedere, a condividere
quello che abbiamo.
Ci impegniamo, in questo momento storico, all’accoglienza dei fratelli
e delle sorelle, che fuggono da situazioni di ingiustizia e di morte,
perché fare spazio a loro è farlo a Cristo: mettendo a disposizione le
nostre case, chiese e conventi.
Ci impegniamo quindi, a uno stile di vita sobrio in tutti gli ambiti
della nostra vita, nell’abitazione, nel cibo, nell’abbigliamento, nei
mezzi di trasporto e nelle nostre chiese: evitando l’usa e getta,
privilegiando l’usato e il circuito corto e naturale, riciclando e
recuperando i rifiuti.
Ci impegniamo, in solidarietà con i poveri, a rimettere in discussione
il nostro sistema economico-finanziario, ‘nuova e spietata versione del
feticismo del denaro’, i cui effetti devastanti tocchiamo con mano
sostenendo in maniera nonviolenta, nella nostra azione pastorale, i
movimenti popolari che si impegnano a favore dei diritti fondamentali
dell’essere umano, ‘cibo, acqua, salute, lavoro, casa, terra,
istruzione’, ma anche contro le enormi spese militari che producono
sempre più guerre.
Ci impegniamo, a utilizzare nella nostra quotidianità fornitori di
servizi bancari che scelgono la finanza etica e alternativa, che
combattono la speculazione, che non favoriscono il riciclaggio dei
capitali nei paradisi fiscali, frutto di criminalità o di evasione e
che non investono in attività, come l’industria delle armi, che causano
sofferenza e morte.
Ci impegniamo a ‘curare la nostra casa comune’ accettando la sfida di
Papa Francesco che, di fronte alla ‘grave crisi ecologica’ causata
dall’uomo e che sarà pagata dai poveri, ci chiama a una conversione
ecologica basata su relazioni sane ‘con il mondo che ci circonda’.
Ci impegniamo a costruire comunità cristiane ‘in uscita’, aperte alla
mondialità, all’inclusione, al dialogo ecumenico e interreligioso,
profondamente missionarie e profetiche.
Ci impegniamo a lottare contro ogni forma di violenza, di sopraffazione
e di cultura mafiosa che genera criminalità organizzata, corruzione,
inquinamento ambientale e morte.
Ci impegniamo a far conoscere questo Patto chiedendo ai nostri fratelli
e sorelle di vigilare su questa nostra scelta aiutandoci con la
preghiera e la comprensione.
ALCUNE QUESTIONI DIRIMENTI
Desideriamo ancora approfondire e condividere con voi esperienze,
dolori, speranze, convinzioni su alcune questioni decisive, dirimenti
presenti nella storia attuale e anche nei vissuti delle nostre Regioni
e delle nostre comunità.
Nonviolenza e costruzione della pace
Rinnoviamo la nostra scelta convinta della nonviolenza attiva e della
costruzione lenta, operosa, indispensabile di una cultura e di una
pratica della pace. Le armi e i bombardamenti non risolvono le gravi
questioni aperte ma invece le alimentano e provocano rancore, odio,
determinazione alla vendetta. Il terrorismo è frutto anche della guerra
e quindi non può essere risolto con la guerra. Papa Francesco ci guida
a giudicare le armi e la guerra come guadagno vantaggioso di alcuni e
come morte di tanti altri. La spiritualità, la cultura, la trattativa,
la politica, la cooperazione sono le strade della pace. L’isolamento
dei terroristi, la perseveranza nella volontà e nelle decisioni di
bene, sono state incoraggiate in modo luminoso per tutta l’umanità
dagli atteggiamenti e dalle parole di familiari delle vittime di
Parigi, all’opposto di altri speculatori perfino del dolore che hanno
espresso parole e atteggiamenti indegni di un paese democratico e
civile, identificando tutti i fedeli della religione musulmana in
terroristi e distanziandosi da ogni possibilità di incontro, dialogo,
convivenza. Per noi è fondamentale partire dalle vittime di Parigi e di
ogni altro luogo del Pianeta e dal dolore straziante dei loro familiari
e amici. Il dolore per tutte le vittime condiviso può favorire la
cultura della pace.
I migranti
La questione dei flussi migratori ha assunto dimensioni e presenze di
particolare intensità su tutto il Pianeta. Un fenomeno che ci provoca a
guardare con verità le cause, cioè: guerre, povertà, cambiamenti
climatici e ambientali, che ci sollecita a rompere le nostre complicità
con queste cause e a favorire progressivamente situazioni di giustizia:
nel contempo a progettare un’accoglienza dignitosa nei suoi diversi
aspetti. Constatiamo con amarezza l’inesistenza dell’Europa dei popoli,
l’assenza di cultura e di etica e come conseguenza di progettualità e
di decisioni politiche e legislative: i
muri, i fili spinati, le violenze sulle persone che abbiamo visto in
questi mesi, e che continuano, contravvengono a ogni diritto umano.
Anche nel nostro Paese è carente e parziale una progettualità
sull’accoglienza. Ci sentiamo di esprimere gratitudine alle tante
persone che nella Chiesa e nella società in genere in questi mesi hanno
dimostrato il volto migliore del nostro Paese e delle nostre comunità
cristiane; in particolare per quanto riguarda la Regione Friuli Venezia
Giulia alle persone volontarie che a Udine, a Pordenone, a Trieste e a
Gorizia durante tutti i giorni e tutte le notti di quest’anno 2015 si
sono prodigate in modo ammirevole, con generosità e gratuità per
accogliere, sostenere con gesti concreti per rispondere ai bisogni
primari delle persone, di centinaia di profughi altrimenti abbandonati
a se stessi, a dormire all’addiaccio.
Se questa condizione conferma sempre una violazione dei diritti umani
fondamentali, ora, con il periodo invernale, si aggrava a causa del
freddo, con pericolo per la salute e la vita stessa. La presenza dei
volontari evidenzia in modo clamoroso l’assenza delle istituzioni: il
progetto di accoglienza diffusa della regione non può configurarsi in
un documento scritto e in esortazioni generiche ai comuni ad accogliere
maggiormente, ma dovrebbe diventare coinvolgimento di soggetti
disponibili e competenti, programmazione sostenuta a livello culturale,
etico e organizzativo. Per noi è inammissibile che persone italiane e
straniere siano costrette a dormire all’addiaccio, in una regione ricca
di possibilità economiche e professionali, di pratiche di buona
accoglienza, di luoghi recettivi o da rendere tali in breve tempo.
Nello stesso tempo si deve evidenziare con tristezza la scarsa
disponibilità all’accoglienza dei comuni della Regione Friuli Venezia
Giulia: pare proprio che la memoria storica dell’emigrazione poco o
nulla insegni e neanche l’esperienza di solidarietà nel periodo
successivo al terremoto, di cui nei prossimi mesi si vivrà il ricordo
del 40° anniversario.
In posizione difensiva gli esponenti della politica regionale affermano
che il problema non esiste, perché le persone non accolte sono quelle
che eccedono il numero stabilito dal piano di accoglienza del
Ministero. Se questo programma fosse attuato non ci sarebbero persone
in strada. Ci si permette di evidenziare l’incongruità umana ed etica
di questa affermazione: le persone non sono mai numeri, né eccedenze e
come tali devono essere trattate comunque e sempre, in qualsiasi
situazione e per qualsiasi periodo. Siamo molto delusi e critici per
questa incapacità e per questo atteggiamento difensivo, per la mancanza
di confronto e per il rifiuto di suggerimenti.
Non entriamo nel merito se e come le comunità parrocchiali della nostra
regione abbiano accolto l’invito di papa Francesco rivolto a tutte
quelle dell’Europa. Ciascuna, a cominciare da quelle in cui viviamo
come preti, risponderà al Vangelo di Gesù: “Ero forestiero e mi avete,
o non mi avete accolto”. La nostra società e la nostra Chiesa nei
prossimi decenni saranno profondamente diverse soprattutto per la
convivenza di tante persone di cultura e fede religiosa diversa:
infatti stanno arrivando i rappresentanti non di una o di qualche
comunità o popolo, ma dall’umanità intera. Dipenderanno da noi, dalla
cultura, dall’etica, dalla politica, dalla legislazione che oggi e nei
prossimi mesi e anni sapremo esprimere la configurazione e la qualità
di questa convivenza. Un compito immenso, arduo, ma possibile: del
resto l’unico degno dell’umanità.
Si sono accese nuovamente polemiche sulla presenza di simboli religiosi
nelle scuole. Noi esprimiamo la convinzione dell’importanza di
affermare la laicità, come dimensione di partenza per tutte le persone
nelle scuole, nella politica, nelle istituzioni. L’autentica laicità
garantisce il pluralismo delle culture e delle fedi
religiose diverse. Consideriamo una grande possibilità storica, in
termini religiosi una ‘grazia’ che le aule scolastiche diventino un
laboratorio permanente dell’incontro fra le diversità, nella
conoscenza, nel rispetto, nella reciprocità che arricchisce. I simboli
e i canti religiosi delle diverse culture e fedi possono quindi
diventare un’educazione continua, con attenzione a ciascuno di essi nei
diversi momenti dell’anno scolastico. Avvertiamo tutto il resto come
povertà culturale e spirituale e anche come grossolana strumentalità.
La cura della Madre Terra
Ci troviamo in un momento critico ed estremo della storia nel quale
l’umanità è chiamata a scegliere il suo futuro: o stringiamo
un’alleanza globale per prenderci cura della terra e gli uni degli
altri o potremo assistere alla distruzione della nostra specie e della
biodiversità. Le conseguenze della padronanza assoluta e dell’utilizzo
strumentale e devastante da parte dell’uomo sono drammatiche;
l’enciclica Laudato si’ di papa Francesco è un messaggio straordinario
di denuncia, di proposte, di coinvolgimento personale e comunitario,
spirituale e politico per cambiare radicalmente il paradigma da quello
della conquista, del dominio, dello sfruttamento a quello ormai
imprescindibile, senza alcun alibi o rinvio, della relazione che
sollecita alla cura e alla responsabilità. La proposta è di un’ecologia
integrale che comprende le questioni sociali economiche ed ambientali,
quelle spirituali e politiche, gli stili di vita e l’impegno al
cambiamento. Siamo parti di un tutto, in una stretta interdipendenza
fra persone e ogni espressione della vita.
La Giustizia
In questa ecologia integrale una dimensione fondamentale è la giustizia
che deriva dalla dignità stessa delle persone, delle comunità, dei
popoli. Senza giustizia non ci sono pace, libertà, uguaglianza,
democrazia. “Ascoltiamo tanto il grido della terra, quanto il grido dei
poveri perché i gemiti della terra si uniscono ai gemiti degli
abbandonati del mondo” (Laudato si’, 53). La corruzione e l’evasione
fiscale sono diffuse e ramificate in modo impressionante: condividiamo
con voi tutti l’esigenza di essere noi giusti per pretendere e gridare
giustizia per i poveri di questa società e di tutto il Pianeta; gridare
contro la cultura dello scarto che non solo impoverisce ma che anche
elimina i poveri come scarti: lo scarto delle persone, del cibo e di
tanti altri elementi diventano un unico e terribile scarto.
I carcerati
Sentiamo che vivere la misericordia ci coinvolge nella storia di ogni
persona che incontriamo, perché è stata ed è usata misericordia dal Dio
di Gesù. Nella misericordia trovano un’attenzione particolare i
detenuti nelle nostre carceri, proprio perché per loro non c’è
misericordia. Nella nostra società si vive tendenzialmente una
propensione all’esclusione di chi ha sbagliato, alla reclusione in un
mondo separato, al disinteresse per le storie delle persone. Sembrano
prevalere piuttosto l’odio, il desiderio di vendetta, la logica del
capro espiatorio, la dichiarazione di insignificanza e di mancanza di
futuro. Nel constatare il fallimento delle carceri per come sono
strutturate condividiamo con voi l’esigenza di una nuova cultura nel
rapporto con chi ha sbagliato e con le loro vittime; nel prefigurare e
poi attuare pene alternative al carcere, riparative, significative per
l’umanizzazione che portano.
La celebrazione del Giubileo
Se la misericordia è costitutiva e permanente l’anno del Giubileo ad
essa dedicato può diventare un tempo favorevole di riflessione,
preghiera e impegno aperti all’umanità tutta, per comunicare e
condividere accoglienza, riconoscimento umano, ascolto, compassione,
perdono. Abbiamo colto con gioia il segno di Francesco di aprire la
porta del Giubileo nel cuore dell’Africa. E’ l’apertura all’Africa,
alle sue popolazioni, alle violenze e alle morti, alle speranze di
riconciliazione e di futuro, alla ricchezza delle culture e delle fedi
religiose, delle resistenze e dei progetti. Una porta semplice, di
legno, profondamente significativa. In questo suo ultimo viaggio papa
Francesco ha continuamente esortato a trasformare le negatività in
situazioni positive, l’odio in amore, la guerra in pace, il potere in
servizio, i muri in orizzonti, gli ostacoli in opportunità. Questo
significa aprire le porte agli altri.
Nell’anno del Giubileo alcuni simboli chiameranno a riflessione e
indicheranno percorsi. Speriamo che siano percepibili, coinvolgenti e
comunque provocatori di riflessione, di incontri, di confronti, di
scelte operative rispetto alle grandi questioni della giustizia, della
pace, della accoglienza, del perdono, della salvaguardia del Creato. Ad
esempio sarebbe importante che nelle nostre Diocesi le ‘Porte Sante’
non fossero solo quelle delle cattedrali e delle basiliche, importanti
certo, ma prevedibili e quasi ‘scontate’ ma ad esempio quelle di un
carcere, di un luogo di accoglienza per i migranti, come a Udine Casa
Immacolata fondata da don Emilio De Roja, a Trieste la Risiera di San
Sabba e il dormitorio gestito dalla Comunità di San Martino al Campo, a
Gorizia il luogo dove passava il confine e quello in cui Franco
Basaglia ha iniziato la sua straordinaria rivoluzione della
psichiatria; a Pordenone quella di una cooperativa sociale,
un’abitazione per disabili e la casa di accoglienza “Oasi 2” per
carcerati, la porta della base di Aviano, ora inaccessibile ma indicata
come esigenza di costruire la pace; a Vicenza la porta antistante la
base militare statunitense di Longare, dove da trent’anni, tutte le
domeniche, un gruppo di operatori di pace sosta in silenziosa preghiera
per il disarmo, per la cessazione di tutte le inutili stragi e perché
possa finalmente fiorire la pace.
La Porta Santa può essere dovunque le persone vivono, amano, soffrono,
sono disponibili, vivono disperazioni e speranze e sempre desiderio di
accoglienza, amore e comprensione. La Misericordia ci viene da Dio ed è
per tutte le persone; a noi il compito di esprimere parole e segni
credibili, con fiducia e perseveranza.
Desideriamo in conclusione, testimoniare ancora una volta la nostra
totale adesione al Vangelo di Gesù, perché essa continua a donarci
gioia e speranza, sentimenti che, seppur nella difficoltà del tempo
presente, continuano ad illuminare la nostra strada. Cammino che
vogliamo condividere, nella luce del Natale, con tutti gli uomini e con
tutte le donne di buona volontà.
I preti firmatari:
Pierluigi Di Piazza, Franco Saccavini, Mario Vatta, Pierino Ruffato,
Paolo Iannaccone, Giacomo Tolot, Piergiorgio Rigolo, Renzo De Ros,
Luigi Fontanot, Alberto De Nadai