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Siamo nella piazza di Malnisio, paese nel Comune di Montereale
Valcellina. Qui dal1905 al 1988 ha funzionato la centrale idroelettrica
che vantava i primati di essere la seconda centrale al mondo per potenza
installata e di essere collegata alla linea elettrica più lunga al
mondo: 87 km, che raggiungevano addirittura Venezia.
Ci piace pensare che la Via Crucis di quest’anno possa esser legata
alla necessità di essere collegati, portatori di luce, “mandanti di
vita”, generatori di felicità.
Non facciamo fatica a riconoscere i mali generati nel nostro
convivere sociale e riconosciamo a occhio nudo i “mandanti di morte”,
che però vengono spesso ritenuti unici responsabili di quella cultura
di morte che respiriamo a pieni polmoni e della quale siamo imbevuti.
Eppure, anche se non formalmente responsabile:
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ci sono anch’io dietro a quella cronica conflittualità che
dimostra ancora una volta l’incapacità di vivere un popolo al fianco
dell’altro e che, dopo l’esperienza del secolo scorso – che sembra non
averci insegnato nulla – ci ha portato nel XXI secolo a registrare
presenti nel mondo circa sessanta conflitti armati e nuovi genocidi,
spudoratamente alimentati dai fabbricanti di armi;
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ci sono anch’io dietro alla violenza che in tanti ambiti, da
quelli familiari a quelli social, sta venendo alla luce con sempre più
veemenza e prepotenza senza che un sussulto ci permetta di prendere in
mano la situazione dal punto di vista culturale per provare a lavorarci
sopra, trovando umani rimedi;
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ci sono anch’io dietro l’esercizio indiscriminato del potere
politico, economico, culturale, religioso e mediatico, capace – quando
diventa arma per imporsi – di riversare su interi popoli, famiglie e
categorie di persone inutili sofferenze e discriminazioni, ingiustizie
e disuguaglianze;
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ci sono anch’io dietro l’uso improprio dell’intelligenza
artificiale se permetto che gli sviluppi tecnologici non portino a un
vero progresso, cioè a un miglioramento della qualità di vita di tutta
l’umanità, ma al contrario aggravino le disuguaglianze e i conflitti;
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ci sono anch’io dietro l’indifferenza dilagante che ci fa girare
dall’altra parte rispetto alle persone fragili – i poveri, i
senzatetto, chi è senza lavoro, i migranti e richiedenti asilo,… – che
hanno bisogno di cura; e rispetto pure a un ambiente che, anch’esso, ha
bisogno di ricevere le cure necessarie per essere salvaguardato e
preservato. E potrei continuare.
Allora mi pare d’intuire che, se un problema c’è, sia un problema di
cuore. La malattia più grave riconosciuta dalla Scrittura è la
sclerocardia, l’indurimento del cuore.
Quando il cuore si indurisce, quando non è capace di prossimità,
quando non è guidato da un’etica che dia profondità di senso e trascini
fuori da meri interessi personali e di parte, diventa automaticamente –
nel piccolo o nel grande – “mandante di morte”. Anch’io, senza tanto
clamore, lo posso essere nel mio piccolo, nel quotidiano.
Mi pare d’intuire però anche un’altra cosa: la necessità – che
abbiamo tutti singolarmente e la società intera – di darci una scossa,
di divenire generatori di quell’elettricità, che è la felicità che
illumina il vivere personale e comunitario e, in questo tempo di
barbarie, spalanchi alla speranza di un mondo più umano e umanizzante.
Così come ci ha mostrato colui del quale proprio nei giorni scorsi
ricorreva il centesimo della nascita, quel Franco Basaglia, padre della
Legge 180, che dimostrò che le persone con disturbo mentale possono
essere curate senza la privazione della libertà personale. E questo
portò alla chiusura dei manicomi e alle pratiche inumane in essi
operate.
Ecco perché allora siamo qui: per divenire generatori di felicità
per noi e per gli altri.
Per riconoscere, coi nostri limiti, il bisogno di imparare da Gesù
di Nazareth a essere “mandanti di vita”, conduttori buoni e sani di
vita. Per imparare non solo a condannare il male, ma a riconoscerlo
quando si fa presente in ciascuno di noi; per apprendere come lasciarci
abitare dall’inquietudine perché, per quanto da ciascuno possa
dipendere, il male non sia perpetrato; per accorgerci quando il nostro
silenzio diventa colpevole segno di complicità, a esempio nella
sottrazione dei diritti fondamentali di qualche categoria di persone di
cui magari, per un provvido destino, non faccio parte.
Per questo non passeremo per caso davanti all’area addestrativa
militare di Cao Malnisio, dove si svolgono esercitazioni che prevedono
anche l’uso di armi da fuoco.
Vi passeremo in silenzio, ma il solo passaggio sarà come la lettura
di un manifesto per contrastare quelle attività che ci parlano di una
cultura che non ci deve appartenere perché, da più punti di vista,
anche da quella dell’inquinamento da metalli pesanti, è foriera di
morte.
Qualcuno ha definito la Via Crucis che ci apprestiamo a vivere una
marcia per la pace.
Ci pare una felice intuizione. Gesù di Nazareth ci ha mostrato in
tutta la sua vita e ancor più nella sua passione e fino alla morte
quell’amore appassionato che nel donarsi non fa calcoli; ci ha mostrato
cosa significhi giudicare il male senza condannare chi lo commette; ci
ha indicato il grande valore dell’uomo, per cui vale la pena spendersi
fino in fondo.
Allora desiderare di seguire i suoi passi, significa accettare di
mettersi in cammino per un necessario cambio di mentalità e di cuore. È
il segno del nostro camminare i cinque chilometri che ci apprestiamo a
vivere assieme, nel silenzio. Riconoscendo che, per vivere una società
più umana, abbiamo bisogno di accogliere di quel Maestro la forza
dirompente, innovativa, creativa e rigenerante che fa nuove tutte le
cose, divenendo – e qui il cerchio si chiude – artigiani, autentici
costruttori di quella pace, lo shalom, non solo assenza di conflitti,
ma pienezza di vita.
Malnisio, 17 marzo 2024
Paolo Iannaccone