CONVEGNO 2006
CONVEGNO 2006
Vivere le memorie per un futuro umano

14° Convegno 2006

Testimoni della memoria

di Pierluigi Di Piazza

Durante la 14esima edizione del Convegno del CentroBalducci, i disperati, i derubati, le vittime, gli esclusi sono diventati nostri maestri e ci hanno comunicato il loro intenso patrimonio di resistenze, sofferenze, di morte e insieme la progettualità e la loro dedizione per realizzarle.

Commentare lo svolgimento e gli esiti di un convegno culturale a cui si è contribuito in modo significativo può risultare difficile e delicato, perché il farne parte dal di dentro potrebbe esagerare alcuni aspetti e diminuirne altri. Da un altro punto di vista, esigendo per me stesso sincerità e verità, si può esprimere quella lettura che coglie gli aspetti più concreti ed evidenti conoscendone anche le motivazioni e i percorsi, l’impegno, le difficoltà, le risultanze positive e qualche perplessità. Prima di tutto vorrei ridire l’importanza del 14° convegno: che non sia il primo, né il 7°, indica un percorso, una continuità, un impegno importante, certamente con limiti ed inadeguatezze e insieme con una volontà di proporre e una perseveranza nell’attuarlo.

Il Convegno del Centro “E.Balducci” trova la sua specificità nell’emergere, nella continuità degli incontri durante l’anno, dell’esperienza dell’accoglienza alle persone. Mi arrischio ad affermare che non mi impegnerei, insieme ad altri, nella preparazione del convegno se non esprimesse un’esperienza, perché non mi convincono i contenitori culturali in qualche modo separati, anche se intelligenti nelle proposte; tanto meno mi convincono gli eventi culturali di cui si usufruisce come una sorta di consumo, senza intrecci con le storie delle persone e delle comunità a livello locale e planetario, senza una qualche ricaduta nella loro realtà.

Nessuna pretesa di indicare il convegno del Centro Balducci come particolarmente significativo, solo il desiderio di sottolineare la specificità, discutibile, ma propria e riconoscibile. Da anni abbiamo detto di privilegiare le testimonianze, certamente insieme ad analisi e prospettive culturali nel senso più ampio, e di convocare donne e uomini di diversi luoghi del Pianeta, proprio per vivere un cambio antropologico: i disperati, i derubati, le vittime, gli esclusi diventano nostri maestri e ci comunicano il loro protagonismo di liberazione e di vita, il loro intenso patrimonio di resistenze, sofferenze, di morte e insieme la progettualità e la loro dedizione per realizzarle.

L’attenzione all’essere e al diventare memoria nel nostro viver personale, familiare, comunitario è stato il filo conduttore leggibile, mi pare, in modo distinto, non solo o non tanto perché era il tema stesso del convegno, ma perché intrinsicamente presente nella storia delle persone e dei popoli.

Da Rufina, unica sopravvissuta insieme ad un ragazzino alla strage che nella regione del Mozote in Salvador nel dicembre del 1981 ha provocato il massacro di 1200 persone, fra cui molte donne e molti bambini, quattro suoi figli, a Claudine, giovane donna del Congo, rifugiata politica in Italia, due figli scomparsi, uno ritrovato, una odissea il suo itinerario di fuga, è arrivata fin dentro al cuore delle centinaia di persone presenti, un dolore lacerante e una straordinaria dignità che le sostiene nel compito, proprio una sorta di missione nel rendere una dolorosa testimonianza per umanizzare il mondo, perché questi orrori non si ripetano.

Ricordando le guerre è emersa netta la denuncia della violenza e della guerra: nella profonda riflessione del maestro buddista Zen Claude Ansin Thomas, che dell’orrore del Vietnam in cui è stato protagonista di morte, ha intrapreso e percorre la via della liberazione dall’inimicizia, da ogni forma di violenza e e di guerra, nella convinzione che sono sempre e comunque sbagliate e disumane e non risolvono nessun problema; e nell’altrettanto profonda convinzione che le scelte personali e la volontà del cambiamento sono decisive, a cominciare dal risveglio interiore della propria umanità.

La stessa denuncia è stata presente nelle parole di Mohammed Alderaji, di Falluja, coordinatore per la rete dei diritti umani in Iraq: la terribile, quotidiana estesa situazione di violenza e di morte che la presenza straniera incrementa e di cui spesso si rende protagonista in modo orribile; solo l’autorevolezza, oggi sbiadita, dell’Onu, comunque della comunità internazionale, potrebbe contribuire ad un rallentamento della violenza e a un lento, progressivo miglioramento della situazione, nei diversi aspetti.

E' altrettanto severa è emersa la documentazione di Nada Milijevic, esperta di fisica nucleare di Belgrado e la denuncia di Stefania Divertito, giornalista di Roma, riguardo all’uso dell’uranio impoverito, questione di cui non si parla, sulla quale c’è una storia di silenzi militari e politici, di titubanze scientifiche anche se non sono pochi i soldati italiani ammalatisi, alcuni morti e ne è riscontrabile l’impatto nell’ambiente vitale.

Le atrocità prodotte dall’ideologica nazista della superiorità e del conseguente sterminio sono state comunicate con efficacia da Eva Rizzin, ricercatrice appartenente ad una comunità di Sinti e da Mirko Levak, appartenente ad una comunità di Rom, prigioniero ad Auschwitz dal ’43 al ’45, di solito non se ne parla, anche per il diffuso pregiudizio nei confronti di queste comunità, quasi che alcune problematiche attuali vere e anche alimentate dall’ignoranza potessero far dimenticare un genocidio così atroce ed esteso.

La tragedia, l’annientamento di decine di migliaia di persone e le terribili conseguenze, prodotte dalla bomba atomica su Hiroshima il 6 agosto 1945 (e tre giorni dopo su Nagasaki) sono stati testimoniati da Minoru Hataguchi per 9 anni, fino al marzo scorso, direttore del museo del memoriale di Hiroshima e oggi membro della Fondazione della città di Hiroshima per la pace: lui stesso è un Pribakuscha, cioè un colpito e un sopravvissuto, dato che in quel periodo era in gestazione nell’utero di sua madre. Fra l’altro ha considerato in modo preoccupato le difficoltà di trasmettere la memoria viva alle nuove generazioni. Nei giorni del convegno c’è stato un interessante incontro con il Rettore dell’Università di Udine, Furio Honsell e con una decina di Presidi di Facoltà per iniziare un rapporto che potrebbe coinvolgere in modo significativo l’Università di Udine in progetti di formazione, di cultura della pace, in rapporto alle proposte e ai progetti elaborati dalla Fondazione per la pace della città di Hiroshima; si tratterebbe della prima Università italiana.

Gianpaolo Gri, con la serietà e la profondità che conosciamo ci ha condotti nella riflessione che tutti, persone e comunità, ci riguarda rispetto alla conservazione o al mutamento delle memorie rapportate alla ritualità laica e religiosa.

Voci d’America Latina L’America Latina ci ha parlato (nel 15° convegno del settembre 2007 daremo attenzione particolare all’Africa) con la presenza e la voce di Mario Rojas Alba, medico di Quernavaca (Messico) uomo di conoscenza, di scienza, di cultura, proprio nel senso più completo e ricco della parola; è emersa la ricchezza della cultura, della spiritualità e della medicina indigena, il disprezzo e la svalutazione operate dalla conquista con una induzione di disistima negli stessi indigeni; la riscoperta e la riaffermazione delle proprie, straordinarie ricchezze.

Modesto Mamani e Sonia Peña, indios della Bolivia, ci hanno comunicato povertà materiale e ricchezza spirituale e culturale; tenacia nella resistenza e nella lotta; disponibilità gratuita al servizio al bene comune; conquiste comunitarie, sindacali e politiche in atto.

Italo Moretti da grande giornalista e da uomo sensibile, con tante esperienze dirette nell’America Latina delle violenze e delle torture, delle testimonianze e dei rischi ha percorso con profondità soprattutto la storia dell’Argentina, dal colpo di Stato dei militari ad oggi, leggendoci i segni positivi dell’ultimo periodo e accostandoli ad altri anche se non sempre chiari e alle volte contrastasnti, in Bolivia, Cile, Brasile, Venezuela.

La politica assente

La presenza attesa di Rita Borsellino non è stata possibile a causa di problemi di salute: per qualche minuto le 500 persone presenti all’Auditorium di Pozzuolo del Friui hanno ascoltato al telefono le sue parole con le quali, fra l’altro, ripromettendosi di venire prossimamente appena le sarà possibile, ribadiva l’importanza per chi è impegnato in politica, di tenere vivo il rapporto con momenti e aggregazioni simili, proprio per lo svolgimento del compito politico.

Mi pare che nessuno impegnato in politica fosse presente: e questa è una constatazione davvero amara; quasi tutti si pongono in modo separato, autoreferenziale, nel quale pare non si debba più imparare da quello che avviene nella società.

È molto discutibile anche il fatto di chiamarli ad esprimere un saluto se, ad eccezione di qualcuno e per altro per un tempo breve, non si fermano ad ascoltare, se non partecipano.

Avrebbero fra l’altro sentito da Modesto, indio di Chochabamba, in Bolivia, sindacalista dei contadini, arrestato e picchiato duramente, che ha dedicato quattro anni gratuitamente al sindacato; che sono stati anni particolarmente difficili da vivere per lui e la sua famiglia, che altre cariche politiche sono svolte in modo gratuito.

I politici e le persone più direttamente impegnate nella scuola avrebbero applaudito, come ha fatto a lungo il pubblico, un gruppo di studenti dell’Istituto Statale d’Arte di Udine, che dopo la visita ai campi di sterminio nazisti, hanno riflettuto ed espresso in una breve forma teatrale di grande intensità la loro rielaborazione ribadendo con passione il compito della memoria.

Uomini d’impegno

Ho lasciato per ultimi due uomini che appartengono a istituzioni diverse e che con le loro differenze, ugualmente hanno comunicato convinzioni profonde, esperienze vaste, dedizione perseverante. L’uno, il vescovo emerito di Ivrea mons. Luigi Bettazzi ha bene rappresentato la memoria della Chiesa di Papa Giovanni XXIII, la Chiesa del Concilio che condivide profondamente la storia del mondo, la Chiesa della Pacem in Terris che chiama a costruire la pace tutte le donne e tutti gli uomini di buona volontà, subito, qui e adesso, in ogni luogo della Terra.

L’altro, il magistrato antimafia di Palermo Antonio Ingroia, in modo molto chiaro ha delineato la storia della mafia e dell’antimafia, considerando il suo impegno non eroico, non eccezionale, anche se lo accompagnavano cinque uomini di scorta, ma espressione della partecipazione all’umanità, che in quanto tale sollecita ad impegnarsi per la giustizia e la legalità lui come magistrato e tutti noi come cittadini di questa società. Dalle sue parole si sono percepite profondità culturale, capacità e dedizione professionale, piena di responsabilità.

Quindi giornata intensa di ascolti e di riflessione; grande la qualità, ugualmente la partecipazione con qualche interrogativo riguardo alle presenze dimezzate rispetto al Teatro Giovanni da Udine inagibile per lavori in corso.

L’anomalia del Palasport, una certa logica, non condivisibile, che porta le persone ad esserci perché fra i relatori è presente qualcuno il cui nome è conosciuto e seguito, qualche altro motivo possibile ha ridimensionato in modo evidente le persone della prima serata, portandole alle 500 che sempre in questi anni hanno affollato nei giorni del convegno l’Auditorium di Pozzuolo del Friuli.

Le considerazioni sono buone e positive e l’arricchimento grande. Pare che, senza eroismi e vittimismi, sia una strada partecipata e insieme isolata, una sorta di zona extraterritoriale, se il territorio comune e conosciuto è quello che rende per certi aspetti anomale, diverse, discontinue, simili esperienze, rispetto alla società conforme e anche della Chiesa sicura. Ma questo è importante, da vivere con umiltà e serenità, con consapevolezza e dignità, in modo articolato e operativo, senza antagonismi e contrapposizioni, anzi con l’apertura al dialogo e al confronto.

Ogni anno al termine del convegno, quasi ad alimentare una fedeltà, si annuncia il possibile tema del prossimo (settembre 2007), anche se poi sarà approfondito e precisato. L’ipotesi è questa, percependo la realtà, considerando l’itinerario e guardando al futuro: “Da dove la forza per il cambiamento? Dalle utopie, dalle culture, dalle memorie, dalle fedi religiose?”. Da ora al prossimo settembre altri significativi appuntamenti non mancheranno, sempre in cammino nel presente, fra memoria e futuro.

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