Care amiche e cari amici, il saluto più amichevole e cordiale da
parte mia e del Centro Balducci: ospiti, volontari, sostenitori.
Il cammino di pace di questa notte è il 33° in continuità ai
precedenti 32; collegati alle 44 giornate della pace nel primo giorno
dell’anno, 45° quello di domani a indicare, da quel 1 gennaio 1968 a
quello che inizierà, l’importanza decisiva della pace ogni giorno
dell’anno. Non rappresenta infatti una delle questioni ma è quella
decisiva, dirimente tutte le altre. Infatti, quale cultura merita
questo nome se non favorisce la giustizia e la pace?
Non è poi nemmeno pensabile un’etica che non assume nel suo nucleo
portante l’anelito, le indicazioni, i vincoli per la giustizia e la
pace. E la politica che non assume come prioritaria la questione della
pace può essere ancora considerata una politica degna? In realtà,
l’attuale politica, ai diversi livelli, ha cancellato dalla sua agenda
la questione della pace. E quale fede religiosa si può riconoscere come
autentica se non annuncia e non sollecita a praticare con continuità la
giustizia, la non violenza attiva, l’accoglienza e la pace?
La questione della pace interpella ciascuna e ciascuno di noi:
è la dimensione dell’anima e di relazioni significative; riguarda la
giustizia; non è solo assenza di guerra, ma durante questa assenza non
costruisce e vende armi, non prepara la guerra: “Se vuoi la pace,
prepara la pace”. La pace non può rimanere solo un postulato etico, ma
diventare decisione istituzionale, politica, legislativa.
L’interrogativo di fondo è come mai l’essere umano passa facilmente
dalla non violenza alla violenza; come mai si rende protagonista di
violenze, di uccisioni, di ferimenti, di distruzioni che fino a poco
tempo prima aveva giudicato come inammissibili, perchè disumane.
Perchè l’essere umano così facilmente abdica all’autonomia della sua
coscienza e diventa obbediente di strutture e di ordini violenti,
omicidi, disumani? E’ per questo che l’educazione alla pace diventa
fondamentale, doverosa, imprescindibile e chiede continuità e
perseveranza. Più che educare i giovani alla giustizia e alla pace,
educarci insieme, diventando testimoni e, come dice il messaggio del
papa, vivendo per primi il cammino che si propone. Certo sono di per sé
interpellati, insieme a tutti gli altri, coloro che hanno compiti nei
progetti educativi: genitori, insegnanti, operatori dei mezzi di
informazione, persone impegnate nelle istituzioni e nella politica,
nelle comunità delle diverse fedi religiose.
Ad essi si rivolge il messaggio del papa, con il richiamo
all’esigenza imprescindibile di testimoni. Educarci alla pace è uscire
dall’ignoranza, dalla non conoscenza; dal fatalismo, dal conformismo,
dalla rassegnazione, dalle frasi fatte, dai luoghi comuni: “E’ sempre
andata così, i poveri ci sono sempre stati; le guerre anche e poi alle
volte servono, portano la pace, la libertà, la democrazia ...”. E
ancora: i diversi sono diversi, è inutile approfondire tanto: gli
immigrati sono troppi e poi cosa pretendono? Comunque prima noi, i
nostri, le nostre radici –aggiungendo magari per rafforzare la
chiusura- cristiane, la nostra cultura cattolica. Neanche parlare poi
degli omosessuali, dei carcerati, dei sofferenti nel corpo e nella
psiche. Cosa possiamo farci “noi”?
Questo conformismo qualunquista è contrario alla pace. Senza
verità, giustizia, obiezione di coscienza a tutte le ingiustizie e le
disumanità, non ci potrà mai essere pace. Lo dice la lettera del papa: “Per essere veramente operatori di pace,
dobbiamo educarci alla compassione, alla solidarietà, alla
collaborazione, alla fraternità. Essere attivi all’interno delle
comunità e vigili nel destare le
coscienze sulle questioni nazionali e internazionali e sull’importanza
di ricercare adeguate modalità di ridistribuzione delle
ricchezze, di promozione della crescita, di cooperazione allo sviluppo
e di risoluzione dei conflitti”.
Educarci alla pace quindi educandoci alla
verità.
Non ci potrà essere pace fino a quando dominerà l’ingiustizia
strutturale del Pianeta che uccide ogni anno il numero spaventoso fra
30 e 40 milioni di persone, un bambino ogni 5 secondi. La situazione
più terribile della storia umana. Fino a quando la crisi economica e
finanziaria, ma ancor prima culturale, etica, spirituale rende la vita
difficile a milioni di persone.
Non ci potrà essere pace fino a quando si continueranno a costruire
e a vendere armi, anzi a ritenere la guerre necessarie tanto da
cambiarne il nome: guerre umanitarie, portatrici di libertà
democrazia, come se cambiandone il nome si cambiasse la natura sempre
omicida e distruttiva: le guerre solo uccidono, feriscono, distruggono
e mai nulla risolvono. Erano state ripudiate dalla nostra Costituzione,
dall’Enciclica Pacem in Terris
del 1963 di papa Giovanni XXIII, considerate una follia. Ora si sono
ripristinate e tanti le accettano e le giustificano, fino a considerare
effetti collaterale le vittime civili, donne e bambini, conosciute,
perché la gran parte delle vittime civili non si nominano neppure, e
forse compaiono come un numero nella somma generale.
Come mai nelle nostre chiese, dove preghiamo per la pace, non ci si
sdegniamo (chiamiamo la realtà per nome) che si spendano ogni minuto 50
mila euro per mantenere la struttura militare? Che 1 miliardo e 400
milioni di euro siano destinati a costruire la portaerei Cavour, mentre
con quell’investimento si potrebbero edificare 4 mila nuovi asili. Come
mai non si nominano –sì, proprio nelle nostre chiese, chissà forse per
paura di essere criticati di una accentuazione socio politica- i
cacciabombardieri F-35, ciascuno di quali costa 100 milioni di dollari
(130 milioni di euro) quanto 465 mila trattamenti anti AIDS per i
bambini? Come mai non si nomina la base USAF di Aviano che custodisce
anche ordigni atomici, quelle armi che il Concilio Vaticano II nel n°80
della Gaudium et Spes ha
definito “delitti contro Dio e contro l’umanità”. Come possiamo
continuare a dire “Beati gli operatori di pace” ?
Non ci potrà essere pace fino a quando si continueranno ad
alimentare diffidenze, ostilità, avversione nei confronti degli altri
diversi: disabili, omosessuali, carcerati, nomadi, immigrati. Fino a
quando non ci si opporrà con la fermezza della non violenza attiva,
alle volgarità e grossolanità delle parole; all’ostilità che nega
perfino il riconoscimento di cittadinanza italiana ai bambini nati in
Italia da persone immigrate; alle leggi regionali sul welfare discriminatorie.
Non ci potrà essere pace se tutte le fedi religiose non
riprenderanno ispirazioni profetiche, coraggio nell’annuncio, nella
denuncia, nella proposta di esperienze significative. Se nelle nostre
chiese si parlerà molto della pace come dono di Dio e poco, o quasi
nulla, della responsabilità storica a costruire la pace. Se non si
nomineranno i profeti e i martiri della pace per prudenze e tattiche
incomprensibili, anche vergognose.
Il patrimonio a cui attingere è straordinario a seguito di Gesù di
Nazaret, ucciso per motivo della giustizia e della pace, vivente
compagno di viaggio nella loro costruzione nella storia: Francesco
d’Assisi, Gandhi, Martin Luther King, don Mazzolari, papa Giovanni
XXIII con il Concilio e la Pacem in
Terris, Aldo Capitini, Danilo Dolci, Giorgio La Pira, don
Milani, padre Turoldo, padre Balducci, don Tonino Bello, don Diana, don
Puglisi, mons. Romero, rappresentante di tutte le donne, gli uomini, le
comunità, profeti e martiri della giustizia; fra questi: Falcone e
Borsellino, Ghinnici, Livatino, Dalla Chiesa, tutti i magistrati e le
donne e gli uomini delle scorte , vittime delle mafie per averle
combattute con forza, coraggio, perseveranza.
E’, come già accennato, un patrimonio straordinario a cui poco,
troppo poco si attinge. In quante delle nostre comunità parrocchiali
nelle celebrazioni dell’Eucarestia, degli incontri di catechismo e di
formazione si fanno questi nomi, si vive la memoria dei loro
insegnamenti? E forse capita di sentirli nominare in un consiglio
comunale, provinciale, regionale, in Parlamento?
Abbiamo camminato questa sera e camminiamo ancora per l’ultimo
tratto per riprendere e rilanciare l’impegno per la giustizia,
l’uguaglianza, la sobrietà, la condivisione. Per la non violenza
attiva, riaffermando il ripudio delle armi; della violenza delle guerre
che solo uccidono, feriscono, distruggono e nulla risolvono. Per
riaffermare l’accoglienza dell’altro, del diverso, per l’attenzione
alla storia di ogni persona, per la convivenza pacifica fra le
differenze, per una società multietnica, multiculturale,
plurireligiosa. Per una nostra presenza nell’ambiente vitale di
relazione con tutti gli esseri viventi, con l’intero eco-sistema, non
di dominio e di usurpazione, di distruzione. Per una visione
dell’essere umano, donna e uomo, globale e completa che unisce
corporeità, profondità dell’anima, potenzialità e dimensioni diverse,
cultura, etica, spiritualità.
Camminiamo su questa montagna uniti alle comunità e ai popoli del
Pianeta che resistono, denunciano, propongono, vivono esperienze di
giustizia e di pace. Questa marcia la vedo unita anche alla Via Crucis
Pordenone-Base USAF di Aviano che rivivremo il prossimo anno alla 5a
domenica di Quaresima il 25 marzo 2012 come facciamo dal 1997 alla 16a
edizione prossima.
Questa sintonia e questa unione alimenta la speranza: non una
speranza privatizzata, non illusoria, non comprata per l’occasione, una
speranza vera che assume i drammi e i dubbi guardando l’alba che
ritornerà; una speranza che si nutre nella reciprocità, nei segni
positivi, nell’affidamento al Signore.
“Alziamo gli occhi verso i monti:
da dove ci verrà l’aiuto? L’aiuto viene dal Signore... che ha fatto
cielo e terra” (Salmo 121, 1). L’aiuto per assumere pienamente
le nostre responsabilità; disubbidienti al sistema di ingiustizia,
violenza, guerra, esclusione, razzismo; perché ubbidienti alla
giustizia e alla pace, perchè ciascuna e ciascuno, come insegna don
Milani, è responsabile di tutti.
Pierluigi Di Piazza