Eroi per la pace o vittime della guerra?
Davanti ad ogni vita umana stroncata è doveroso un rispetto profondo.
Ma proprio in nome di tutte le vittime delle guerre, chissà quanti
lettori di Avvenire sono rimasti scossi per quell’intera pagina
dedicata agli “eroi per la pace”, e a quella realtà così “convergente”
di soldati e cristiani. (8 agosto 2012, pag.3 - anche sul
sito).
Ecco, lo diciamo forte:
è davvero
insopportabile questa retorica sulla guerra sempre più incombente e
asfissiante.
Da sempre l’esperienza cristiana ci ha
impegnato nella cura della “missione” e ci scandalizziamo ogni
volta che un cristiano infanga questo valore confondendolo con le
guerre -chiamate appunto “missioni di pace”- ma in realtà “avventura
senza ritorno”.
Da sempre abbiamo presentato ai
cristiani gli eroi della fede e ci scandalizziamo se ora volete
rappresentarli con le armi in mano e, per nascondere le responsabilità
di tanto sangue versato in questa “inutile strage”, fate diventare
“eroi per la pace” questi giovani strappati alla loro vita, vittime
della guerra.
Ci colpisce non veder affiorare
nemmeno uno degli interrogativi che gli italiani e i cristiani si
pongono ormai da anni, assistendo alla fallimentare carneficina
afgana: La nostra presenza militare in Afghanistan costa 2 milioni di
euro al giorno, e quali sono i risultati? Se li avessimo investiti in
aiuto alla popolazione con ospedali, scuole, acquedotti non avremmo
forse tolto consenso ai talebani e ai signori della guerra? E delle
vittime in ‘campo nemico’ chi se ne occupa? Abbiamo i numeri esatti dei
morti e feriti italiani! E quante sono le vittime irachene o afghane?
Forse dobbiamo rassegnarci a considerare le migliaia di esseri umani
uccise in questa assurda guerra solo “effetti collaterali”?
Ci colpisce molto leggere che anche
l’Ordinario militare si allinea a questa retorica della guerra
dichiarando, per esempio che fare il militare è “una professione aperta
al bene comune e allo sviluppo della famiglia umana” oppure sostenendo
che “i cappellani militari sono parroci senza frontiere, impegnati in
una pastorale specifica sul fronte della pace”. Ce ne vuole davvero a
descrivere “l’aeroporto di Ciampino dove arrivano le salme dei nostri
soldati uccisi” come “una scuola di fede”. E ancora “Essere cristiani
ed essere militari non sono dimensioni divergenti”. Come cristiani e
come sacerdoti restiamo stupiti per questo assai strano insegnamento
magisteriale e, alla luce del Vangelo, siamo sconcertati.
Siamo certi che anche il Direttore di
Avvenire, oltre che ovviamente il Vescovo Pelvi, ben conosca la
sapienza ecclesiale, supportata dal Magistero della Santa Sede, che ci
ha insegnato a discernere i diversi modi di affrontare i conflitti
internazionali, a partire dalle testimonianze dei primi martiri
cristiani, che rifiutavano il servizio militare e non bruciavano il
grano d’incenso all’Imperatore considerato una divinità. Come non
ricordare il martirio di S. Massimiliano (295 d.C.) condannato a morte
“poiché, con animo irrispettoso, hai rifiutato il servizio militare”
“quia in devoto animo militia recusasti”) E quante testimonianze di
martiri dei nostri giorni abbiamo ancora da raccontare.
Proprio oggi, 9 agosto la Chiesa
ricorda il Beato Franz Jagerstatter, obiettore di coscienza contro il
servizio militare nel III Reich di Hitler (mentre la maggior
parte dei cattolici combattevano) e per questo ghigliottinato il 9
agosto 1943. E’ stato Papa Benedetto XVI, nel 2007, a proclamarlo beato
e martire nel suo opporsi al servizio militare e alla guerra!
Chiediamo di aprire un confronto serio
e schietto sul tema della guerra, del servizio militare, oggi non più
legato all’obbligo della leva, e della presenza dei Cappellani tra i
militari, magari proprio con il Direttore di Avvenire e
l’Ordinario militare. L’unica occasione di confronto risale al lontano
1997, in un convegno a Firenze promosso da Pax Christi, con un
rappresentante dell’Ordinario Militare. Come era stato detto allora
ribadiamo l’esigenza che “ si ritorni a discutere sul ruolo dei
Cappellani Militari, non per togliere valore alla presenza e
all’annuncio cristiano tra quanti, soprattutto giovani, stanno vivendo
la vita militare, ma per essere più liberi, senza privilegi e senza
stellette”.
A 50 anni dall’apertura del Concilio
Vaticano II crediamo doveroso riaprire un riflessione seria
sulla condanna della guerra e sulle strade che sono chiamati a
percorrere gli operatori di pace.
Don Alfio Carciola, Catania
Don Andrea Bigalli, Firenze
Don Antonio Uderzo, Vicenza
Don Carmine Miccoli, Lanciano
Don Claudio Mainini, Milano
Don Diego Fognini, Morbegno
Don Fabio Corazzina, Brescia
Don Francesco De Lucia, Molfetta
Don Franco De Pieri, Mestre
Don Gabriele Scalmana, Brescia
Don Gianluca Grandi, Imola
P. Giovanni Notari, Catania
Don Luca facco, Padova
Don Mario Costalunga, Vicenza
Don Maurizio Mazzetto, Vicenza
Don Nandino Capovilla, Venezia
Don Paolo Quatrini, Fiano Romano
Don Pierluigi Di Piazza, Udine
Don Renato Sacco, Verbania
Don Renzo Stefani, Belluno
Don Dino Campiotti, Novara
Don Roberto Geroldi, Ortona
Don Albino Bizzotto, Padova
Don Giacomo Tolot, Pordenone
Don Salvatore Resca, Catania
Don Salvatore Leopizzi, Gallipoli
Don Tonio Dell’Olio, Assisi
Don Luigi Fontanot, Udine
Don Flavio Luciano, Cuneo
Don Gianni Gambin, Padova
Don Oresta Aime, Torino
Don Piergiorgio Rigolo, Pordenone
p. Mario Menin, Brescia
Don Walter Fiocchi, Alessandria
Don Ernesto Bozzini, Novara
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