Lettera
di Natale 2014
Giustizia, pace, accoglienza,
salvaguardia dell’ambiente
Care amiche e cari amici,
il nostro saluto cordiale e amichevole a voi tutte, a voi tutti. E’
questa la nostra 11° Lettera di Natale: grande è la nostra gioia di
poter continuare a comunicare con voi, condividendo esperienze di vita
e di storia contemporanea in costante riferimento a Gesù di Nazaret,
sempre al centro della nostra vita.
TEMPO DI COMPLESSITÀ, DI INCERTEZZA,
DI RICERCA DI SPERANZA
Con tanti di voi condividiamo la complessità e la gravità della crisi
in atto, non solo economica con la drammatica mancanza di lavoro, ma di
idealità, di riferimenti significativi, di persone e di luoghi
accoglienti e incoraggianti.
In questa situazione avvertiamo importanti e necessari l’analisi,
l’informazione veritiera, la riflessione, l’attenzione e la cura della
profondità dell’anima. Ci pare che non siano di alcun aiuto, ma anzi
provochino ulteriore impoverimento le semplificazioni, le frasi fatte,
i luoghi comuni, il conformismo, la superficialità, spesso supportati
dalla presunzione e dall’arroganza di parole, di atteggiamenti, di
decisioni.
Le dimensioni personali si intrecciano con quelle istituzionali e
politiche nelle comunità locali e su scala planetaria; dal cuore emerge
in noi l’esigenza della compassione: in noi stessi, nella Chiesa, nella
società tutta; senza questa vibrazione dell’essere che accoglie,
ascolta e condivide le sofferenze, le inquietudini, le paure, gli
interrogativi dell’altro non ci può essere né presente, né futuro umano
perché prevalgono l’indifferenza, l’esclusione, la cultura e la pratica
dello scarto. Senza la compassione, la misericordia, la tenerezza, la
gratuità, l’umanità non potrà salvarsi.
Le sofferenze personali sono diffuse, anche se spesso non emergono
nella loro intensità. Avvertiamo l’urgenza - a cominciare dalle nostre
comunità - di offrire luoghi e momenti di accoglienza umile, calda,
consolante, incoraggiante, che favoriscano la ripresa di fiducia e di
serenità, accanto a quelli che le famiglie, i nuclei affettivi, le
scuole, gli ambiti comunitari già cercano di vivere.
Nelle nostre esperienze avvertiamo la tribolazione, la ricchezza di
ogni storia personale. Negli incontri spesso ci si interroga sul senso
ultimo del vivere, relazionarsi, dedicarsi, impegnarsi, soffrire,
morire e queste domande riguardano anche Dio, la sua presenza o la sua
assenza; spesso nel dialogo entra Gesù di Nazaret in modo discreto e
vicino per la sua straordinaria disponibilità ad accogliere e
incoraggiare.
Al riguardo ringraziamo ancora, come già ampiamente nella lettera dello
scorso Natale, Francesco vescovo di Roma e papa, per la forza delle sue
parole e dei suoi gesti continui. Anche i contenuti e la modalità del
recente Sinodo li hanno confermati in riferimento a questioni delicate
che coinvolgono la vita di milioni di donne e di uomini. Nella Chiesa
il cantiere, per altro aperto e osservabile da tutti, è ancora in
azione, però alcune affermazioni non potranno essere ricacciate
indietro come non dette e sono già di conforto e di prospettiva per
tante persone: “l’Eucarestia non è il sacramento dei perfetti, ma di
coloro che sono in cammino, e diversi sono i gradi di comunione per
accedervi”; “la pastorale non deve essere del tutto o niente ma
misericordiosa perché il ministero della Chiesa è un ministero di
consolazione”; “molte unioni di fatto sono vissute conservando il
desiderio della vita cristiana”; “unioni di fatto in cui si conviva con
fedeltà e amore presentano elementi di santificazione e verità”; “la
Chiesa non è una dogana ma una casa paterna, riguardo alle convivenze,
ai matrimoni civili e ai divorziati risposati compete alla Chiesa di
riconoscere quei semi del Verbo sparsi oltre i suoi confini visibili e
sacramentali”; “le persone omosessuali hanno doti e qualità da offrire
alla comunità cristiana”.
UN NUOVO PROGETTO DI UMANITÀ
Avvertiamo insieme a tante donne e a tanti uomini di questa nostra
società e di tutto il Pianeta che l’attuale crisi non è contingente, né
riguarda qualche aspetto, ma è strutturale e comprende tutte le
dimensioni della vita dell’intera umanità insieme a quelle della Madre
Terra e di tutti i viventi.
E’ fondamentale chiederci: qual è il progetto dell’umanità che ci
prefiguriamo, che alimentiamo, per cui siamo disposti a dedicarci e a
impegnarci? E per realizzare questo progetto quale cultura, quale
etica, quale economia, quale politica sono indispensabili? E le fedi
religiose quale servizio possono esprimere con la loro ricchezza
spirituale e con la generosità operativa di chi vive la fede?
Ripensamento del
modello di sviluppo
E’ da ripensare profondamente la concezione stessa di sviluppo:
identificato come crescita materiale e quantitativa, misurata dal
PIL, di per sé esige lo sfruttamento spietato della Madre Terra e di
tutti i viventi e determina disuguaglianze inaccettabili e
insopportabili nelle comunità locali e in tutto il Pianeta.
E’ urgente abbandonare questo progetto quantitativo per assumere quello
qualitativo del vivere bene in equilibrio con se stessi, con relazioni
positive fra persone, comunità e popoli, in armonia con tutti gli
esseri viventi. In questa concezione della vita di tutti e per tutti,
l’affermazione e la pratica dei diritti non riguarda solo le persone ma
tutti i viventi che per il loro valore intrinseco chiedono attenzione e
rispetto. Nella Carta della Terra si parla di comunità di vita perché
tutti gli esseri sono portatori dello stesso codice genetico di base:
apparteniamo alla stessa famiglia, siamo fratelli e sorelle.
Osservando con gli occhi del cuore e della coscienza la Terra
trascurata, abbandonata, allagata e colpita, usurpata, cementificata,
violentata dai rifiuti tossici delle organizzazioni criminali e anche
dalle armi atomiche, constatiamo con sdegno e tristezza quanto siamo
ancora lontani dal sentirla viva in quanto custodisce e genera la vita:
è uno straordinario organismo vivo che articola realtà fisiche,
chimiche, energie terrene e cosmiche. Questa modalità di relazione con
la terra come creatura vivente induce a un rapporto fatto di rispetto,
attenzione, cura e armonia.
Il fondamento
della giustizia, contro ogni forma di corruzione e illegalità
Nel progetto di una nuova umanità non deve trovare posto alcuna forma
di ingiustizia. Senza giustizia infatti non c’è dignità delle persone,
non c’è libertà, non c’è democrazia, non c’è comunità. E’
impressionante come nel nostro Paese siano così diffuse corruzione e
illegalità tanto da diventare norma, non eccezione, pur riprovevole, ma
modo di essere e di operare.
Se le organizzazioni criminali sono la drammatica evidenza, la zona
grigia delle complicità, dei supporti, dell’omertà coinvolge le persone
in modo ampio e ramificato. Questo deriva dalla mancanza dell’etica del
bene comune, dalla ricerca di vantaggi personali o dell’organizzazione
di appartenenza.
Dovrebbe essere motivo di riflessione per tutti l’attenzione continua
di papa Francesco alla questione della corruzione; le sue parole forti,
le sue esortazioni all’impegno; la sua denuncia durissima delle mafie,
della n’drangheta, di tutte le organizzazioni criminali. Insieme
all’opera di prevenzione e di repressione dei magistrati e delle forze
dell’ordine, a cui esprimiamo vicinanza e solidarietà, specie alle
persone minacciate ripetutamente è indispensabile la diffusione di una
cultura e di una pratica quotidiana della giustizia e della legalità
mai scindibili.
Un segno di speranza è costituito nel nostro Paese dall’Associazione
Libera presieduta dall’amico don Luigi Ciotti, a cui ci legano stima,
amicizia e vicinanza per l’impegno culturale, per aver avviato questa
esperienza straordinaria, anche se non facile, di confisca dei beni
alle organizzazioni criminali e riconsegna degli stessi all’uso
sociale, culturale, lavorativo delle comunità. E questo è avvenuto
anche nella nostra Regione a conferma che non ci sono isole
incontaminate e che la concezione e la pratica della giustizia sono
scelte quotidiane di noi tutti. La giustizia riguarda poi la sua
attuazione anche nei confronti di chi ha infranto la legge e commesso
un reato.
Nell’esperienza dei nostri incontri con persone condannate e rispetto
all’impegno di tutti i soggetti coinvolti, constatiamo come i più
sprovveduti, i più deboli, i più poveri subiscono in modo diverso da
chi è ricco, potente, protetto. E questa considerazione che accentua il
nostro dolore dell’anima riguarda le condizioni dei detenuti, la
mancanza di prospettive e di speranza, la diffusa mancanza di
sensibilità, attenzione e cura per chi si trova in carcere, per chi
esce dal carcere.
La scelta della
nonviolenza attiva, contro ogni violenza e guerra
Nel progetto di una nuova umanità non deve trovare posto la guerra.
Papa Francesco è venuto a Redipuglia il 13 settembre scorso e ha
definito la guerra, ogni guerra “una follia”, riprendendo le parole di
papa Giovanni XXIII nella Pacem in Terris dell’aprile 1963 alienum a
ratione, cioè fuori dalla ragione, appunto una follia; in continuità
con papa Benedetto XV che rispetto alla prima grande tragedia mondiale
aveva parlato non solo di “inutile strage” ma di “orribile carneficina”.
Papa Francesco nella sua riflessione ha chiesto a tutta l’umanità: “se
ci prendiamo cura dei nostri fratelli o se non ci importa nulla di
loro” per dirci esplicitamente che a chi decide le guerre non importa
nulla delle persone. Ha parlato, hanno applaudito e commentato in modo
entusiastico politici, militari, ecclesiastici, ma poi nessuno ha
ripreso le sue parole, proprio nessuno.
Se la guerra è follia, non può essere giustificata definendola giusta,
umanitaria, portatrice di libertà e democrazia… Se è follia dobbiamo
tutti guarire dalla cultura della guerra, dall’identificazione del
nemico che pare motivarla e legittimarla. Stiamo invece constatando che
essa ha riacquistato consenso in questa difficile stagione della storia
dove ci si illude che la forza delle armi possa risolvere tensioni e
conflitti.
Invece, come quotidianamente constatiamo, le armi e le guerre provocano
solo morti, feriti, distruzioni; scavano solchi profondi di distanza,
di inimicizia, di odio fra le persone e i popoli.
Avvertiamo importante approfondire le cause e le concause: le strategie
geopolitiche, il possesso delle risorse, i nazionalismi, i
fondamentalismi, i fanatismi, la produzione e il commercio delle armi,
il militarismo, l’uso strumentale delle religioni.
Ci pare nello stesso tempo che ci sia sempre una questione ineludibile:
perché l’essere umano è così disponibile a passare l’esile confine tra
nonviolenza e violenza e a diventare protagonista di azioni, prima
giudicate disumane, riprovevoli, inaccettabili, fino all’uccisione
dell’altro considerato nemico? Tale questione va affrontata
nell’educazione permanente alla nonviolenza attiva e alla pace; è
un’opera che non finirà mai e che dovrebbe coinvolgerci tutti nei vari
ambiti e nelle diverse responsabilità.
Questa educazione alla pace chiede la liberazione dall’inimicizia per
aprire alla conoscenza e all’accoglienza delle diversità; esige la
gestione dei conflitti con il confronto, il dialogo e la trattativa;
propone una ricomprensione dei morti in guerra e dei simbolismi
successivi, per liberarci dall’esaltazione dell’eroismo, per rivalutare
come uomini di pace la moltitudine immensa di coloro che sono stati
uccisi e bollati come vigliacchi e disertori perché si sono rifiutati
di continuare quella orribile carneficina.
Alla urgente crescita culturale deve accompagnarsi la sensibilità e
l’impegno delle istituzioni e della politica che avvertiamo tiepide e
incoerenti con il dettato stesso della nostra Costituzione: “L’Italia ripudia la guerra”. Nel
mondo interdipendente sempre più si avverte la necessità di riconoscere
l’ONU, da riformare, come unica istituzione deputata a livello mondiale
a intervenire per tutelare la dignità dei popoli e promuovere una
convivenza pacifica, attraverso azioni di indirizzo, mediazione e
interposizione, per le quali va dotata degli strumenti operativi
necessari.
Noi stessi, le nostre comunità cristiane, la Chiesa dovrebbero assumere
come prioritaria la scelta della nonviolenza attiva e della pace, non
relegandola a qualche giornata e celebrazione particolari. Il Vangelo
di Gesù di Nazaret e l’insegnamento di papa Francesco ci stimolano e
incoraggiano. Possiamo attingere allo straordinario patrimonio di
donne, uomini, comunità testimoni autorevoli di giustizia e pace, fino
a dare la loro stessa vita. La riflessione sulla produzione e sul
commercio scandalosi delle armi e sulle guerre ci porta a riflettere su
ogni violenza quotidiana: sui minori, sui deboli nel corpo e nella
psiche, sulle donne, sugli anziani.
L’accoglienza di
ogni altro
La nostra vita è decisa dalle relazioni. L’espressione ‘altro’ che
spesso si usa anche se al maschile e al singolare, di fatto esprime la
pluralità delle persone. Il primo altro che noi incontriamo è la
pluralità di ‘io’ di cui siamo portatori: sono le nostre diversità
personali che per prime ci interrogano chiamandoci a quell’equilibrio
interiore che è il compito arduo della nostra vita.
C’è poi l’altro della quotidianità: a volte ci pare di conoscerlo a tal
punto che la relazione può diventare scontata e superficiale, mentre
chiede sempre attenzione, approfondimento, premura e cura. C’è ancora
l’altro che nella società è segnato dalla sua diversità e per
meccanismi culturali, sociali ed economici viene trascurato, lasciato
da parte, emarginato, dimenticato: pensiamo ai poveri, ai senza dimora,
ai nomadi, a chi è ammalato, a chi si trova nella dipendenza da
sostanze, a chi è omosessuale e transessuale, a chi è in carcere o esce
dal carcere.
Spesso queste persone costituiscono un problema con cui vengono
identificate, di conseguenza volendo eliminare il problema si eliminano
le persone, dimenticando che sono esseri umani con le loro storie,
fatiche, errori, ricchezze, speranze.
E ancora l’altro è lo straniero che arriva fra di noi: sono gli
immigrati, i profughi, i richiedenti asilo. In più occasioni ci siamo
riferiti a loro anche per i quotidiani rapporti, ma sentiamo importante
e doveroso riparlarne con voi perché ci pare che anche nella nostra
Regione sia avvenuto e stia avvenendo ‘qualcosa’ di particolare e di
preoccupante.
La questione dei
migranti
Le migrazioni sono sempre state e sono un fenomeno planetario. Milioni
di esseri umani sono in movimento a causa di povertà, fame, guerre,
violenze, comunque scarse possibilità di una vita dignitosa. Si parte
con una speranza, com’è avvenuto per decenni dalle nostre terre.
L’accoglienza dello straniero è costitutiva dell’insegnamento biblico,
è verifica della nostra fede da parte di Gesù di Nazaret: “Ero forestiero e mi avete accolto nella
vostra casa e ogni volta che avete fatto questo al più piccolo dei
fratelli l’avete fatto a me”.
E’ parte della nostra Costituzione, della Dichiarazione della Carta
Universale dei Diritti dell’Uomo, della Convenzione di Ginevra.
Rifiutare l’accoglienza significa sminuire la nostra umanità, chiudere
nell’implosione le nostre comunità. Tutte le società del Pianeta sono
composte da persone di diversa origine, cultura, lingua, fede
religiosa. La questione dei flussi migratori è complessa, pone
interrogativi sulle modalità e sui percorsi di accoglienza: non
riguarda un paese, né una regione, né l’Italia, ma l’Europa e il mondo
intero.
L’Europa tace o balbetta; anche nel semestre di presidenza italiana non
si registra nessuna decisione strutturale. Il nostro Paese non ha mai
avuto un progetto serio sull’immigrazione; la Legge Bossi-Fini, vigente
dal 2002, è da rinnovare profondamente, poiché continua a guidare
malamente il fenomeno; nessuno la nomina, tanto meno nessuno propone di
modificarla; in Italia non c’è una legge organica sui richiedenti asilo.
Certamente è stato di notevole impegno e di risultati ottimi il
progetto Mare nostrum che ha salvato la vita a circa 100 mila persone.
Manca la seconda parte: quella dell’accoglienza finalizzata. Si cerca
di tamponare le continue emergenze e in assenza di un progetto
strutturato di immediato, medio, lungo termine è diventata strutturale
l’emergenza che nella nostra Regione riguarda in modo particolare le
tante persone che arrivano via terra.
Non mancano certo le esperienze positive a cominciare dalle scuole, per
indicare lo SPRAR, un’accoglienza diffusa sul territorio, ai Centri di
Accoglienza, alle Caritas, ad altri soggetti ancora. L’attuale crisi
economica e la contestuale mancanza di lavoro; la collocazione delle
persone ospitate in edifici e in luoghi discutibili; la mancanza di una
progettualità differenziata che li coinvolga; le disinformazioni nei
loro confronti, la situazione di un malessere sociale diffuso inducono,
a nostro avviso troppo facilmente, a indicare in loro i capri espiatori
di tutte le situazioni difficili, dei disagi e delle tribolazioni che
tante persone vivono.
Non siamo facili a qualificare come razzisti coloro che esprimono
dubbi, perplessità, interrogativi. Cerchiamo di capire le loro ragioni.
Ma avvertiamo che è richiesta una scelta: o ci incontriamo, esprimiamo
le difficoltà e cerchiamo con le comunità e le istituzioni politiche
che dovrebbero essere ben più presenti le strade percorribili per
l’accoglienza; o, come in più di una situazione sta avvenendo anche
nella nostra Regione le difficoltà diventano un rifiuto
dell’accoglienza.
Se ci sentiamo di partecipare alle difficoltà e ci dichiariamo
disponibili al dialogo, non possiamo condividere questo rifiuto: il
rifiuto dell’altro, di ogni altro, in tempo medio e lungo impoverisce
una comunità; anzi già da subito per se stesso è una privazione di
umanità, di etica, di spiritualità. Riflettiamo su alcune espressioni
ascoltate: “non è accettabile una provvisoria tendopoli… una città non
deve diventare la città dei profughi… l’accoglienza di trenta o di
cinquanta persone è inaccettabile … le persone accolte profanerebbero
alcuni luoghi e allontanerebbero i turisti”.
Crediamo che non esistono luoghi ‘sacri’ ma luoghi significativi per le
persone che vi hanno abitato con una vita esemplare; ad esempio, la
stalla di Betlemme non era un luogo sacro, il Golgota e la croce nulla
presentavano di sacro… Gli eventi vissuti li hanno resi significativi.
Ora, pensare che persone costrette a fuggire dalla loro terra violino
l’importanza di un luogo o di un paese è lesivo della loro dignità di
esseri umani… Che poi i progetti turistici dipendano da un piccolo
gruppo di persone accolte è offensivo; ben altre sono le condizioni
storiche e politiche di ieri e di oggi! Certamente, come già dicevamo,
restano i problemi: la mancanza di progetti, di sostegno culturale,
sociale, economico e di un coordinamento significativo a livello
europeo, nazionale e regionale.
Ma perché non possiamo pensare alla nostra Regione come laboratorio
esemplare dell’accoglienza coinvolgendo le Università, le Scuole con
persone competenti e qualificate e quanti hanno maturato esperienze
significative, gli Enti locali, i diversi soggetti del territorio, le
diverse comunità di fede e certamente in modo attivo le persone
accolte? Una presenza imprescindibile, convinta, non timorosa e
defilata, dovrebbe finalmente essere quella della politica e delle
istituzioni. Si è avviata nel comune di Nimis un’esperienza
significativa, non solo per la nostra Regione: perché non seguirla e
diffonderla?
Perché temere che una società privilegi gli immigrati a scapito di
altri, che esprima loro attenzione distogliendola al dramma della
mancanza di lavoro e alle crescenti difficoltà di tante persone? Perché
non pensare in positivo? Noi riteniamo che sia possibile percorrere
questa strada, certo ardua, ma non impraticabile. E che le comunità
cristiane possono svolgere un compito importante per sensibilizzare
cuori, coscienze, intelligenze all’apertura e alla accoglienza di ogni
altro. Altrimenti qual è il senso della celebrazione del Natale?
L’esperienza di profondità, di
silenzio, di interiorità
Avvertiamo in modo crescente l’importanza dell’interiorità, della
spiritualità, dell’essere sensibili prima del progettare e dell’agire.
Di questa dimensione c’è esigenza diffusa, anche se nei suoi confronti
si avverte ancora tanta trascuratezza e noncuranza. La scienza è
importante: ma qual è la qualità umana degli scienziati? La tecnologia
e l’informatica sono importanti: ma quali donne e uomini le praticano?
La politica è importante e lo sono le riforme: ma qual è la qualità
culturale ed etica, quale la dedizione al bene comune delle donne e
degli uomini impegnati in politica? Chi abiterà le riforme, a parte ora
i giudizi differenziati su di esse? Le fedi religiose sono importanti:
ma quale la fedeltà e la coerenza dei fedeli e delle comunità, di chi
riveste compiti di guida come i vescovi e i preti?
La memoria del Natale è sovversiva, non edulcorata, non ingrediente
sociale di questo sistema. Dio si fa presente nell’umanità di un
piccolo bambino, si incarna nella storia, la rende umana; lui stesso
diventa così umano, “totalmente umano da non poter non essere Dio”
(Leonardo Boff). Seguire questo Gesù di Nazaret significa investire le
migliori energie per cercare di essere ogni giorno più umani e di
ritrovare il volto umano anche di nostra Madre Terra.
I preti firmatari:
Pierluigi Di Piazza, Franco Saccavini, Mario Vatta, Giacomo Tolot,
Piergiorgio Rigolo, Andrea Bellavite, Luigi Fontanot, Alberto De Nadai,
Renzo De Ros, Albino Bizzotto, Antonio Santini.
In allegato la lettera in pdf