A quali dimensioni, prospettive, impegni coinvolge quel segno e che messaggio può comunicare?
Decidere di partecipare, di muoversi, di mettersi in cammino esprime
la reazione alla tentazione della rassegnazione, dell’impotenza, della
chiusura. Incontrare altre, tante altre persone e compiere il cammino
insieme manifesta l’esigenza delle relazioni, del sostegno reciproco
nell’idealità e nell’impegno.
Il percorso di pace sulle montagne della Carnia unisce
l’appartenenza alla nostra comunità locale, la volontà di rispondere
alle sue esigenze e l’interdipendenza con tutti i popoli del Pianeta,
con i loro drammi, le loro attese, le loro speranze.
Cammineremo per la pace la notte del 31 dicembre vivendo la
com-passione per le migliaia e migliaia di vittime del terremoto e
maremoto nel Sud-Est asiatico; le riflessioni sono tante e ineludibili:
sul rapporto di noi esseri umani con l’ambiente naturale, con i suoi
terribili movimenti; sull’impegno, se non proprio sempre a prevenire, a
gestire le situazioni e a limitare gli esiti disastrosi.
Rifletteremo sulla relazione fra la finitudine dell’uomo e le sue
scoperte scientifiche; fra la diffusione e l’alta tecnologia dei mezzi
di informazione e di collegamento e l’incredibile assenza di una rete
informativa preventiva, sull’interdipendenza oggettiva e dichiarata e
poi di fatto sulla marginalità e anche allo sfruttamento di intere
popolazioni, pur dentro ai flussi turistici…
Cammineremo con tanto dolore nel cuore perché, certo senza fare
impossibili e disumane distinzioni, sono soprattutto gli impoveriti a
morire…
Spesso in incontri, in dibattiti sulla situazione del Pianeta si
afferma che nella logica e nella pratica del neoliberismo milioni di
persone sono esuberi del sistema, nel senso brutale che se non ci
fossero, il sistema stesso non subirebbe danni, perché quelle persone,
soprattutto donne, bambini, anziani non producono, non consumano,
sopravvivono ai margini.
In modo tragico pare che l’evento naturale di morte e devastazione
confermi questa terribile situazione che è già in atto sul Pianeta, in
tanti altri luoghi. Mediteremo sui meccanismi dell’ingiustizia
strutturale e sulla prospettiva per porvi rimedio, per quello che
comprendiamo e che possiamo, per non curare solo gli esiti drammatici,
scelta per altro sempre umana e doverosa, non solo in eventi così
tragici, nei quali la morte stessa può diventare moltiplicazione di
altra morte.
Nel cammino vivremo dentro di noi il confronto tra le morti e le
distruzioni prodotte dalla natura e quelle prodotte dall’uomo, che
decide la guerra, le armi, le mine antiuomo; che viola i diritti umani,
che compie stragi di innocenti, che discrimina, emargina; che distrugge
l’ambiente vitale…, che determina conseguenze per decenni e decenni;
alcune esemplificazioni fra altre possibili: i tre milioni e mezzo di
uccisi in Africa in Congo e nella Regione dei Grandi Laghi, nel
silenzio della comunità internazionale; le conseguenze dell’uso delle
armi all’uranio impoverito sulle persone e sull’ambiente…
E camminando esprimeremo a Dio la preghiera più drammatica, quella
dell’interrogativo, del dubbio; la domanda che resta sospesa e che può
trovare un indizio di risposta in Dio, vittima della violenza,
Crocifisso sulla Croce… Solo un Dio che partecipa totalmente alla
condizione umana, solo un Dio con cui possiamo piangere insieme lui e
noi, può essere interlocutore; possiamo stare in compagnia di un Dio
cui possiamo affidare la nostra incomprensione, la nostra rabbia
dolorosa e il nostro doloroso senso di impotenza; con il quale possiamo
condividere la com-passione da cui derivi il prendersi a cuore
l’umanità, il prendersi cura in continuità…
Nel cammino questi vissuti saranno presenti nel profondo dell’animo,
insieme alla risonanza dell’indicazione del papa Giovanni Paolo II per
la giornata della pace del 1° gennaio: “Non lasciarti vincere dal male,
ma vinci con il bene il male”.
Il male c’è e produce altro male; rispondere al male con il male
significa alimentarlo; basti pensare alla guerra considerata ormai
assurdamente strumento indispensabile e normale, dopo che era stata
espulsa dalla storia con l’istituzione dell’ONU; oggi assistiamo ad una
perversione: per combattere il terrorismo, per liberare dalla tirannide
si uccidono a migliaia le popolazioni civili, donne e bambini/e
soprattutto.
Per rispondere al male con il bene è necessario credere al bene,
lasciarsene coinvolgere; credere che nonostante tutto l’amore è più
forte dell’avversione e dell’inimicizia; la giustizia è umana,
l’ingiustizia disumana; l’accoglienza umanizza chi accoglie e chi è
accolto; la cultura è rispondente alla profondità umana e il
protagonismo arrogante, ignorante e grossolano è solo apparentemente
vincente; la dedizione e la gratuità diffondono umanità buona e
positiva, l’interesse e il tornaconto personali e di gruppo chiudono,
separano, dividono; la coerenza personale fra le intuizioni, le
dichiarazioni e le decisioni e le azioni della vita è la dimensione più
preziosa e impagabile per ogni persona; una fede religiosa autentica
sollecita e coinvolge nel cambiamento positivo di se stessi e della
storia, nel rapporto inscindibile fra Dio e l’uomo, fra Cristo e il
fratello impoverito, affamato, assetato, carcerato, ammalato,
forestiero; a differenza di una religione di apparato utilizzata per
confermare ingiustizie, violenze e guerre.
Si può vincere il male con il bene, nei diversi ambiti, nelle
differenti responsabilità se ci si crede e si paga il prezzo di una
coerenza quotidiana perseverante a livello personale, sociale,
culturale, comunitario, istituzionale, politico e religioso. In cammino
dunque per contribuire ogni giorno alla giustizia e alla pace, insieme
ai milioni di donne e uomini, alle migliaia di comunità che ogni giorno
sulla faccia del Pianeta spesso in situazioni estreme, resistono,
progettano, si dedicano con generosità fino a dare la propria vita.