GIUSTIZIA
RITARDATA E' GIUSTIZIA NEGATA!
Il comunicato stampa n.
689
9 maggio 2018
Il vecchio adagio
di Montesquieu non ha bisogno di ulteriori verifiche. I ritardi della
giustizia procurano danni incalcolabili ed una sfiducia insanabile.
Nei giorni scorsi ci siamo recati a Roma e, nel disperato tentativo di
vedere smentito l'adagio di Montesquieu, e da subito ci siamo recati
davanti al Quirinale per manifestare tutta la nostra riprovazione per
la vicenda Regeni.
Ribadendo quanto andiamo rammentando settimanalmente sugli schermi di
Telepordenone, la verità sulla fine di Giulio si sta affievolendo
giorno dopo giorno e, giorno dopo giorno, la dignità di un popolo
intero ne viene conseguentemente umiliata. Di fronte alla indolente
viltà dei nostri governanti e all'ammiccante affarismo dell'industria
italiana, la sete di giustizia si va estinguendo e, visto che nessuno
dei nostri governanti non ha il coraggio di battere i pugni sul tavolo,
la cosa si può trascinare all'infinito, i magistrati possono
prendersela comoda e, in barba alla rabbia dei genitori e delle persone
per bene, dilaga la sindrome del cornuto. Quella sindrome che rende
indifferenti, al pari del marito fatto becco, che per quieto vivere
desiste da ogni scenata e da ogni decisione, se non quella di non
rincasare fuori orario per non imbattersi nel flagrante adulterio.
Cosicché all'indignazione iniziale per il barbaro omicidio e per gli
inverecondi depistaggi, l'uomo della strada comincia a lavarsi la
coscienza col dire: “In fondo se l'è cercata!” e “Ma chi gliel'ha fatto
fare!” Senza contare l'incaricato del Comune di Udine, che il 25 aprile
dopo avermi visto reggere lo striscione di Regeni davanti al palco
delle autorità ha pensato bene di insultarmi con un “quanto ti
hanno pagato per farlo?”.
Diciamoci la verità, fosse stato Giulio un israeliano, un inglese o uno
statunitense, a quest'ora i colpevoli non avrebbero avuto scampo e
nessuno avrebbe fiatato. Noi, invece, ci lasciamo cagare in testa e,
per giunta, abbiamo anche il coraggio di fare finta di nulla. Basta che
un militare della base di Aviano commetta un delitto esecrando o un suo
aereo vada sul Cernis a compiere una strage, i colpevoli ci vengono
bellamente levati dalle mani e con buona pace di tutti persino promossi.
Sono dunque andato al Quirinale a dispiegare lo striscione “VERITA' PER
GIULIO REGENI”: in primo luogo per ricordare quella tragedia alle
scolaresche che di questi tempi affollano Roma, ma anche per far vedere
al Presidente della Repubblica che c'è ancora qualcuno indisposto ad
arrendersi. Soprattutto a seguito delle calorose felicitazioni che
Mattarella ha inviato al presidente Al Sisi dopo la sua rielezione.
Ebbene, dopo la farsa di una tornata elettorale priva di concorrenti e
di libertà e dopo due anni e mezzo di prese in giro, Mattarella non ha
mancato di lodare il dittatore: “Abbiamo accolto con favore le
dichiarazioni da lei fatte in più occasioni circa l'impegno suo
personale e delle istituzioni egiziane a pervenire a risultati
definitivi sulla barbara uccisione di Giulio Regeni” per poi dirsi
certo che il rinvenimento della verità, “attraverso una sempre più
efficace cooperazione tra gli organi investigativi, contribuirà a
rilanciare e rafforzare il rapporto storico di assoluto rilievo tra i
nostri Paesi”. Si badi: non nella pretesa di una giustizia dovuta e
colpevolmente negata, bensì allo scopo di rafforzare un rapporto tanto
idilliaco da aver reinsediato l'ambasciatore per non irritare la giunta
militare. Ebbene nessuno dei tengo famiglia e dei quaqquaraquà nostrani
si è rammaricato della uscita del Presidente, quando invece le analoghe
felicitazioni espresse da Donald Trump hanno provocato non poca
irritazione fra i tanti che negli Stati Uniti dubitano della democrazia
egiziana.
Davanti al Quirinale non ho fatto a tempo a dispiegare lo striscione
che sono stato circondato dalla polizia in borghese la quale, neanche
fossimo a Piazza Tienanmen, ha imposto di andarmene. Sia ben chiaro:
bravi ragazzi, costretti ad eseguire ordini impartiti dall'alto da
parte di chi in quel modo pensa di innalzare un muro di ipocrisie fra
la gente e quella che chiamano istituzione. Mi sono rifiutato di
obbedire ed ho chiesto loro di essere arrestato, perché se avevo
infranto una legge, questo era il mio destino. Ma, evidentemente, la
legge non c'era, e loro hanno cominciato a mettere in gioco la loro
carriera: “A dotto', se nun se ne va, ce mette nei guai a noi! Una
situazione imbarazzante e penosa, che mi ha spinto a raccontare loro
come, trovandomi a Londra ed essendosi divulgata la notizia che quattro
ladri di galline erano stati accoppati al Cairo per poterli accusare
dell'omicidio di Giulio, avevo potuto manifestare pubblicamente la mia
indignazione. Preso lo striscione di Giulio che porto sempre con me,
ero andato a stazionare per un'ora davanti al palazzo del Parlamento,
poi per mezz'ora davanti alla residenza del primo ministro di Downing
street e infine di fronte a Westminster, per giunta, suscitando
l'interesse e l'approvazione dei passanti. Raccontai anche di aver
chiesto il permesso, al che un alto funzionario del governo aveva
obiettato di essere orgoglioso del fatto che nel Regno Unito chiunque
potesse manifestare i suoi ideali e le sue rivendicazioni. Insomma: un
altro mondo! Per non dire la frustrazione nel vedere i nostri
poliziotti costretti a fare la guardia all'ipocrisia di Stato o nel
prendere atto dell'assoluto disinteresse dei tanti cineoperatori e
giornalisti che bivaccavano davanti al portone del Quirinale in attesa
del nuovo governo.
Dopo il Quirinale siamo andati a manifestare davanti al Senato e
nell'indifferenza generale l'unico a farsi avanti per reggere lo
striscione è stato nientemeno che il senatore Razzi: per meglio dire
l'ex senatore, che da quando è stato escluso dalle liste elettorali di
Forza Italia lo vedi vagare per Corso Rinascimento come un cane
abbandonato prima delle ferie estive, che ha rinvenuto la porta di casa
e, in attesa del rientro dei padroni, scodinzola a chi lo accarezza, o
quando, scambiandolo per Crozza, i bimbi in gita scolastica gli
chiedono l'autografo.
Evidentemente, la vicenda di Regeni non tira più per i tanti che
all'inizio si erano riempiti la bocca di facili doglianze e che ora non
ne trovano più la convenienza. La querula ex governante si è ben
guardata dal deprecare l'invio dell'ambasciatore al Cairo e intanto gli
striscioni sparsi per il Friuli si stanno scolorendo: non certo quello
mai affisso nei costosi uffici romani della Regione. Uffici di
rappresentanza che si affacciano in piazza Colonna, proprio di fronte a
Palazzo Chigi e non servono ad un bel nulla se non a gravare sulle
tasche degli ignari effevugini, per consentire ai nostri parlamentari
di incontrare la clientela, di parcheggiare le borse della spesa e di
alleviare la gravezza della “pajata” e dei “facioli con le cotiche”,
schiacciando un pisolino e tirando qualche salutare scoreggia.
C'è da rimanere sbigottiti, tanto più nel momento in cui, oggidì, con
grande soddisfazione della Procura di Roma e dei media asserviti alla
politica, è giunta la notizia che gli Egiziani -bontà loro-
consentiranno di visionare le riprese effettuate all'ingresso della
metropolitana del Cairo il giorno della scomparsa di Giulio. Ma si può
accettare che ciò avvenga a distanza di due anni e mezzo dai fatti e
dopo le infinite richieste andate a vuoto? Che ciò avvenga dopo una
catena infinita di bugie, omissioni e depistaggi? E cosa ci aspettiamo
se non il solito trucco utile a trascinare la cosa alle calende greche?
Non succederà nulla se non ci mettiamo in testa che Giulio è la nostra
coscienza, che è figlio di noi tutti e che il suo non è un caso privato
ma l'ennesimo schiaffo alla verità, inferto a questo povero Paese
perché a forza di stragi e di insabbiamenti perda ogni speranza per un
futuro migliore.
Siamo di fronte a dinamiche collaudate, poste a servizio dello status
quo e dei potentati; dinamiche che fanno il paio con le nostre denunce
che finiscono nel dimenticatoio o che riemergono a distanza di anni con
un immancabile non luogo a procedere e solo nel momento in cui è troppo
tardi per contenere gli effetti del reato. Quando due successive
denunce per disastro ambientale spariscono dal tavolo di Pignatone per
dare modo ai colpevoli di svignarsela non ci sono parole per esprimere
lo sgomento. Non di meno la giustizia amministrativa, per essere
infarcita di membri designati direttamente dalla sfera politica,
finisce per assecondarne le trame e gli interessi con una lentezza
esasperante, a volte con decisioni scandalose e
intempestive che vengono pubblicate a distanza di mesi e mesi, rendendo
spesso inutile o inefficace ogni conseguente risoluzione. Ogni
qualvolta si toccano i potentati la lotta si fa impari e a difendere la
verità e i beni comuni contro chi esercita impunemente un abuso di
posizione dominante e manipola i media e gli amministratori pubblici a
suo piacimento servono una determinazione e risorse economiche a non
finire. E allora c'è da chiedersi quale rapporto possa esistere fra la
giustizia formale amministrata dai tribunali e quella sostanziale,
proclamata solennemente dell'articolo 3 della Costituzione?
Tibaldi Aldevis
Comitato per la Vita del Friuli Rurale
www.facebook.com/comitato.friulirurale
In allegato il comunicato in pdf