"Una lettura dei fatti oltre la
cronaca, per il loro significato profondo, favorisce l’andar oltre il
contingente e il sostenere l’orientamento di fondo in cui ci si
riconosce. L’episodio avvenuto a Udine davanti alla scuola di via Della
Roggia; la questione dell’area cimiteriale di Paderno destinata alla
sepoltura di persone di fede islamica, contro la quale è in atto una
incredibile raccolta di firme su iniziativa della Lega Nord; la
probabile e deprecabile approvazione proprio oggi della legge regionale
39 ( a firma di Narduzzi ed altri) un vero esempio di razzismo
istituzionale e politico perché fissa in modo discriminatorio i criteri
di accesso a diversi servizi indispensabili, sono fatti e situazioni
che si collocano nella questione decisiva e sempre aperta del nostro
rapporto con l’altro, raccogliendo in questa convenuta affermazione al
singolare tutte le pluralità delle diversità dell’altro".
Rapporto con l'altro. "Viviamo
in un tempo di complessità, di incertezze e di paure: un atteggiamento
veritiero chiede consapevolezza, non rimozione; impegno ad elaborare, a
gestire, a far evolvere incertezze e paure a rispondervi perché non si
affermi, ancor di più la politica della paura, che alimenta e poi attua
decisioni non per rispondere in modo ragionato alle questioni che
provocano paure, ma alla gonfiatura delle paure. La riflessione sul
rapporto con l’altro dovrebbe iniziare dall’altro che è in noi, che ci
abita. Non siamo un io monolitico, ma siamo diversi io che convivono
anche in modo dialettico e conflittuale. L’arduo compito della nostra
vita è riuscire a gestire la nostra complessità interiore il più
possibile in modo armonico. Pulsioni, tensioni, aggressività, sogni,
dimensioni positive, tribolazioni, acquisizioni, ricchezze, chiedono
costantemente di essere accolte ed equilibrate. Prima di guardare
“fuori” guardiamoci “dentro” perché i nostri atteggiamenti con l’altro
che sta fuori sono in stretto rapporto con l’altro, con i diversi io
che ci abitano. Certe aggressività vengono dal nostro interno: spesso
apostrofiamo, colpiamo l’altro in modi diversi, perché colpiamo in lui
la parte di noi che non accogliamo; non riconosciamo la diversità
dell’altro come proiezione del non riconoscimento delle diversità che
ci abitano. Ne deriva una concezione diversa riguardo all’identità:
identità chiusa che pretende di per sé difesa e aggressività; identità
aperta che riconoscendo il suo nucleo originario e alimentandolo si
apre continuamente per dare e ricevere in una continua rivoluzione e
crescita. Questo riguarda ciascuna e ciascuno di noi come persone, le
nostre comunità locali e le società che facilmente ripropongono la
logica del capro espiatorio, oggi così spesso identificato negli
stranieri e in altri considerati “diversi” in modo dispregiativo:
nomadi, omosessuali, carcerati… La riflessione sull’altro comprende poi
“gli altri della quotidianità”, le persone che frequentiamo, a
cominciare dai nostri familiari. Può insinuarsi e affermarsi una tale
abitudinarietà da considerare le relazioni scontate e da privarle
quindi di quel nutrimento indispensabile per la loro vita, da
alimentare ogni giorno. Può succedere, e sappiamo che avviene con
frequenza inquietante, che l’altro diventi oggetto di strumentalità,
dominio e violenza, proprio in quanto intimo. La reciprocità chiede,
proprio per sua stessa dinamica vitale, attenzione, premura, cura,
disponibilità continue".
Chi fa fatica. "L’incontro
con l’altro riguarda ancora chi fa fatica a vivere nella società; chi
per la sua diversità più evidente, per così dire, viene stigmatizzato
ed emarginato dai meccanismi, dall’esclusione sociale, culturale e
anche religiosa. Le tante esperienze di vicinanza, ascolto,
accompagnamento vivono l’esigenza di capire i meccanismi che producono
le situazioni; non confondendo le persone con i problemi, partecipando
alle storie difficili, sofferenza fisica e psichica, di dipendenze da
sostanze, di carcere e dopo carcere, di prostituzione e di altro
ancora, e proprio con queste esperienze contribuire ad umanizzare la
società e ad incidere sulle responsabilità personali e sociali. E
l’incontro con l’altro riguarda gli stranieri, la loro presenza, con
una considerazione continua sulle cause dell’immigrazione, con progetti
di vera cooperazione con i paesi di provenienza, con politiche e
legislazioni di accoglienza nel nostro paese, non confondendo le regole
doverose, con una concezione etnocentrica, con egoismi e localismi
tribali. Con razzismo culturale e, istituzionale, e politico, si può
considerare ancora un altro possibile Altro, chiamato in modi diversi
per indicarne la presenza misteriosa. Nella nostra Regione e nel nostro
Paese tanti lo riconoscono nel nome e nell’insegnamento di Gesù Cristo,
salvo poi a strumentalizzarlo e a smentirne il messaggio con scelte che
con evidenza lo negano, con politiche razziste a confronto di un
insegnamento di apertura e solidarietà universali."
Il razzismo.
"L’episodio davanti alla scuola in via Della Roggia evidenzia
un’aggressività diffusa che viene aumentata nel momento in cui l’altro
esprime una diversità più facilmente colpibile in un clima sociale
favorevole a questa ostilità. La raccolta di firme per negare uno
spazio del cimitero di Paderno alla sepoltura di persone di religione
mussulmana per me è incredibile, perché disumana, negatrice di quella
pietas che dovrebbe caratterizzare noi donne e uomini come umani. Il
razzismo riguarda i morti perché riguarda i vivi. Che il territorio sia
considerato così proprio da non poter cogliere l’altro, né da vivo né
da morto è di una gravità inqualificabile. Il Consiglio Comunale
comunque ha approvato la decisione positiva. Sarei curioso di ascoltare
qualche motivazione religiosa, che unirebbe così al razzismo anche la
bestemmia. Quello che purtroppo potrà accadere proprio oggi nell’aula
del Consiglio regionale su iniziativa della Lega Nord è ancora di una
gravità inaudita: limitare l’accesso alla maggior parte dei servizi
pubblici di sostegno al reddito e alla famiglia ai soli residenti (o
lavoratori) in Friuli Venezia Giulia da almeno 15 anni è dettato da una
visione disgregante della società, in cui si afferma un
autoriconoscimento della titolarità di diritti e di servizi in rapporto
ai tempi di residenza nel territorio regionale. Gli altri, cittadini
stranieri e anche italiani che siano, minori e adulti, donne e uomini,
ne sono privati, contraddicendo in modo palese la Costituzione, la
Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e altri pronunciamenti sui diritti
umani. La parola da usare in modo legittimo è “vergogna!” con le
responsabilità che ciascuna/o deve assumersi a livello personale,
sociale, politico, religioso: speriamo che tutte le persone che hanno a
cuore la dignità umana denuncino questa totale disumanità; che tutte le
donne e gli uomini che vivono una fede religiosa in nome di Dio e
dell’uomo facciano altrettanto; chi frequenta le chiese, chi vive
l’Eucarestia segno di fraternità e condivisione, si dissoci in modo
chiaro e netto dichiarando che questa strada porta alla disumanità e
sappiano indicare, come già operano con tante esperienze positive, la
strada della giustizia, dell’accoglienza, della concreta solidarietà,
della pace".
Don Pierluigi Di Piazza