«Siamo di fronte a una totale disumanità»
«Siamo di fronte a una totale disumanità»
Dagli episodi di razzismo, fino alla legge sul welfare
CENTRO BALDUCCI, ZUGLIANO - 29/09/09

"Una lettura dei fatti oltre la cronaca, per il loro significato profondo, favorisce l’andar oltre il contingente e il sostenere l’orientamento di fondo in cui ci si riconosce. L’episodio avvenuto a Udine davanti alla scuola di via Della Roggia; la questione dell’area cimiteriale di Paderno destinata alla sepoltura di persone di fede islamica, contro la quale è in atto una incredibile raccolta di firme su iniziativa della Lega Nord; la probabile e deprecabile approvazione proprio oggi della legge regionale 39 ( a firma di Narduzzi ed altri) un vero esempio di razzismo istituzionale e politico perché fissa in modo discriminatorio i criteri di accesso a diversi servizi indispensabili, sono fatti e situazioni che si collocano nella questione decisiva e sempre aperta del nostro rapporto con l’altro, raccogliendo in questa convenuta affermazione al singolare tutte le pluralità delle diversità dell’altro".

Rapporto con l'altro. "Viviamo in un tempo di complessità, di incertezze e di paure: un atteggiamento veritiero chiede consapevolezza, non rimozione; impegno ad elaborare, a gestire, a far evolvere incertezze e paure a rispondervi perché non si affermi, ancor di più la politica della paura, che alimenta e poi attua decisioni non per rispondere in modo ragionato alle questioni che provocano paure, ma alla gonfiatura delle paure. La riflessione sul rapporto con l’altro dovrebbe iniziare dall’altro che è in noi, che ci abita. Non siamo un io monolitico, ma siamo diversi io che convivono anche in modo dialettico e conflittuale. L’arduo compito della nostra vita è riuscire a gestire la nostra complessità interiore il più possibile in modo armonico. Pulsioni, tensioni, aggressività, sogni, dimensioni positive, tribolazioni, acquisizioni, ricchezze, chiedono costantemente di essere accolte ed equilibrate. Prima di guardare “fuori” guardiamoci “dentro” perché i nostri atteggiamenti con l’altro che sta fuori sono in stretto rapporto con l’altro, con i diversi io che ci abitano. Certe aggressività vengono dal nostro interno: spesso apostrofiamo, colpiamo l’altro in modi diversi, perché colpiamo in lui la parte di noi che non accogliamo; non riconosciamo la diversità dell’altro come proiezione del non riconoscimento delle diversità che ci abitano. Ne deriva una concezione diversa riguardo all’identità: identità chiusa che pretende di per sé difesa e aggressività; identità aperta che riconoscendo il suo nucleo originario e alimentandolo si apre continuamente per dare e ricevere in una continua rivoluzione e crescita. Questo riguarda ciascuna e ciascuno di noi come persone, le nostre comunità locali e le società che facilmente ripropongono la logica del capro espiatorio, oggi così spesso identificato negli stranieri e in altri considerati “diversi” in modo dispregiativo: nomadi, omosessuali, carcerati… La riflessione sull’altro comprende poi “gli altri della quotidianità”, le persone che frequentiamo, a cominciare dai nostri familiari. Può insinuarsi e affermarsi una tale abitudinarietà da considerare le relazioni scontate e da privarle quindi di quel nutrimento indispensabile per la loro vita, da alimentare ogni giorno. Può succedere, e sappiamo che avviene con frequenza inquietante, che l’altro diventi oggetto di strumentalità, dominio e violenza, proprio in quanto intimo. La reciprocità chiede, proprio per sua stessa dinamica vitale, attenzione, premura, cura, disponibilità continue".

Chi fa fatica. "L’incontro con l’altro riguarda ancora chi fa fatica a vivere nella società; chi per la sua diversità più evidente, per così dire, viene stigmatizzato ed emarginato dai meccanismi, dall’esclusione sociale, culturale e anche religiosa. Le tante esperienze di vicinanza, ascolto, accompagnamento vivono l’esigenza di capire i meccanismi che producono le situazioni; non confondendo le persone con i problemi, partecipando alle storie difficili, sofferenza fisica e psichica, di dipendenze da sostanze, di carcere e dopo carcere, di prostituzione e di altro ancora, e proprio con queste esperienze contribuire ad umanizzare la società e ad incidere sulle responsabilità personali e sociali. E l’incontro con l’altro riguarda gli stranieri, la loro presenza, con una considerazione continua sulle cause dell’immigrazione, con progetti di vera cooperazione con i paesi di provenienza, con politiche e legislazioni di accoglienza nel nostro paese, non confondendo le regole doverose, con una concezione etnocentrica, con egoismi e localismi tribali. Con razzismo culturale e, istituzionale, e politico, si può considerare ancora un altro possibile Altro, chiamato in modi diversi per indicarne la presenza misteriosa. Nella nostra Regione e nel nostro Paese tanti lo riconoscono nel nome e nell’insegnamento di Gesù Cristo, salvo poi a strumentalizzarlo e a smentirne il messaggio con scelte che con evidenza lo negano, con politiche razziste a confronto di un insegnamento di apertura e solidarietà universali."

Il razzismo. "L’episodio davanti alla scuola in via Della Roggia evidenzia un’aggressività diffusa che viene aumentata nel momento in cui l’altro esprime una diversità più facilmente colpibile in un clima sociale favorevole a questa ostilità. La raccolta di firme per negare uno spazio del cimitero di Paderno alla sepoltura di persone di religione mussulmana per me è incredibile, perché disumana, negatrice di quella pietas che dovrebbe caratterizzare noi donne e uomini come umani. Il razzismo riguarda i morti perché riguarda i vivi. Che il territorio sia considerato così proprio da non poter cogliere l’altro, né da vivo né da morto è di una gravità inqualificabile. Il Consiglio Comunale comunque ha approvato la decisione positiva. Sarei curioso di ascoltare qualche motivazione religiosa, che unirebbe così al razzismo anche la bestemmia. Quello che purtroppo potrà accadere proprio oggi nell’aula del Consiglio regionale su iniziativa della Lega Nord è ancora di una gravità inaudita: limitare l’accesso alla maggior parte dei servizi pubblici di sostegno al reddito e alla famiglia ai soli residenti (o lavoratori) in Friuli Venezia Giulia da almeno 15 anni è dettato da una visione disgregante della società, in cui si afferma un autoriconoscimento della titolarità di diritti e di servizi in rapporto ai tempi di residenza nel territorio regionale. Gli altri, cittadini stranieri e anche italiani che siano, minori e adulti, donne e uomini, ne sono privati, contraddicendo in modo palese la Costituzione, la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e altri pronunciamenti sui diritti umani. La parola da usare in modo legittimo è “vergogna!” con le responsabilità che ciascuna/o deve assumersi a livello personale, sociale, politico, religioso: speriamo che tutte le persone che hanno a cuore la dignità umana denuncino questa totale disumanità; che tutte le donne e gli uomini che vivono una fede religiosa in nome di Dio e dell’uomo facciano altrettanto; chi frequenta le chiese, chi vive l’Eucarestia segno di fraternità e condivisione, si dissoci in modo chiaro e netto dichiarando che questa strada porta alla disumanità e sappiano indicare, come già operano con tante esperienze positive, la strada della giustizia, dell’accoglienza, della concreta solidarietà, della pace".

Don Pierluigi Di Piazza

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