Riconoscimento 2009
Riconoscimento 2009
Premio Honor et Dignitas Ernesto Balducci - 25 Aprile 2009
Centrobalducci-Zugliano Udine 25 aprile 2009

In una Sala Petris gremita di persone provenienti da varie parti d’Italia e del mondo il giorno 25 aprile ha avuto luogo la cerimonia per la consegna del primo premio Honor et Dignitas Ernesto Balducci a Maryam Rawi, rappresentante di RAWA (Revolutionary Association of Women of Afghanistan).

Come affermato da don Pierluigi Di Piazza, la data è stata scelta per un duplice motivo: da una parte la Festa della Liberazione dal nazifascismo e, dall’altra, l’anniversario della morte di padre Balducci che fondò la sua profezia sul concetto di uomo planetario e sulla certezza che gli uomini del futuro o saranno uomini di pace o non saranno. Sono presenti anche i due figli di Maryam: la figlioletta Imam di soli sei mesi, il cui nome significa portatrice di pace, e il figlio Arson di dieci anni il cui nome ricorda un leggendario eroe afgano che lottò per il bene della sua gente. Con la loro presenza e i loro due nomi tanto significativi i due piccoli  diventano segno di speranza per il tormentato Afghanistan e per tutto il Pianeta.
Sono presenti anche Mary Bricker Jenkins, Stanley Mwaura Nderitu, Guadalupe Rodriguez, Carlos Alberto Ruiz e Libertad Sanchez, rappresentanti di vari gruppi e associazioni tornati al Centro Balducci per esprimere le motivazioni che li hanno indotti a scegliere RAWA.



Mary Bricker Jenckins (USA) ha documentato le drammatiche situazioni di povertà negli Usa e riprendendo l’insegnamento di M. Luther King ha messo in relazione la fine della povertà con la fine della guerra descrivendone gli intrecci, le relazioni economiche e le implicazioni di migliaia di persone, dichiarando la profonda vicinanza alle popolazioni dell’Afghanistan e alle donne di RAWA.

Carlos Alberto Ruiz della Comisìon Intereclesial de Justicia y Paz de Bogotà (Colombia) nella sua comunicazione ha ribadito la necessità di incontrarci, di coltivare le resistenze perché lo sdegno e le ribellioni non si attenuino, proprio perché si nutrono della necessità di salvare la vita. Ha ricordato le parole di E. Galeano: “Non siamo le nostre parole, siamo soprattutto quello che facciamo per cambiare quello che siamo”. Ha ribadito l’importanza della celebrazione al Centro Balducci, il 25 aprile, con la presenza di Maryam, donna afgana, per comunicarci reciprocamente la capacità di indignarci, perché senza indignazione non c’è dignità.

Guadalupe Rodriguez donna argentina di Salva la Selva (Germania), ha proposto alcune riflessioni sulla salvaguardia dell’ambiente vitale evidenziando la responsabilità di chi di fatto prende le decisioni e rispetto a queste le nostre responsabilità. In questa prospettiva ha sottolineato la grande importanza della rete internazionale contro l’impunità e la globalizzazione del mercato, della sua presenza in diversi luoghi del Pianeta e della necessità di sostenerla.

Stanley Mwaura Nderitu di NECOFA (Kenya) ha ricordato l’impegno della sua organizzazione contro l’invasione delle monocolture e degli agro combustibili; ha riflettuto poi sulla grande importanza di trovarsi tra persone rappresentati di comunità che credono che un mondo migliore sia possibile; di comunicare reciprocamente sogni, utopie, esperienze concrete per superare i possibili momenti di sfiducia, di isolamento, di scoraggiamento, di fatalismo e rassegnazione ed ha indicato come esemplare la lotta delle donne di RAWA.
A lei sono state consegnate una targa e la somma di  euro 5.000,00  per il sostegno alle attività di RAWA: progetti sanitari, formativi, comunitari. Che una donna afgana abbia parlato di padre Balducci il 25 aprile in un centro di accoglienza per stranieri e di promozione culturale a lui dedicato è un segno di grande significato, riferito a quell’uomo planetario che lui aveva prefigurato; confermato anche dalla presenza al tavolo dei relatori e nella sala con gli ospiti stranieri del centro dei rappresentanti, per esprimerci ancora con il linguaggio di padre Ernesto, delle tribù della Terra.


Riportiamo il discorso di Maryam Rawi.

I presenti non dimenticheranno la musicalità della lingua parsi in cui è stato pronunciato, né la dignità e il coraggio delle sua denuncia.

“Sono felice di essere qui in rappresentanza di RAWA per ritirare il premio che è stato dato alla mia associazione, e vorrei ringraziare tutti i presenti, Pierluigi e i rappresentanti della giuria: il premio è importante per noi perché riconosce la lotta che da trent’anni RAWA porta avanti nel nostro paese per ottenere la pace, la democrazia, i diritti umani, la giustizia sociale. La cosa che ci rende più orgogliose è il fatto che il premio sia stato assegnato da persone che appartengono ad altri movimenti che stanno lottando per i diritti all’interno dei propri paesi.

L’Afghanistan è un paese sfortunato che da trenta anni, da quando c’è stato l’arrivo dei sovietici, è coinvolto in una dura lotta contro il fondamentalismo e gruppi vari come i talebani. Fino all’intervento degli Stati Uniti nella stampa internazionale non c’erano molte notizie sul nostro paese. L’interesse che gli Stati Uniti e le altre potenze occidentali hanno dimostrato nei confronti dell’Afghanistan è stato sicuramente mosso da motivi politici, strategici e da quella che viene chiamata la lotta al terrorismo. L’Afghanistan è un paese dove soprattutto le donne sono state colpite dalle azioni dei fondamentalisti, dalle azioni dei signori della guerra e dalla presenza di Al Qaeda.

Tutti sanno che otto anni fa gli Stati Uniti sono intervenuti militarmente in Afghanistan con tre motivazioni: l’affermazione dei diritti delle donne, l’istituzione della democrazia e la lotta al terrorismo. In realtà questi sono slogan per il popolo afgano e per i popoli del mondo, sono pretesti per giustificare la presenza militare. La situazione in Afghanistan ora è molto più grave di come viene descritta dalla stampa internazionale. Gli Stati Uniti e tutte le altre forze occidentali, attualmente presenti in Afghanistan con il pretesto di combattere il terrorismo, hanno sorretto di fatto dei veri e propri criminali di guerra come ad esempio i gruppi che compongono l’Alleanza del Nord. La condizione delle donne è decisamente peggiorata da quello che era diversi anni fa. Le donne sono le principali vittime della presenza straniera in Afghanistan. Le violenze e gli stupri, anche su ragazze minorenni e su donne anziane, stanno diventando una prassi comune. Vi sono matrimoni forzati di ragazze giovanissime, vi sono attacchi con l’acido nei confronti di studentesse e insegnanti e si è così arrivati a una percentuale altissima di suicidi. E’ una situazione tragica  che è ulteriormente peggiorata negli ultimi tempi. Di recente è stata firmata una legge che proibisce qualsiasi tipo di movimento e di autodeterminazione della donna, legge che non ha nessun tipo di riscontro in nessun altro paese. Se uno dei motivi per intervenire in Afghanistan era quello di portare a un riconoscimento dei diritti delle donne, allora cosa sta succedendo? Si sta tornando indietro al periodo talebano.

Dopo otto anni di presenza militare, le donne non si tolgono il burka perché hanno paura di essere attaccate per strada dai talebani o da altri gruppi fondamentalisti. Vi sono organizzazioni indipendenti come la Human Rights Watch le quali affermano che l’85% dei membri del parlamento afgano appartengono ai vari gruppi collegati ai signori della guerra. Per quanto riguarda gli aiuti economici all’Afghanistan, vorrei ricordare che una delle condizioni poste per far passare la legge sulla ricostruzione è stata quella di non processare nessuno dei criminali di guerra che siedono in parlamento. La situazione dei giornalisti in Afghanistan è gravissima e tanti vengono arrestati perché non si possono esprimere opinioni contrarie a quella che è la linea del governo. Il giornalista Perwiz Kambakhsh è stato condannato in prima istanza a morte e poi la pena è stata commutata in venti anni di carcere. Altri giornalisti sono stati uccisi. Di che democrazia si tratta se spegne la voce di associazioni come RAWA, mentre i signori della guerra sono liberi di fare e disfare quello che vogliono? Per tutto questo il nostro popolo si sente scoraggiato nei confronti delle elezioni che si terranno tra poco per la scelta del nuovo presidente  e anche l’ultimo slogan, quello della lotta al terrorismo, a noi sembra una presa in giro.

L’uccisione di donne uomini e bambini, i bombardamenti di vittime innocenti e tutto il nuovo scenario che si sta aprendo per noi risulta essere un aggravarsi della guerra, non un percorso verso una situazione pacificata: che tipo di strategia può essere quello di invitare al tavolo delle trattative i talebani moderati o addirittura personaggi criminali come Gulbuddin Hekmatyar? Quello che è importante ora è ascoltare le esigenze del popolo che fino a questo momento è stato la vittima principale di questo tipo di strategie militari. Il fatto di voler rafforzare la presenza  straniera in Afghanistan porterà solo alla costruzione di altre basi militari. Si deve inoltre dire che anche da parte dei paesi europei e dell’Italia non vediamo nessuna differenza dalla strategia statunitense. C’è solo un riposizionamento della strategia militare portata avanti dalla NATO.

Quello che RAWA continua a dire è che valori importanti come la democrazia e la libertà non possono essere importati con la forza nel nostro tormentato paese. Quello che non ci  stanchiamo di ripetere è che con la presenza delle forze militari statunitensi e occidentali non arriveremo mai al benché minimo diritto. RAWA, ricordando Meena, una delle sue fondatrici che è stata uccisa, e ricordando  le tantissime migliaia di donne e di uomini che sono stati uccisi, continuerà la lotta per i diritti e per la pace in Afghanistan. Continuerà anche la lotta per portare di fronte a una corte internazionale i signori della guerra, i criminali di guerra che attualmente siedono all’interno del parlamento afgano.

Il premio che oggi RAWA riceve ricorda padre Ernesto Balducci, un uomo che ha sempre operato per la pace. Il miglior modo di ricordare la sua memoria è quello di continuare l’impegno per un mondo di pace e giustizia. So anche che oggi ricorre l’anniversario della vittoria dei partigiani. Per noi è un onore e una gioia essere qui oggi. Sono sicura che il vostro sostegno a RAWA e alle donne non verrà mai a mancare, e questo ci fa sperare nel giorno in cui le donne afgane e tutto il popolo afgano vedrà la propria liberazione dalle forze oscure rappresentate dai talebani, da Al Qaeda e dai signori della guerra. Vi ringrazio ancora dal profondo del cuore e stringo le mani di ognuno di voi.”

Maryam Rawi
(trascrizione a cura di Anna-Maria Chiavatti)



RAWA
(Revolutionary Association of Women of Afghanistan)

L'Associazione Rivoluzionaria delle Donne d'Afghanistan nacque nel 1977 a Kabul, come organizzazione socio-politica indipendente di donne in lotta per i diritti umani e la giustizia sociale in Afghanistan. Fu fondata da un gruppo di donne intellettuali afgane guidate da Meena, assassinata nel 1987 a Quetta, in Pakistan, dagli agenti afgani dell'allora KGB, in connivenza con i fondamentalisti di Gulbuddin Hekmatyar. L'obiettivo di RAWA era coinvolgere un crescente numero di donne afghane in attività politiche e sociali volte ad ottenere diritti umani per le donne e contribuire alla lotta per la ricostituzione in Afghanistan di un governo basato su valori democratici e laici. Nonostante l'opprimente atmosfera politica, RAWA fu ben presto coinvolta in molteplici attività in ambito socio-politico, comprendenti sia l’istruzione, la sanità, l’economia che l’attività politica.
Dopo l'occupazione sovietica dell'Afghanistan nel dicembre 1979, RAWA fu direttamente coinvolta nella resistenza e chiese fin dall'inizio democrazia e LAICITà. Nonostante gli orrori e l'oppressione politica, l'interesse per RAWA e la sua influenza crebbero e un numero crescente di attiviste di RAWA fu inviato a lavorare tra le donne rifugiate in Pakistan con attività di assistenza sanitaria, corsi di alfabetizzazione e avviamento professionale. Le manifestazioni contro gli invasori sovietici e i loro alleati e, più tardi, contro i fondamentalisti, le denunce dei loro crimini hanno caratterizzato le attività politiche di RAWA, con conseguenti minacce di morte per le attiviste.  Con lo scopo di diffondere le proprie opinioni e i propri obiettivi e di dare alle donne afghane consapevolezza sociale e politica dei loro diritti e delle loro potenzialità, RAWA pubblica dal 1981 una rivista bilingue (persiano/pashtu), Payam-e-Zan (Messaggio delle donne). Per coloro che non parlano persiano o pashtu sono disponibili supplementi in urdu e in inglese. Dopo il rovesciamento nel 1992 del regime fantoccio installato dai Sovietici, l'obiettivo principale della lotta politica di RAWA è stato in generale contro la politica e le atrocità dei fondamentalisti e dei talebani nei confronti del popolo afghano e, in particolare, contro il loro atteggiamento maschilista nei riguardi delle donne.
A parte le sfide politiche che RAWA deve affrontare, è enorme il lavoro sociale e di conforto soprattutto per le  donne e i bambini profondamente traumatizzati dalla guerra e dal regime dei talebani. Le attività sono purtroppo ridotte per mancanza di fondi.

RAWA vive contenuti profondi che comunica e insegna soprattutto ai bambini alle bambine e ai giovani: il rispetto di ogni essere umano, indipendentemente da lingua, religione, razza, colore; il rispetto di ogni fede religiosa  e delle persone che in essa si riconoscono; il rispetto di tutti i gruppi etnici esistenti in Afghanistan, della loro lingua e cultura; della loro pari dignità; la conoscenza di altre comunità del Pianeta e la stima per tutti coloro che hanno dato la loro vita per la giustizia e la libertà, che sono portati ad esempio; riconoscimento e rispetto della pari dignità della donna, in alternativa ai gruppi fondamentalisti che trattano le donne come esseri inferiori; il rispetto per tutte le persone portatrici di infermità fisica, mentale, emozionale e la promozione di buone relazioni con loro; il rispetto e la promozione dei diritti dei bambini/bambine e della loro crescita armonica.
E ancora l’attenzione, la premura e la cura per la Madre Terra e tutti gli esseri viventi; l’impegno a liberarci dell’aggressività e della violenza, evitando anche tutte le situazioni che invece le sostengono e le diffondono.
E ancora il rispetto al valore della vita, in concreto: l’onestà, la decenza, la semplicità, l’unità, l’amore, la pazienza, la responsabilità, il rispetto e l’aiuto agli altri, l’apertura e la comprensione delle loro idee; la serenità di tutti.
E ancora: il rispetto per la propria famiglia e per quella degli latri, la dignità e la saggezza delle persone anziane appartenenti alla grande famiglia umana a cui tutti apparteniamo.
Concorre sempre al bene comune con la partecipazione, il dialogo, il tributo della diversità: liberandosi dai pregiudizi, nel rispetto della libertà e della diversità di persone e gruppi, rapportando sempre giustizia e libertà. E promuove costantemente la pace, liberandosi dalle forze militari e dai fondamentalisti che ne fanno uso, a partire dall’Afghanistan, con riferimento a tutti i conflitti del Pianeta.





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