Vivo spesso la memoria di
padre
Davide Turoldo, non solo oggi, 20° anniversario della sua morte
fisica: personalmente, nella comunità, negli incontri pubblici. E’
stata molto importante in questi anni la presenza dell’Associazione
Turoldo che con la guida di don Nicola Borgo ha via via proposto
momenti di conoscenza, di riflessione, di attualizzazione; quindi
l’incoraggiamento a chi continuerà questa indispensabile presenza. Uomo
di fede, profeta e poeta, così anche personalmente lo sento; il
pericolo della occasionalità e della strumentalità nei suoi riguardi è
sempre in agguato. Ritengo che dovremmo chiederci in continuità, quindi
anche in questo oggi della storia, che cosa direbbe padre Davide
riguardo alla fede e alla Chiesa; ai poveri e alle guerre, agli
immigrati e all’ambiente vitale.
Ripensando alla sua profezia certamente scuoterebbe la Chiesa
richiamandola ad essere fedele al Vangelo e al Concilio Vaticano II;
denuncerebbe, come ha sempre fatto con passione veemente, la
costruzione e il commercio delle armi e le guerre, ogni guerra; e con
la voce profonda e vibrante, in nome di Dio, evidenzierebbe come
contrario a Dio e all’uomo, ogni forma di pregiudizio, discriminazione
e razzismo velato ed esplicito, personale, sociale e politico. Certo si
sarebbe adirato contro l’uso strumentale della religione, perfino del
Crocifisso, per difendere identità chiuse, difensive e aggressive. E
certo continuerebbe a cantare con la sua poesia ricca di
profondità, di evocazioni, di contemplazione tutti gli esseri viventi,
l’intero creato, nelle sue evidenze e nel suo mistero.
Nel novembre del 1992 la rivista
Civiltà
Cattolica, fonte autorevole, certo non sospetta così scrisse di
lui: “Davide Turoldo è stato fra gli spiriti più vivaci del nostro
secolo. Le esigenze, le ambiguità, gli approdi, le scelte che hanno
contraddistinto la seconda metà del Novecento hanno in lui un
sismografo attento e appassionato. Gli aggettivi che meglio lo
qualificano sono quattro: ribelle, impetuoso, drammatico e fedele.
Ribelle a quanto offende Dio e quindi anche l’uomo, come l’ingiustizia,
il sottosviluppo, la sopraffazione, la rassegnazione passiva, la fede
come sistema e alla politica come potere, il razzismo. Impetuoso:
talvolta anche intemperante nelle sue azioni e nei suoi atteggiamenti.
Su quale fronte non ha combattuto? A quali marce non ha partecipato?
Quale provocazione non ha fatto sua? Drammatico: nel senso che ha
vissuto ogni realtà, fede, arte, scelte in chiave drammatica, di lotta
e impegno totale. Fedele: alla sua fede, alla sua vocazione, alla sua
origine, alle sue scelte: “fedele e libero”, questo era il suo motto.
Era peraltro prevedibile che la sua esistenza si sarebbe svolta in
ritmi movimentati, polemici, tesi, ma sempre all’ombra dell’onestà
verso Dio, se stesso, gli altri”.
Sempre presenti in lui le sue radici da cui si è aperto al Pianeta; la
sua terra, il Friuli, non certo in modo chiuso e localista,
“soprattutto un determinato Friuli, quello prima del terremoto e delle
autostrade”; e la madre in intima relazione generatrice con Maria. Non
la miseria da cui liberarsi, ma la povertà come condizione esistenziale
di salvezza. La vocazione avvertita come mistero e incarnazione nella
storia: “I poveri sono stati la causa della mia vocazione; sono il
contenuto della mia fede, fonte di ispirazione della mia poesia e della
mia predicazione. Per loro mi sono fatto voce, sempre a sognare i
grandi sogni di umanità e di giustizia”. La passione inscindibile per
Dio e per l’uomo sono state la motivazione e insieme l’espressione
della sua dedizione e del suo impegno.
A Milano, nella corsia dei Servi; nei movimenti per la libertà e la
giustizia; nelle omelie in Duomo per dieci anni; nel coinvolgimento
appassionato nell’esperienza di don Zeno Saltini a Nomadelfia; nei
vissuti tribolati per i richiami da parte delle gerarchie fino
all’imposizione di lasciare l’Italia: “ero senza casa e senza chiesa e
dovevo girare” e questo in non pochi paesi; nella presenza nella
Firenze di Elia Della Costa, Giorgio La Pira, don Milani, padre
Balducci; nella presenza a Udine alle Grazie con l’Eucarestia della
domenica sera; nel film
Gli ultimi.
E sempre ad annunciare la Parola di Dio incarnata nella storia, con
passione; ad esprimere idealità, inquietudini, contemplazione e
incarnazione nella poesia.
La sua lunga presenza a Fontanelle di Sotto il Monte nell’abbazia di S.
Egidio è originata da papa Giovanni XXIII: “Quando è comparso papa
Giovanni io ho pensato: finalmente è arrivato un uomo che non ha
puntato su oro e argento ma solo sulla fede e nel nome di Gesù ha
detto: -
Alzati e cammina. E
tutto il mondo si è messo a camminare. Un luogo di accoglienza e
ospitalità a chiunque è in ricerca; di studio, riflessione e preghiera;
di celebrazione. Un uomo di fede profonda nella ricerca, nel tormento,
nell’abbandono fiducioso in Dio, coinvolto in Gesù di Nazaret che lo
rivela; il coinvolgimento per una Chiesa profetica: “L’autorità della
Chiesa non è nella sua capacità di organizzazione e di forza, nè nei
suoi depositi e nelle sue ricchezze; l’autorità è nella sua capacità di
donare, di servire... E non mi troverete mai che abbia negato
l’autorità; io ho sempre negato il potere, sempre, tutta la mia vita.
Volevo semplicemente essere fedele con me stesso, fedele e libero...
Una Chiesa senza profezia è un cadavere! Sarà un’impresa umana, ma non
è una Chiesa”
Anche gli ultimi anni di malattia sono stati per lui un tempo di
dialogo, anche dibattito con Dio, di essenzialità, di affidamento, di
testimonianza per molti, di speranza. Due ricordi: nel 1979, nel cinema
parrocchiale di Paderno a Udine, dove l’avevo invitato per presentare
il suo film
Gli ultimi; e nel
settembre ’91 all’arena di Verona. Così il suo amico padre Balducci
ricorda il suo ultimo incontro con padre Davide: “Quando si alzò vidi
accanto a lui la morte, ma vidi che egli era più grande, la sovrastava.
Camminando accanto a me per le vie di Milano, in quell’ora notturna,
così gracile e così nobile, capii che egli ormai andava oltre, verso
l’Eterno. E ricorda il settembre ’91 all’arena di Verona. C’erano
venti, trenta mila giovani del popolo della pace. Appena egli apparve
con passo mal certo, per sedersi sul palco, proruppe un applauso
immenso fra un gioioso sventolio di fazzoletti e striscioni colorati.
Sembrava una scena gloriosa dell’Apocalisse. Aveva le lacrime agli
occhi. -Sii felice, Davide, sono gli angeli che ti accoglieranno in
trono- gli dissi”.
Mi chiedo: quanto e come si vive la memoria del credente, profeta e
poeta padre Davide Maria Turoldo, a cominciare dalle chiese del nostro
Friuli? Certamente troppo poco!