... di Elisa Cozzarini
“Mi hanno preso
mentre ero a fare la spesa, ero senza
permesso di soggiorno, così sono finito qua”, racconta Mohammed, 29
anni, in
Italia dal 1998 e trattenuto nel Centro di Identificazione ed
Espulsione di
Gradisca d’Isonzo da cinque mesi. “Non ho nessuna intenzione di tornare
in
Marocco, perché tutta la mia famiglia è a Rimini. Ho lavorato per otto
anni in
Italia e non sono mai stato in carcere, il mio unico reato è non avere
un
contratto di lavoro”.
Mohammed
è uno dei 24 “ospiti” attualmente presenti nel CIE di Gradisca,
provincia di
Gorizia. Questo è il secondo CIE d’Italia per grandezza, dopo quello di
Ponte
Galeria a Roma, con una capienza di 248 posti. Per la prima volta dal
2008, venerdì
11 maggio sono entrati di nuovo nella struttura giornalisti, fotografi
e una
troupe del tg3, grazie alla campagna lasciateCIEntrare, lanciata a
luglio
dell’anno scorso anche dalla Fnsi.
Il
CIE è gestito dalla cooperativa di Trapani Connecting people tramite
una
convenzione con la Prefettura e attualmente costa allo Stato 5.166 euro
al
giorno. Il contratto infatti prevede che, se il CIE è occupato per meno
del 50%
della sua capienza, il rimborso è pari al costo della struttura con 123
persone. La Procura di Gorizia tra l’altro sta indagando sia l’ente
gestore Connecting
people sia la Prefettura per la presunta non conformità delle fatture e
forniture rispetto al numero degli ospiti.
Abdel
ha 48 anni ed è in Italia da 25. La sua famiglia è già tornata in
Marocco per
la crisi e ora ci tornerà anche lui: “Ero a Padova e dal 18 gennaio mi
hanno
portato al CIE. Adesso però non ce la faccio più, ho chiesto di essere
rimpatriato. Qui non si vive, non abbiamo niente, con questo caldo non
ci danno
nemmeno le lenzuola, abbiamo solo una coperta puzzolente. Io sono anche
stato
in carcere, ma ho scontato la mia pena e sono tornato a essere un uomo
libero”.
L’Ufficio
Immigrazione afferma che il periodo medio di permanenza nel CIE di
Gradisca va
da due a tre mesi e nell’ultimo periodo sono aumentate le richieste di
rimpatrio assistito, da quando l’ex Ministro degli Interni Maroni ha
prolungato
a 18 mesi il periodo massimo di permanenza nei centri. Dall’apertura
del CIE di
Gradisca sono state rimpatriate circa 1.500 persone, mentre chi non
viene
identificato anche dopo 18 mesi riceve un invito ad allontanarsi da
solo dal
territorio nazionale.
Il
Rapporto
carceri della Commissione Diritti Umani del Senato, datato marzo 2012,
a
proposito dell’allungamento dei tempi di trattenimento sottolinea che
le
condizioni di vita nei centri sono precarie e inadatte ad un soggiorno
prolungato: “vista l'incertezza dei tempi per l'accertamento delle
generalità e
dell'espulsione, si tratta di una detenzione amministrativa cui manca
un
adeguato sistema di garanzie di rispetto dei diritti dei soggetti
trattenuti e
adeguate condizioni di trattenimento per quanto riguarda strutture e
servizi”.
“Ti
chiamano con un numero, come in un campo di concentramento”, afferma
Mohammed,
anche lui dice di chiamarsi così, ed è senegalese, “eppure io non sono
un delinquente,
sono qui solo perché mi hanno trovato senza documenti. Vorrei
giustizia, perché
siamo esseri umani, ma veniamo trattati peggio dei cani. Le forze
dell’ordine
fanno il loro lavoro, i problemi stanno più in alto, arrivano da chi
prende le
decisioni”. Continua Mohammed: “Stai qui dentro e ti viene voglia di
suicidarti, o di prendertela con qualcuno che non c’entra niente. Ho
chiesto
almeno di avere un libro, giusto per far passare il tempo, ma non ci
danno
nemmeno quello. Ieri sera uno di noi stava male, abbiamo suonato al
citofono e
ci hanno risposto dopo un’ora e mezza”. A causa delle frequenti rivolte
nei CIE
non è consentito tenere con sé né accendini né cellulari. Ci si fa
accendere le
sigarette dagli operatori e per telefonare bisogna fare richiesta, per
evitare che
vengano programmate rivolte simultanee nei centri in tutta Italia.
Il
Dossier
statistico immigrazione 2011 evidenzia come i rimpatri degli stranieri
dai CIE
abbiano un peso irrisorio nel combattere l’irregolarità: i 7.039
stranieri che
sono passati in uno dei centri nel 2010 rappresentano l’1,2% dell’oltre
mezzo
milione di sans papiers stimati dall’ISMU. Di questi, solo 3.399 sono
stati
effettivamente rimpatriati.
Il servizio del TG3
L'articolo e le foto
del Messaggero Veneto