M., giovane migrante, è rinchiuso in
un CIE dal 2011, è affetto da una grave forma di depressione e da una
settimana rifiuta cibo, acqua e farmaci. Contrariamente a quanto
recentemente annunciato dal Ministro Cancellieri ("limiteremo la durata
massima per il tempo di riconoscimento a 12 mesi" audizione presso la
Commissione Diritti Umani del Senato, 27 novembre 2012), M. è in stato
di detenzione amministrativa da quasi quattordici mesi, prima presso il
CIE di Gradisca d'Isonzo, poi nel centro di identificazione ed
espulsione di Trapani e infine di nuovo a Gradisca. M. ha già compiuto
un grave atto di autolesionismo e dal suo ultimo ingresso nel CIE
friulano, a maggio del 2012, ha perso 10 chili di peso. Medici per i
Diritti umani (MEDU), che segue il caso da diverse settimane, ritiene
le condizioni psico-fisiche di M. incompatibili con il trattenimento
all'interno del CIE e chiede che il paziente sia urgentemente
rilasciato dalla struttura in modo da poter accedere alle adeguate cure
specialistiche.
E' M. stesso a rendere pubblica la sua drammatica storia. Il giovane
migrante arriva a Lampedusa nell'ottobre del 2010. Nel dicembre del
2011 viene internato nel CIE di Gradisca, poi successivamente è
trasferito a Trapani e poi ancora riportato al centro di
identificazione ed espulsione di Gradisca senza che si possa procedere
al suo rimpatrio. Ai primi di dicembre, dopo che il Giudice di pace
decreta l'ennesima proroga di due mesi del suo trattenimento, M. viene
trasferito d'urgenza al pronto soccorso dell'ospedale di Gorizia dopo
aver ingerito numerosi farmaci e innumerevoli monete. Gli viene
praticata la lavanda gastrica e successivamente viene ricondotto al
CIE. Il giorno seguente viene sottoposto presso lo stesso nosocomio a
visita psichiatrica con diagnosi di reazione da stress ambientale, calo
ponderale importante in sindrome depressiva reattiva. Lo psichiatra,
nel prescrivere la terapia farmacologica per l'insonnia e l'ansia,
ritiene "assolutamente urgente" velocizzare il più possibile l'uscita
dal CIE ritenendo che la situazione ambientale possa peggiorare
ulteriormente il quadro. Nonostante ciò il trattenimento nel CIE
prosegue. Alla fine di dicembre una nuova visita psichiatrica riscontra
un peggioramento del quadro ("grave sindrome depressiva con importante
dimagrimento"), specificando che "la situazione psico-patologica è
sicuramente reattiva al trattenimento nel CIE".
Il primo di gennaio M. comincia a rifiutare acqua, farmaci e cibo. In
otto giorni perde sette chili. Il tre gennaio compie un ulteriore atto
di autolesionismo riportando una ferita superficiale al gomito
sinistro. Viene chiamato il 118 ma il paziente rifiuta il trasporto in
ospedale. Una relazione dello psicologo del CIE sottolinea le buone
condizioni generali di salute di M. all'ingresso nel CIE e un
atteggiamento collaborativo e positivo del paziente nei confronti degli
operatori del centro e degli altri migranti. La relazione prosegue
evidenziando un progressivo peggioramento dello stato psico-fisico nel
corso del tempo e la graduale comparsa di una sintomatologia
ansioso-depressiva con conseguente e significativo calo ponderale. Lo
psicologo riscontra inoltre la compatibilità dei sintomi di M. con i
criteri propri del disturbo depressivo maggiore. Il giorno otto
gennaio, i sanitari del centro, certificandone lo "stato cachettico" e
l'evidente condizione di disidratazione, inviano nuovamente il paziente
al pronto soccorso per accertamenti.
Dopo nove giorni dall'inizio del digiuno, la direzione sanitaria del
centro annota che "l'ospite ha ripreso ad alimentarsi e a reidratarsi
per cui tenendo presente la compatibilità dei parametri vitali e
soprattutto la volontà di riprendere a mangiare e bere, si ritiene
attualmente compatibile dal punto di vista organico il suo
trattenimento presso il CIE Gradisca salvo ulteriori ripensamenti
autolesionistici". Il 12 gennaio M. è nuovamente ricondotto ai servizi
psichiatrici territoriali dove un'ulteriore consulenza specialistica
conferma il quadro di grave sindrome depressiva reattiva e chiede, per
la terza volta, l'urgente rilascio dal CIE. Il paziente rifiuta di
assumere la terapia psichiatrica prescrittagli. Il 22 gennaio il
paziente comincia di nuovo a rifiutare alimenti e bevande andando
incontro ad un nuovo calo ponderale. M. chiede di poter essere visitato
da un medico di MEDU di sua fiducia. Il colloquio viene concesso ma, da
regolamento, per soli venti minuti, attraverso una barriera di
plexiglass e in presenza di due agenti di pubblica sicurezza. Al
momento dell'incontro, il medico riscontra lo stato di notevole
sofferenza del paziente e, dopo aver a lungo interloquito con gli
agenti, ottiene unicamente un breve tempo supplementare per il
colloquio.
Il provvedimento di detenzione amministrativa in un CIE, che secondo la
normativa europea e la legge italiana dovrebbe essere finalizzato
esclusivamente ad effettuare il rimpatrio del cittadino straniero,
appare essere stato protratto in questo caso oltre ogni ragionevolezza,
ledendo gravemente valori fondamentali come la salute e la dignità
umana.
Come riscontrato da un suo team in una recente visita (ottobre 2012),
Medici per i Diritti Umani ritiene le condizioni di vita all'interno
del CIE di Gradisca, estremamente afflittive e del tutto inadeguate a
garantire i fondamentali diritti della persona e pertanto non
compatibili con il trattenimento di un paziente sofferente come M. MEDU
richiede pertanto che M. sia urgentemente rilasciato in modo tale da
evitare ulteriori e imprevedibili aggravamenti e da potergli assicurare
le adeguate cure specialistiche.
LEGGI Centri di
identificazione ed espulsione: i dati nazionali del 2012
Medici per i Diritti
Umani (MEDU) onlus, organizzazione umanitaria
indipendente, porta avanti dal 2004 il programma "Osservatorio
sull'assistenza socio-sanitaria per la popolazione migrante nei
CPTA/CIE".
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