Da troppi anni si strumentalizzano
Lampedusa e lo “spettacolo” della sua frontiera per alimentare ansie da
“invasione”, per raccontare che l’unica soluzione sono il controllo e
l’approccio securitario alle migrazioni, per non parlare mai,
paradossalmente, delle ragioni e delle storie di quelle migliaia di
donne e uomini che migrano fuggendo da quell’ingiustizia sociale e
globale che li rende le ultime e gli ultimi della terra.
E ancora oggi, mentre dopo la morte di oltre 300 persone si accendono
finalmente i riflettori anche sulle altre 20.000 inghiottite dal
Mediterraneo negli ultimi anni, per l’ennesima volta troppe voci stanno
usando Lampedusa in modo strumentale, come accade con il susseguirsi di
passerelle di politici sull’Isola che sta scatenando nuovamente la
giusta rabbia degli abitanti.
Parlare di Lampedusa, ripartire da Lampedusa, deve avere adesso invece
un significato completamente diverso.
In questo senso dalle pagine de Il Manifesto il Sindaco Giusy Nicolini,
invoca un cambiamento vero delle norme, della politica, dell’Europa
intera, proponendo di ospitare questo auspicato processo proprio
nell’Isola.
Dal canto nostro sappiamo che la scrittura di nuove regole può avere
segni differenti. E se proprio da Lampedusa ripartisse dal basso una
spinta per cambiare radicalmente l’Europa, questo Paese, le sue norme e
la sua politica?
Dopo la strage di giovedì scorso, anche grazie all’appello per un
canale umanitario che insieme a tantissimi abbiamo promosso dalle
pagine di Melting Pot Europa, si è aperto un dibattito inedito,
impensabile fino a pochi giorni fa. Cosa ci dice la petizione on-line
proposta da La Repubblica per cancellare la legge Bossi-Fini se non
questo? Di cosa ci parla la proposta di cancellazione del reato di
clandestinità?
Agire questo spazio, mantenerlo aperto, provare a lavorare affinché si
trasformi in azioni concrete, è, crediamo, un dovere di noi tutti.
Ma per farlo abbiamo bisogno di metterci in cammino abbandonando l’idea
che qualcuno possa farlo al posto nostro.
Perché pur essendone stati i promotori, siamo consapevoli del fatto che
nonostante questi appelli abbiano contribuito ad aprire una
discussione, non sono sufficiente a produrre invece una trasformazione
reale delle regole che disegnano lo scenario in cui si consumano le
stragi del Mediterraneo e le violazione dei diritti di milioni di
cittadini non riconosciuti all’interno dei confini europei. Migliaia di
firme insomma non si trasformeranno automaticamente in decisioni
politiche.
C’è poi un secondo aspetto, estremamente delicato, su cui è necessario
fare chiarezza. Lo spazio di discussione che si è aperto e l’idea di
rivisitazione delle regole di cui oggi parlano tutti, da Napolitano a
Barroso, da Alfano a Letta, non ha certo una direzione scontata. La
discussione verte tutta intorno al potenziamento dei pattugliamenti di
Frontex, alla riscrittura degli accordi bilaterali, all’appalto delle
domande d’asilo ai Paesi Terzi, al recepimento delle direttive UE, il
cui termine di recepimento era stato fatto abbondantemente scadere, a
qualche aggiustamento normativo. Tutto condito dalla retorica della
lotta ai trafficanti, del rispetto dei diritti umani, della solidarietà
europea.
Il dramma di Lampedusa ha di fatto messo in discussione la legittimità
delle politiche europee ed italiane in materia di immigrazione. Di
conseguenza le istituzioni europee e nazionali si trovano di fronte
alla necessità di riscriverne le regole, o alcune di queste, di
raffinarne i meccanismi, di annunciarne la cancellazione di attenuarne
le spigolature, con lo scopo di poter riaffermare, nella sostanza,
l’impianto stesso dell’Europa Fortezza.
Anche la paventata abolizione del reato di ingresso e soggiorno
irregolare (che da sola cambia poco o nulla) parla lo stesso
linguaggio. Per la politica istituzionale è urgente l’abbandono della
simbologia e delle retoriche del pugno di ferro per mostrarsi oggi
commossa, così da recuperare sul terreno della governance quel consenso
che le morti di Lampedusa hanno affievolito. Ma come sappiamo l’abito
non fa il monaco e vi è il rischio concreto che la politica
istituzionale dica di voler cambiare tutto per poi invece non cambiare
in concreto nulla, affogando nuovamente le speranze di milioni di donne
e uomini nelle acque torbide delle larghe intese e degli egoismi
europei.
Tocca a tutti noi giocare la partita che si è aperta perché ogni
discorso di cambiamento prenda un’altra traiettoria.
Non esistono scorciatoie. Esiste invece la possibilità di ripartire
insieme perché l’incredibile disponibilità a mettersi in gioco che
abbiamo registrato da parte di molti dopo i tragici avvenimenti di
giovedì scorso, possa trasformarsi in un percorso di migliaia di
persone, in una riscrittura delle regole attraverso un’elaborazione
giuridica, politica, culturale, che sia veramente collettiva.
In questi anni ci abbiamo provato in molti. Ma oggi abbiamo la
possibilità di farlo in tantissimi.
E’ una suggestione, un sogno, ma può diventare una proposta concreta se
ci lavoriamo insieme.
A partire da Lampedusa. Ritrovandoci a stretto giro insieme sull’Isola,
con chi sull’Isola oggi chiede un cambiamento, insieme a chi ha
sottoscritto gli appelli di questi giorni, insieme a chi in questi anni
ha elaborato proposte, a chi vuole giocare questa sfida fino in fondo,
per dare vita ad un grande meeting, un momento di discussione aperto,
tra associazioni, collettivi, organizzazioni e singoli. Per un momento
di elaborazione di proposte ma anche di costruzione di una campagna
nazionale ed europea per un’Italia senza la legge Bossi-Fini, per
un’Europa diversa, senza detenzione, respingimenti, cittadinanze negate
e diritti violati. Per metterci a disposizione degli abitanti di
Lampedusa e diffondere in tutto il continente le loro istanze.
Per far si che proprio il luogo che in questi anni ha dovuto subire le
scelte della politica europea, diventi invece motore di un’ipotesi di
cambiamento.
Ritroviamoci a Lampedusa per scrivere insieme la Carta di Lampedusa.
Progetto Melting Pot
Europa