Contro
la condanna a morte di 529 persone in Egitto
L'appello del direttore di
"Testimonianze"
Aprile 2014
L'appello, che ha visto fra i primi firmatari il presidente della
Regione Toscana Enrico Rossi, il Presidente della Provincia di Firenze
Andrea Barducci, il senatore Vannino Chiti, il consigliere regionale
Enzo Brogi, il gruppo musicale dei Whisky Trail, Ginevra Di Marco,
Francesco Magnelli, il Presidente della “Fondazione Ernesto Balducci”
Andrea Cecconi, il consigliere Valdo Spini, Il Coro Novecento di
Fiesole, il pastore evangelico valdese Pawel Gajewski e numerosi
altri esponenti del mondo democratico, è aperto alle adesioni
delle forze politiche, istituzioni, associazioni impegnate nel campo
dei diritti umani, organizzazioni religiose, singoli cittadini.
L'appello considera una barbarie giuridica ed umana la condanna a morte
in blocco di 529 persone. Pure se accusate di violenze a seguito della
destituzione del governo della Fratellanza Islamica da parte dei
militari, l'appello considera inaccettabile sul piano umano e della
civiltà giuridica la condanna a morte di persone. Il fondamentalismo
islamico e violento è considerato dai firmatari dell'appello un
pericolo mortale per la democrazia, ma da combattere sul piano
politico. Ma il rifiuto radicale della pena di morte spinge i firmatari
ad impegnarsi a salvate la vita dei propri avversari.
Da Firenze, città di pace e dei diritti umani, dalla Toscana primo
Stato al mondo ad aver abolito la pena di morte dal proprio codice
penale, parte un forte appello di civiltà e di pace, rivolto alle
autorità egiziane, all'Europa e alle istituzioni internazionali per un
impegno concreto di civiltà e per i diritti umani.
L'Appello
La condanna a morte in blocco, in un solo processo, in Egitto di 529
(cinquecentoventinove) islamisti accusati delle violenze seguite alla
destituzione del governo della Fratellanza islamica da parte dei
militari è un fatto inquietante, di barbarie giuridica e umana. Noi
niente sappiamo delle accuse specifiche che vengono rivolte a queste
persone. Ma le responsabilità civili e penali sono individuali e la
condanna a morte di più di 500 persone per la morte di un poliziotto
(episodio grave e condannabile) appare una cosa enorme e grottesca. Noi
consideriamo da sempre, fin dai tempi dell’Algeria delle stragi degli
anni novanta, il fondamentalismo islamista un pericolo mortale per la
democrazia. Pur nelle nostre diverse sensibilità culturali, tuttavia
accomunate da una impostazione democratica e laica (che accomuna
credenti e non credenti), ci appare chiaro che ogni fondamentalismo
(ancor più quello violento) va combattuto senza remissione. Ma la
democrazia, nel combattere i pericoli che la minacciano, deve darsi
forza proprio nel rispetto dei diritti umani e nella tutela giuridica
dei suoi stessi nemici violenti. Crediamo che i democratici convinti e
conseguenti debbano essere in prima fila nella lotta per salvare la
vita ai loro avversari del Cairo. Si dica pure che posizioni di questo
tipo possono essere da loro strumentalizzate. Le strumentalizzino pure.
Noi vogliamo semplicemente salvare loro la vita. Siamo contro la pena
di morte, ovunque, nel mondo. La morte è una cosa orrenda (può darne
testimonianza chi l’ha vista in faccia). Non la si deve infliggere
nemmeno ai propri nemici (“Non uccidere”); tanto meno deve infliggerla
lo Stato. Per salvare la vita agli islamisti egiziani (che consideriamo
pericolosi avversari politici da combattere politicamente), siamo
convinti che Firenze città della pace e dei diritti umani, l’Italia
(che deve uscire dal provincialismo politico in cui pare, talora,
assopita) e l’Europa debbano fare la loro parte. Noi ci batteremo
perché così sia. Chiediamo ad associazioni della società civile,
partiti, organizzazioni religiose, militanti dei diritti umani,
semplici cittadini di associarsi a questo appello, che proponiamo come
“Testimonianze” (rivista della cultura del dialogo, da sempre
avversa ad ogni fondamentalismo, fondata da Ernesto Balducci). Non c’è
tempo da perdere. Salvare la vita ai nostri avversari politici del
Cairo è politicamente, eticamente ed umanamente un compito a cui non ci
possiamo sottrarre.
Severino Saccardi, direttore di "Testimonianze"
Integrazione all’appello del direttore
della rivista “Testimonianze” contro la condanna a morte di 529 persone
in Egitto a pochi giorni dalla Pasqua
Il "mondo cristiano", nelle sue varie espressioni, è già immerso nei
riti e nell'atmosfera della Settimana Santa. Anche i non credenti
vivono, comunque, l'atmosfera particolare della Festa e delle feste che
si approssimano. C'è un piccolo dettaglio che viene, forse, non
abbastanza sottolineato (ne parlammo anche, con Sergio Givone, nel
volume di "Testimonianze" dedicato alle "Immagini della Resurrezione
per gli uomini e le donne degli anni 2000"): che non si dà Resurrezione
senza Passione. E la Passione non è un dato accessorio o un momento di
passaggio. E' la dimensione costante della condizione umana (che ha
tanti aspetti belli e splendenti, ma che ha anche il "limite oscuro"
della sofferenza e della morte) con cui confrontarsi. Nello specifico,
non è male ricordare che la Passione di cui facciamo memoria (e di cui
le chiese cristiane fanno memoria) è quella di un condannato a morte di
duemila anni fa. Una domanda, allora, sorge spontanea: cosa fanno oggi
le chiese cristiane (oltre a celebrare, come è giusto, i loro riti ed a
far memoria di antichi eventi di forte evocazione simbolica) per i
condannati a morte del nostro tempo? Cristiani e non cristiani del
mondo occidentale (culla dei diritti umani che, se rapportati
correttamente alla relatività delle culture, sono un patrimonio
dell'intera umanità) cosa fanno davvero per sradicare la vergogna della
pena capitale, che continua vergognosamente ad essere applicata oggi
come lo era ai tempi di Gesù? E cosa fanno - ecco la domanda di fondo -
chiese cristiane e i non credenti democratici per i loro "fratelli
musulmani"? E’ questa, alla lettera, la definizione che essi danno di
se stessi, anche se tale definizione si applica alla parte più
fondamentalista, oscurantista e più lontana da noi dello stesso mondo
islamico; ma questo non ha importanza. Bisogna prendersi cura della
cultura dei diritti, anche e forse ancor di più quando in questione è
la sorte di nostri avversari politici) condannati a morte in Egitto.
Cinquecentoventinove (529) "poveri cristi" (forse malfattori, forse
colpevoli, sicuramente poco raccomandabili politicamente) condannati a
morte in Egitto? Quando farsi questa domanda se non alle soglie del
Venerdì Santo, che evoca, appunto i tormenti di un condannato a morte
dalla casta politica, religiosa e militare del suo tempo? Dio mi
perdoni se ho nominato il suo nome invano, ma questo mi sembrava giusto
dover dire. Quando, se non nel giorno del Venerdì Santo (che prelude a
quella Festa della vita che è la Pasqua) lanciare un appello al mondo
contro la pena di morte? Con due precisazioni, certo: essere contro la
pena di morte non vuol certo dire essere per l'impunità dei colpevoli.
Chi ha sbagliato, paghi e paghi dovendosi confrontare tutta la vita con
il suo crimine e con il male commesso. Con le dovute garanzie
giuridiche per l 'imputato (che mi pare siano state e siano molto
labili nel "caso Egitto"), sia condannato e paghi quel che deve, per
rispetto a se stesso, al recupero della sua dignità di essere umano ed
alla società offesa.
Seconda precisazione: oggi siamo a parlare (ameno noi ne parliamo, ma
sono pochissime, ci sembra, le coscienze che ne sono scalfite; un segno
grave dell'ottundimento della nostra sensibilità) dell' Egitto, ma
siamo contro la pena di morte ovunque nel mondo (in Cina, in Iran, dove
ne impiccano a decine, mentre il mondo tace, nei democraticissimi USA)
e siamo anche contro l’applicazione di fatto della pena di morte per
altre vie (nemmeno legali): come nelle persecuzioni religiose (dove
decine di persone vengono uccise o fatte saltare in aria per la loro
semplice adesione ad un credo invece che ad un altro. Una vergogna).
Bene. Perché non ci ribelliamo? "Dio mio, Dio mio, perché mi hai
abbandonato?", urlava Gesù, in modo umanissimo dalla Croce. E quando,
se non il Venerdì Santo, e quando se non in prossimità della Pasqua,
dobbiamo fare (cristianamente e/o laicamente) un esame di coscienza su
tutto questo? Papa Francesco, che amo, non ha niente da dire (mi si
perdoni l'ardire della domanda) sui condannati d'Egitto e sui
condannati a morte nel mondo? Mentre ricordiamo la vicenda di un
condannato a morte, che ci hanno detto che sia risorto per darci la
speranza, ci accingiamo a consumare la colomba e il dolce pasquale, a
vuotare il calice dello spumante ed a sobbarcarci qualche doveroso, e
anche piacevole, pranzo con amici e parenti. Poi tutto torna come
prima. Le cerimonie rievocative della Passione saranno (lo sono vissute
spesso) come episodi folkloristici e poco più e i condannati a morte
del mondo riprendono l'attesa agonica del loro imminente destino. Che
dire, amici? Vi faccio volentieri gli auguri. Vi voglio bene. Ma faccio
gli auguri, soprattutto, ai condannati a morte di tutto il mondo: che
qualcuno finalmente si prenda cura di loro (innocenti o colpevoli,
"comuni" e "politici" che siano) e lavoro davvero per sradicare questa
vergogna dal mondo. PENA DI MORTE: MAI PIU'. E ricordiamoci
(religiosamente e laicamente che senza la vera memoria del Venerdì
Santo, la Santa Pasqua non è che un rito buono per essere evocato sulle
cartoline illustrate (ma anche le tenere cartoline illustrate di una
volta non ci sono più). Il mondo spesso è crudo, buio, oscuro e la luce
pasquale fa fatica a penetrarvi.
Severino Saccardi, direttore di "Testimonianze"
E' possibile firmare l'appello
inviando la propria adesione agli indirizzi mail:
infotestimonianze@gmail.com
s.saccardi@alice.it
s.siliani@tin.it
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