LA
MEMORIA DOLOROSA RINNOVA L’IMPEGNO PER IL DISARMO E PER LA PACE
Lettera a Francesco, Vescovo di Roma
e Papa per la visita a Redipuglia del 13 settembre 2014
Caro Francesco vescovo di Roma e papa,
Siamo un gruppo di amici preti delle Diocesi del Nord Est, coinvolti
dalle periferie dell’umanità. Ogni anno a Natale scriviamo una lettera
alle Comunità del nostro territorio; l’ultima, la 10a, è stata dedicata
alla tua presenza nella Chiesa e nel Mondo.
Ci permettiamo ora di scrivere a te e di rendere pubblica questa nostra
lettera, riguardo alla tua prossima visita del 13 settembre a
Redipuglia, dove sarà fatta memoria dolorosa dei morti di tutte le
guerre del passato e del presente.
Durante il ritorno dal recente viaggio in Corea, hai parlato con grande
preoccupazione e dolore di un terzo conflitto mondiale in atto, con
diversi focolai in tante parti del mondo e dovunque con crudeltà e
torture sconcertanti; condividiamo e partecipiamo, chiedendoci ancora
con Primo Levi: “Se questo è l’uomo…”.
Sappiamo che ciò non dipende in alcun modo da te, tuttavia ci dispiace
che le Diocesi delle nostre regioni siano state coinvolte
esclusivamente come distributrici di “biglietti”, per la partecipazione
ufficiale di pochi alla celebrazione. Tutti attendevano con ansia e
intenso desiderio una tua visita in occasione del Centenario
dell’inizio della Prima Guerra Mondiale che ovunque, ma in particolare
nelle nostre terre, ha seminato morte, distruzione e avvelenato quasi
fino a oggi le relazioni tra i popoli e le nazioni che vivono in questo
lembo d’Europa. Ma l’organizzazione dell’Ordinariato Militare ha
sostanzialmente reso impossibile non solo l’indispensabile
preparazione, ma perfino la stessa presenza all’evento.
Del resto siamo certi che anche per te il passaggio a Redipuglia è
percepito come l’occasione per innalzare un grido di pace attuale:
sicuramente in quel giorno avresti preferito essere altrove, magari tra
i cristiani dell’Iraq, alla testa di una comunità ecclesiale chiamata
oggi a testimoniare eroicamente, con la nonviolenza e il rifiuto delle
armi, quel “non opporsi al malvagio” e “porgi l’altra guancia” che ci è
stato insegnato da Gesù di Nazareth.
Il Sacrario di Redipuglia
Ci permettiamo di proporre alcuni spunti di riflessione in sintonia con
gli interventi dei Vescovi del Friuli Venezia Giulia, in particolare
con la lettera pastorale ad hoc pubblicata recentemente
dall’Arcivescovo di Gorizia mons. Redaelli.
Il sacrario militare di Redipuglia, insieme al vicino piccolo cimitero
austro-ungarico, suscita anzitutto un pensiero di pietà per i centomila
morti – la stragrande maggioranza dei quali senza neppure un nome – che
vi giacciono sepolti: esalta infatti proprio quella retorica
nazionalista e militarista che è stata una delle tante cause della
“orrenda carneficina”. Confidiamo che tu, con la libertà che ti ha
finora caratterizzato, sappia evidenziare un modo diverso e alternativo
di “ricordare” un’intera generazione di giovani mandati al massacro
nella guerra di trincea.
Il Sacrario di Redipuglia è stato voluto e inaugurato da Mussolini in
persona, dopo una visita al cimitero prima collocato sulla collina di
fronte, a suo dire triste e poco curato. La struttura architettonica è
finalizzata all’esaltazione dell’eroismo in battaglia; le tombe del
Duca d’Aosta e dei quattro generali sono collocate davanti ai centomila
che da morti sembrano dire “PRESENTE”, come scritto sulla loro tomba;
quindi pronti a combattere di nuovo per l’idolo fascista di una
“patria” che non ha nulla a che fare con la “Patria” delle donne e
degli uomini che s’impegnano per la giustizia, la libertà, la
democrazia, i diritti umani uguali per tutti.
Un altro elemento è motivo di riflessione, perché inquietante. La
concezione retorica dell’eroismo sul campo di battaglia ha portato
all’esaltazione del “milite ignoto”. Tra l’altro il soldato senza nome
che riposa nel Vittoriale di Roma è stato scelto da una povera madre,
proprio nel cimitero di guerra collocato dietro l’abside della “nostra”
Basilica di Aquileia. Proviamo pietà e dolore e, proprio per questo,
secondo noi il “milite ignoto” è invece la condanna più decisa della
guerra, perché cancella perfino il nome e il volto di un essere umano,
non più riconoscibile perché sfigurato e distrutto.
Due tentazioni da evitare
La prima è la “riduzione” degli eventi a mera occasione di
ricostruzione folkloristica di ciò che è accaduto cento anni fa. La
stessa dizione vezzeggiativa di “Grande Guerra” sembra accentuare
l’interesse sulla ricerca e ricostruzione di strategie belliche
piuttosto che sulla realtà di una – come più volte aveva richiamato in
quel periodo l’illuminato pontefice Benedetto XV – “orrenda
carneficina”, “spaventoso conflitto”, “inutile strage”.
La seconda è l’accentuazione quasi esclusiva dei motivi di attrazione
turistica, sottolineando con particolare enfasi il ruolo di persone e
luoghi che ricordano gli eventi salienti di quel tempo. Per questo si
attende con particolare sollecitudine la tua parola Francesco, per
essere richiamati al fatto che la memoria non è soltanto legittimo
onore ai caduti, ma anche accoglienza del loro monito. Per rimanere
soltanto nella valle dell’Isonzo (Soča) accanto ai grandi sacrari
italiani di Redipuglia, Oslavia e Caporetto (Kobarid), sono
innumerevoli i piccoli cimiteri austro-ungarici, dove sono sepolti
soldati appartenenti alla maggior parte delle nazionalità europee. Che
cosa suggeriscono le pietre tombali? Un’unica parola: “Pace!”.
Come evitare queste tentazioni?
Anzitutto, attraverso una documentazione storica accurata e rigorosa.
Sono tanti gli studi che sono stati prodotti in questi anni, proposti
da studiosi e autori che hanno consentito di comprendere meglio cosa è
accaduto prima, durante e dopo la guerra: la ricerca delle cause, degli
effetti e delle conseguenze a breve e lunga distanza. Un esercizio
quanto mai indispensabile nel nostro territorio, dove la mancata piena
chiarezza sullo svolgersi dei fatti nella prima metà del Novecento
riesce ancora a suscitare motivi di disagio, di perplessità e perfino
di pregiudiziali accuse reciproche.
L'insegnamento per l’oggi e il domani
della storia
Soprattutto è importante interrogarsi sul presente, su ciò che la
drammatica stagione di cento anni fa può insegnare oggi, a ciascuno di
noi. E da questo punto di vista, ci permettiamo di indicare, tra i
tanti possibili, tre suggerimenti.
Il primo riguarda l’amara constatazione secondo la quale, nonostante
l’orrore che essa suscita, la guerra è ritenuta ancora uno strumento
per risolvere i problemi degli Stati e le loro relazioni
internazionali. Dall’osservatorio del Friuli Venezia Giulia e del
Veneto Orientale, si sono viste da molto vicino le guerre balcaniche
degli anni '90 del Novecento, si sono sentiti alzare in volo dalla Base
USAF di Aviano – dove ancora albergano numerose testate nucleari - i
bombardieri destinati all’Iraq; ma anche in questi giorni, come non
guardare con ansiosa preoccupazione all’evolversi della situazione tra
Ucraina e Russia; alla sempre complessa situazione della Terra Santa
con i massacri di Gaza, della Siria e in generale del Medio Oriente;
all’Iraq, “pacificato” dagli interventi militari internazionali e ormai
trascinato in una guerra civile dai contorni crudeli e incerti; ai
conflitti africani, alcuni addirittura secolari, dove all’elemento
degli interessi economici e del controllo delle risorse energetiche si
aggiungono divisioni di ordine culturale e religioso. E purtroppo
questo genere di elenco è sempre troppo lungo e implica un forte esame
di coscienza riguardante la politica internazionale, la cooperazione
allo sviluppo dei popoli, la “gestione” dei fenomeni migratori... Che
soluzione possibile? L’insegnamento sociale della Chiesa, da Benedetto
XV al tuo attuale sapiente magistero, è stato costante e univoco,
invocando la realizzazione di un arbitrato internazionale in grado di
affrontare i problemi non con la forza delle armi, ma dell’intelligenza
e della diplomazia. Certo, l’attuale impotenza dell’Organizzazione
della Nazioni Unite dimostra la difficoltà nel trovare adeguate
soluzioni, soprattutto relativamente alla cessione di potere da parte
dei singoli Stati e dei criteri di rappresentanza in sede di voto.
Tuttavia il riferimento al Vangelo di Gesù di Nazareth non può che
impegnare tutte le Chiese nell’indicare la strada della nonviolenza e
del ripudio della guerra come unica possibile, soprattutto nel contesto
attuale, dove le armi di distruzione di massa minacciano la stessa
sopravvivenza del genere umano. Del resto, già Benedetto XV proponeva
il disarmo generale e il mantenimento degli strumenti di morte
“esclusivamente nei limiti richiesti dal mantenimento dell’ordine
pubblico nei singoli Stati”. Sarebbe interessante che ogni paese, anche
l’Italia – tuttora tra i primi dieci produttori mondiali di armi
cosiddette “convenzionali” - si interroghi sulla formazione dei
propria arsenali militari, alla luce di queste parole; lo stesso papa
della Chiesa, alla fine del 1914, ammoniva: “Qual meraviglia se ben
fornite come sono di quegli orribili mezzi che il progresso militare ha
inventato, (i popoli) si azzuffano in gigantesche carneficine?”.
La fede, le chiese, le religioni, la
pace
Il secondo elemento riguarda più specificamente coloro che si
definiscono “cristiani”, ovvero discepoli del Signore Gesù, principe
della pace. La prima guerra mondiale ha visto contrapporsi persone che
professavano la stessa fede e la stessa confessione. Preti cattolici
benedivano le armi italiane invocando la protezione delle pallottole,
affinché colpissero l’avversario; preti cattolici benedivano i cannoni
austro-ungarici con le stesse parole, vescovi dell’una e dell’altra
parte invitavano i fedeli a Te Deum di ringraziamento per le stragi
perpetuate dai “propri” eserciti nei confronti degli “avversari”. Un
famoso Generale – al quale, nelle città e nei paesi d’Italia,
sono dedicate tante strade, piazze e istituzioni - si dichiarava
profondamente cattolico, cercava di andare a Messa ogni giorno e poi
spediva al massacro il fior fiore della gioventù, ordinando la
fucilazione senza pietà di chi si rifiutava di obbedire a ordini
disumani. Senza dimenticare ciò che è accaduto dopo, quando persone che
frequentavano settimanalmente la Messa cattolica o il culto protestante
sostenevano dittatori e ideologie che hanno generato le leggi razziali
– proclamate anche in Italia da Mussolini a Trieste, proprio il 18
settembre 1938, lo stesso giorno dell’inaugurazione del sacrario di
Redipuglia! - la seconda guerra mondiale e i campi di sterminio. Sono
situazioni del passato o anche oggi i “cristiani” non leggono sempre
con gli occhi di Cristo e nella luce dello Spirito Santo gli
avvenimenti attuali? Raramente si pensa e si prega per le persone
coinvolte in tante guerre dimenticate, quasi sempre provocate dal
dislivello tra il nostro tenore di vita e quello del Sud del mondo.
Milioni di persone emigrano dalla loro terra, fuggendo dalla fame,
dalle persecuzioni e dalla guerra e spesso non soltanto non vengono
considerate come sorelle e fratelli, membri della nostra famiglia
umana, immagine e somiglianza di Dio, ma ci si allinea nelle ben poco
cristiane distinzioni tra i “noi” che avrebbero il diritto di sentirsi
a casa propria e i “loro” che vengono ad invadere. Spesso sono proprio
coloro che frequentano le chiese a sostenere la necessità di una linea
di durezza e non accoglienza in nome di un presunto egoistico diritto
alla sicurezza; spesso sono proprio loro a fomentare l’incomprensione
tra le religioni, lasciandosi trascinare in pregiudizi dettati da
indebite e ignoranti generalizzazioni. Come se vivere nell’occidente
ricco sia frutto di una scelta o di un merito...
La contrarietà alle armi e alla
guerra. L’educazione alla pace
Il terzo e ultimo elemento da richiamare è il fatto che la contrarietà
alla guerra non si esprime soltanto con le parole, ma anche con scelte
politiche e di vita personali conseguenti. Ricordare il Centenario vuol
dire allora per chi vive presso l’ex confine orientale d’Italia,
ritrovare la gioia della comunione nella ricchezza della diversità
delle culture e delle lingue. Ciò significa lasciare agli storici uno
studio scientifico accurato sugli avvenimenti dall’inizo della prima
guerra mondiale alla fine della seconda, individuando cause, percorsi e
responsabilità. E, pur rispettando il dolore soggettivo degli uni e
degli altri, significa superare antichi rancori attraverso il desiderio
di guardare avanti, per trasformare una terra dove troppo sangue
fraterno è stato versato in un autentico laboratorio per la
costruzione della giustizia e della pace in tutto il mondo. Oltre a
ciò, sarebbe importante che ciascuno, interpellato dalla constatazione
di quanto male ha portato l’incapacità di comprendersi e cercare
soluzioni diplomatiche ai conflitti, tenti di individuare le proprie
situazioni - familiari, condominiali, lavorative - di conflitto.
L’adoperarsi a costruire nuove relazioni fra le persone, improntate
alla concordia e alla pace e avviate dal decisivo esercizio del
perdono, è il vero modo per celebrare efficacemente i cento anni
dall’inutile strage.
Certo, le notizie che provengono dagli attuali campi di battaglia sono
sconcertanti, tanta è la violenza che si esprime e che si riversa
attraverso i media nelle nostre case e nei nostri cuori. Si presenta
ancora una volta la drammatica domanda sul “come” fermare gli
aggressori, quando la crudeltà è così grande e le vittime appaiono
inermi. Così si esprimeva Dietrich Bonhoeffer, sapiente e pacifista
pastore protestante, incarcerato per aver sostenuto le “ragioni”
dell’attentato a Hitler:“L’uomo della
coscienza si difende solitario dal superiore potere delle situazioni
eccezionali davanti alle quali è richiesta la decisione. Ma viene
dilaniato dall’enormità dei conflitti nei quali è chiamato a scegliere,
consigliato e guidato da nient’altro che dalla sua personale
coscienza... La libertà ha il suo fondamento in Dio che esige che
l’uomo assuma liberamente nella fede il rischio dell’azione
responsabile e che promette perdono e consolazione a chi così facendo
diventa peccatore”. Sono parole che richiamano da vicino la
“novità” del tuo magistero, che impegna così fortemente l’intelligenza
e la responsabilità di ogni persona.
L’individuazione delle diverse cause e delle chiare responsabilità
lascia infatti sempre aperta la grande questione del perché l’essere
umano sia così facilmente disponibile alla violenza, alla guerra,
all’uso delle armi, perché accetti gli ordini assurdi e disumani e non
esprima l’obiezione di coscienza agli ordini che provocano morti,
feriti, distruzioni. Migliaia e migliaia di soldati sono stati
processati e uccisi, anche sul Carso, perché si sono rifiutati di
obbedire a comandi contro l’umanità: sono stati a lungo bollati come
vigliacchi e disertori, per noi sono profetici testimoni di umanità e
di pace; meritano di essere esplicitamente ricordati nella celebrazione
della memoria!
Francesco, ti aspettiamo per ascoltare la tua parola che – ne siamo
certi – saprà superare le gabbie di diverso tipo che vorrebbero
imprigionarla o comunque attenuarla.
Con profonda gratitudine per le parole e i segni con cui incoraggi il
nostro camminare.
I PRETI FIRMATARI
Pierluigi Di Piazza, Franco
Saccavini, Mario Vatta, Giacomo Tolot, Piergiorgio Rigolo, Andrea
Bellavite, Luigi Fontanot, Alberto De Nadai, Renzo De Ros, Albino
Bizzotto, Antonio Santini
In allegato la lettera da scaricare in pdf