(Foto di
Vincenzo Cesarano)
Così si raccontava di Asghar, nel
notiziario n. 38 di luglio 2013, a pag. 18
“... Insha Allah...”
Un ospite con la sua storia drammatica nel cuore ci ricorda che può
diventare lentamente possibile ciò che prima sembrava impossibile...
quando ci si affida alla fiducia ricevuta.
Asghar è un giovane di 36 anni, di cittadinanza pakistana e dal 2011 è
ospite del Centro. Oggi Asghar non è più come lo abbiamo incontrato per
la prima volta. Era un uomo provato, prostrato dalla sofferenza
lacerante. La guerra, l’atrocità della violenza subita avevano portato
questo uomo nell’abisso della disperazione e dell’abbandono fino a
fargli perdere la voglia di vivere e di essere sottoposto a cure
specialistiche. Neanche il suo trasferimento in una struttura protetta
per persone vulnerabili ha visto beneficio.
Asghar ha trovato la porta aperta al Centro Balducci quando ha chiesto
di ritornare. Oggi è irriconoscibile, per lui è iniziata una nuova
vita. Il suo sguardo, anche se segnato da profonda tristezza, comunica
fiducia e speranza; i suoi passi sono più spediti e sicuri, guidati
dalla forza e dalla volontà di andare avanti per raggiungere il
traguardo. Le sue parole, anche se lasciano trapelare sofferenza per le
ferite del cuore e la nostalgia per la sua famiglia lontana, esprimono
impegno, coraggio e anche ottimismo.
Racconta Asghar: “Sto finendo un corso di formazione di 400 ore per la
manutenzione del verde, con un periodo di pratica in un vivaio non
lontano da qui. Sto bene… sono contento”. E continua.
“Come ogni giovane musulmano, mi sono sposato a 15 anni e a 20 anni
avevo già due figli. Poi è iniziato tutto, la mia vita è entrata nel
tunnel della violenza. Il regime talebano mi ha trasportato in
Afghanistan e sono stato in carcere, forse per tre anni, non ricordo,
non avevo il senso del tempo, ma così mi ha detto la mia famiglia. Ho
visto e subito l’orrore della violenza umana. Ho visto di tutto... ho
visto seppellire vivi tanti giovani come me, torturare i miei compagni
in modo crudele e inimmaginabile. Sono riuscito a scappare insieme ad
altri bucando giorno per giorno con la punta di un coltellino il
muretto del bagno. Sono rientrato in famiglia e ho cercato di
riprendere la mia vita normale: il lavoro nei campi e l’insegnamento
nella scuola coranica; ma ero portato sempre di più a chiudermi in una
vita di preghiera quindi a trascorrere la maggior parte del tempo in
moschea. Dopo un po’ di anni... avevo già altri tre figli. I signori
della guerra, i talebani, mi hanno obbligato a entrare nella loro
scuola, per essere addestrato a diventare un combattente talebano. Sono
stato trasportato nei campi di addestramento di nuovo in Afghanistan,
poi in Arabia Saudita e a Kashmir. Non voglio ricordare ciò che ho
vissuto. Per la paura, per il terrore di uccidere gli altri e di essere
ucciso sono scappato. Ho traversato a piedi vari paesi: Turchia,
Macedonia, Serbia, Ungheria e Austria. Dopo mesi di viaggio e cammino
nel 2010 sono arrivato a Bolzano, e in questura ho presentato domanda
di asilo politico, e da lì sono stato mandato al CARA di Gorizia. Dopo
6 mesi senza nessun esito alla mia domanda mi sono trovato sulla
strada. Nel 2011 sono arrivato a Udine poi nel Centro.
Il tempo dell’attesa di essere ascoltato in commissione diventava lungo
e io diventavo sempre più depresso. A metà 2012 mi è stato riconosciuto
l’asilo politico. Ma io, ormai non ero più in grado di gestire la mia
vita perciò sono stato trasferito a Brescia in un centro di accoglienza
per persone vulnerabili; lì non ho resistito, il cancello chiuso mi
provocava paura e ansia. Dopo pochi giorni ho abbandonato quella realtà
e mi sono trovato sulla strada, ma il Centro Balducci mi ha riaccolto.
A piccoli passi sto riprendendo la vita normale. Riesco a gestirmi
meglio anche se devo assumere ogni giorno dei farmaci, riesco a
studiare e a lavorare. Il dolore delle ferite è an- cora forte ma
riesco a intravvedere, insieme alle diverse persone che mi sono vicine,
un futuro in meglio.
Spero di raggiungere una vita lavorativa autonoma in Italia, Il mio
sogno grande è di vivere accanto alla mia famiglia che un giorno
arriverà qui, Insha Allah (Se Dio vorrà)”.