Il Comitato “Stop the War - Udine for Syria” prosegue
nella propria attività, ed è con piacere che vi segnala ed invita a
questa mostra, una selezione di 30 fotografie scattate da “Caesar”,
pseudonimo che protegge l’identità di un ex fotografo della polizia
militare del regime siriano, il cui incarico, dal 2011, era di
fotografare i corpi delle persone morte nei centri di tortura di
Damasco.
La mostra “Nome in codice: Caesar” è un veicolo potente e
schietto: ci mette di fronte a noi stessi come individui e come
collettività.
Già esposta al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite, al Memorial
dell’Olocausto a Washington, al Parlamento Europeo di Strasburgo, a
Westminster, a Parigi, Boston, Dublino, Roma Sala Spazio del Museo D
Maxxi e a Napoli Castel dell’Ovo.
L’indignazione che scaturisce dalla visione delle immagini può
trasformarsi tuttavia in azione concreta. Ciò che accade nelle
carceri siriane è già accaduto in passato, accade in altre parti del
mondo e certamente, purtroppo, potrà accadere nuovamente,
ovunque. Riguarda dunque noi tutti, riguarda l’impegno per la
difesa dei diritti umani, dei valori alla base di qualsiasi società
che possa e voglia dirsi “civile”.
La Siria oggi è teatro della più grande crisi
umanitaria dei nostri giorni e il tema della tortura nelle carceri,
per quanto duro e difficile da affrontare, ne è parte fondamentale… non
possiamo restare indifferenti. Per questo, così come in passato, vi
chiediamo di esserci e partecipare assieme a noi a questa
iniziativa, affinchè insieme si possa diffondere con forza un
messaggio di pace e di rigetto di qualsiasi forma di violenza. La
testimonianza del vostro impegno e aiuto sarà resa tangibile attraverso
l’istallazione, all’interno della mostra, di un pannello che elencherà
i nomi delle associazioni e delle persone che hanno aderito e supportato
questo progetto attraverso il crowdfunding.
La mostra
Dal maggio 2011 all’agosto 2013, Caesar ha scattato 53.275
immagini, secondo una prassi in uso già prima dello scoppio della
rivolta; ne ha poi fatto copie su chiavette USB, ha disertato e portato
con sé in Occidente quelle fotografie. Si tratta di migliaia di Giulio
Regeni siriani morti sotto tortura in Siria. Human Rights Watch,
nel suo rapporto in merito a tale materiale, si concentra su 28.707
fotografie, che raccontano la storia delle torture subite da 6.786
detenuti poi morti, le restanti fotografie mostrano invece corpi di
soldati governativi, di combattenti ribelli, o di civili morti per
esplosione.
Le fotografie, sono state attentamente visionate e verificate da una
squadra di esperti e inquirenti indipendenti. Il dossier è stato
affidato a uno studio legale londinese, che ha avuto l’incarico di effettuare
una perizia sulle fotografie e verificare l’attendibilità della
fonti. Lo studio legale si è avvalso anche di due giuristi di fama
internazionale, David Crane e Desmond de Silva, succeduti alla
direzione del Tribunale speciale per la Sierra Leone che ha giudicato e
condannato il presidente liberiano Charles Taylor per crimini di guerra
e contro l’umanità.
Desmond de Silva si è espresso in questo modo: “Evocano le foto
dei sopravvissuti ai campi di concentramento nazisti (…). Si tratta
senza ombra di dubbio di prove sufficienti a intentare un procedimento
per crimini contro l’umanità”.
La mostra è promossa da Amnesty International, FNSI
(Federazione Nazionale Stampa Italiana), FOCSIV (Federazione
Organismi Cristiani di Servizio Internazionale Volontario), Unimed
(Unione delle Università del Mediterraneo), Un ponte per… e
Articolo 21.
Inaugurazione
L’inaugurazione sarà preceduta, da una Conferenza di
presentazione che si terrà presso la Sala Ajace del comune di Udine,
Sabato 25 Febbraio ore 15.30. A tale incontro interverranno diverse
personalità e ospiti, sarà presente l’ex detenuto sopravvissuto alle
torture Mazen Alhummada, il giornalista italo-siriano Fouad Roueiha, e
via skype l’avvocato Mazen Darwish e la giornalista Yara Badr attivisti
per i diritti umani in Siria, del “Centro Siriano per i Media e la
libertà di espressione” (Scm). Modera il dott. Alberto Savioli.
Cliccate
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link dedicato al crowfunding.