VENERDÌ SANTO
Passione dell'Uomo, passione di Dio
10 aprile 2020
Nel venerdì santo Pierluigi Di Piazza ci accompagna nella
riflessione sulla passione di Dio.
La malattia, il dolore e la morte sono parte della vita e alle volte,
come in questo dramma planetario del coronavirus assumono intensità e
modalità shoccanti. I dolori sono tanti e diversi nella vita delle
persone. La dedizione e l’impegno per contribuire a soffrire il meno e
nel modo più umano possibile è dimensione etica doverosa.
Il Venerdì santo che oggi si celebra è stato sempre ed è un momento
condiviso da tante persone proprio perché è riferito all’esperienza del
dolore che ci accomuna. Si vive la memoria dell’uccisione di Gesù di
Nazaret, il mistico rivoluzionario che ha mostrato nella storia il
volto, la sensibilità e i modi di agire di Dio, soprattutto nel
rapportarsi con le persone. Spesso coinvolti dal male, dal dolore,
dalla morte ci si chiede se Dio c’è, dov’è, perché permette il male
sempre, ma specie quando si concretizza come grande ingiustizia e
riguarda gli innocenti, i deboli.
Questi drammatici e continui interrogativi possono trovare orientamento
-certo non risposte automatiche e scontate- nella meditazione personale
e comunitaria sulla passione di Gesù di Nazaret. E’ importante
liberarsi della logica sacrificale per cui Dio, il Padre avrebbe
esigito la morte del Figlio come riparazione del peccato dell’uomo, da
una sorta di determinismo redentivo che porta ad attribuire minor
importanza alle scelte drammatiche di Gesù che certo “è morto per il
peccato del mondo e così ci ha redenti”, tenendo ben presente però che
è stato ucciso per motivi e con precise responsabilità storiche
religiose e politiche.
Per il suo modo di essere, sentire, parlare e agire, per il suo amore
incondizionato soprattutto ai poveri, ai deboli, ai bambini, alle
donne, agli ammalati, alle persone scomunicate come peccatrici dalla
religione del tempio e della sinagoga, per la condivisione continua con
la gente del popolo a cui insegnava è stato avvertito pericoloso,
destabilizzante, sovversivo dagli uomini delle istituzioni religiose e
politiche. Si è realizzato un contrasto evidente, insanabile tre il Dio
umanissimo di Gesù e il Dio della religione del tempio che giudica e
castiga, che legittima umiliazioni, discriminazioni, esclusioni. La
decisione è presa: deve morire, essere ucciso.
Tutti quattro i Vangeli ci raccontano in modo circostanziato il
succedersi drammatico dei fatti. Nel Getsemani Gesù vive l’agonia, cioè
un lacerante dibattito interiore che lo prostra fino ad un’angoscia
mortale, tanto che il suo corpo trema fino a sanguinare. Lui si chiede
se debba proprio accettare la violenza che incombe, fisica e interiore.
Ha insegnato amore, nonviolenza, verità e ora si condensano attorno a
lui odio, violenza, menzogna. E’ il vissuto di tante persone nella
storia di fronte alla scelta di dare la vita per i propri ideali. Così
Gesù non senza timore e tremore si affida al Padre per fedeltà e
coerenza.
I suoi discepoli fuggono e lo abbandonano; i tre che sono con lui in
quel luogo si addormentano: una totale desolazione. Viene arrestato
dalle guardie del tempio ed è sconcertante annotare come i responsabili
del Tempio di Dio si avvalgano di uomini armati. In un processo farsa
viene condannato a morte con queste accuse: magia perché compie
guarigioni; disubbidienza perché trasgredisce le leggi, a cominciare da
quella del sabato; bestemmia perché si proclama Figlio di Dio.
L’autorità ebraica del Sinedrio, con protagonisti i sommi sacerdoti
chiede la complicità e l’appoggio della politica locale rappresentata
da Erode e di quella dell’Impero di Roma che occupa la Palestina,
rappresentata dal procuratore Pilato, presentando loro Gesù come un
sovversivo. La decisione è terribile in bocca al sommo sacerdote: “E’
meglio che muoia uno per la salvezza del popolo”, cioè perché tutto
resti così com’è. La moltitudine di fatti simili nella storia ci
avvolge.
Il procuratore romano inizialmente è indeciso sul da farsi poi decide
per la flagellazione, una tortura terribile con 39 colpi inflitti con
cordicelle di cuoio con alla sommità palline di piombo e ossicini di
montone. Più di qualche volta il torturato soccombe. L’associazione è
immediata con l’immensità di persone torturate nella storia di ieri e
di oggi, certo anche Giulio Regeni; per descrivere l’autopsia del suo
corpo martoriato ci sono volute 225 pagine! Il condannato è ora oggetto
di altre violenze, di sputi, di scherni da parte dei soldati,
miserevoli espressioni di quel sistema, ora forti con una vittima su
cui esercitare il gusto sadico di infliggere il male, “la banalità del
male”.
Il procuratore di Roma ordina ad un gruppo dei suoi soldati
l’esecuzione del condannato con la morte di croce, un supplizio atroce,
probabilmente di origine persiana e utilizzato dall’Impero di Roma per
eliminare, alle volte a migliaia, schiavi, ribelli, indesiderati. Gesù
è associato a loro. Ora cammina barcollante verso il luogo
dell’esecuzione. Lui è nato fuori dalla visibilità e dal consenso nella
stalla degli animali a Betlemme, ora a Gerusalemme viene ucciso ancora
fuori. La presunzione della santità è dentro alla “città santa”: nel
suo potere fatto di prepotenza, dominio, ordinamenti, culto.
Il giusto e il santo viene ucciso fuori, anche perché l’esecuzione deve
diventare uno spettacolo e insieme un monito per tutti. Scorgiamo con
gli occhi della profondità del cuore e della coscienza Gesù in mezzo al
popolo immenso dei condannati a morte: dai campi di sterminio, ai
desaparecidos, a migliaia di migranti, a tanti altri ancora. Viene
inchiodato sulla croce in mezzo ad altri due condannati, probabilmente
appartenenti al gruppo armato degli zeloti che con le armi si ribellano
all’occupazione romana. Si avvicina la morte a causa delle ferite della
tortura, di quelle successive, per la crescente difficoltà a respirare.
Attorno il disprezzo, l’ironia, la provocazione e la sfida in cui sono
uniti le autorità e il popolo.
Per noi tutti una meditazione continua. Pare proprio che abbiano il
sopravvento le forze del male, della violenza, della menzogna, di un
Dio utilizzato per coprirle. Gesù si sente morire solo, fallito,
abbandonato; accanto c’è solo uno dei discepoli e la madre con un
gruppetto di donne presenti, coraggiose e fedeli. Pare che anche il
Padre lo abbia abbandonato, che lì sul Golgota Dio non ci sia. E Gesù
emette con un sospiro, con un grido soffocato le parole di un
interrogativo drammatico che sale ogni giorno dall’umanità: “Dio mio,
Dio mio perché mi hai abbandonato?”. Un interrogativo straziante
dall’abisso de dolore, del fallimento, del buio e insieme l’espressione
dell’esigenza di un radicale affidamento; come a dire: “Se tu non ci
sei è proprio la fine completa nel vuoto, nel buio,
nell’insignificanza”. Dov’è Dio? In Gesù crocifisso sulla croce. E’ il
Dio crocifisso vittima con le vittime, sofferente con i sofferenti. La
sua vicinanza può consolarci.
Così il pastore Dietrich Bonhoeffer impiccato dai nazisti: “Dio si
lascia sloggiare dal mondo e inchiodare sulla croce. Dio è impotente e
fragile nel mondo e solo così egli ci aiuta con le sue debolezze e
sofferenze. Dio soffre per aiutare l’uomo. Dio riceve la sua potenza
attraverso la sua impotenza”. Passione dell’uomo, passione di Dio.
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