25
novembre
Giornata di lotta internazionale
delle donne
Documento a cura delle DONNE in NERO
La Giornata internazionale contro la violenza maschile sulle donne e
la violenza di genere si inserisce quest’anno in un orizzonte di
pandemia e di crisi globale. Una crisi che ha evidenziato quanto siano
profonde le radici di oppressione, diseguaglianza e sfruttamento insite
nel sistema economico e sociale in cui si colloca la vita delle donne.
Nei mesi scorsi, il Covid 19 ha obbligato tutt* a rimanere rinchius*
nelle proprie case e questo ha accentuato le differenze che
caratterizzano l’esistenza e il ruolo sociale di donne e uomini. Le
case, infatti, non sono luoghi sicuri per molte di noi: i femminicidi e
la violenza maschile si sono accentuati dall’inizio di questa crisi,
anche nei confronti delle persone LGBTIQ* e i provvedimenti di
quarantena hanno reso ancora più difficile contrastare tali fenomeni e
affermare la nostra libertà e autodeterminazione.
In Italia, negli 87 giorni di lockdown (9 marzo-3 giugno), sono
state uccise 44 donne in ambito familiare-affettivo: si è compiuto un
femminicidio ogni due giorni! Dall’inizio del 2020 ad oggi, hanno perso
la vita 58 donne per mano di mariti, fidanzati, ex compagni.
Viviamo in un sistema dove i condizionamenti del patriarcato non
sono spariti. Con la pandemia, la casa è stata confermata come luogo
materiale e simbolico di identificazione delle donne con il lavoro
domestico, con tutte le mansioni di cura, assistenza, accudimento di
figli, mariti, genitori, da sempre svolte gratuitamente. A ciò si è
aggiunta la difficile ricerca di una conciliazione con il lavoro svolto
fuori dai nuclei familiari o con le attività estremamente pervasive
dello smart working. Molte donne hanno perso l’occupazione, spesso
precaria, altre hanno visto ridurre drasticamente il proprio reddito
come libere professioniste, lavoratrici autonome e dipendenti.
In questi mesi è risultato evidente l’apporto fondamentale dato alla
nostra società da tutte le donne che hanno sostenuto l’emergenza –
infermiere, mediche, addette alle pulizie, dipendenti delle case di
riposo, cassiere e commesse delle grandi catene di distribuzione
alimentare, farmaciste, operaie, che hanno lavorato in condizioni
pericolose per la loro salute, con orari estesi e spesso con salari
miseri. A queste lavoratrici si sono aggiunte le tante assistenti
familiari a cui è affidata la cura dei bambini e degli anziani, donne
quasi sempre migranti, invisibilizzate, razzializzate e sfruttate,
spesso senza permesso di soggiorno e di tutele sanitarie.
Sono donne che operano in settori dove si è determinata una forte
femminilizzazione del lavoro, in cui viene svolta una fondamentale
funzione, quella della riproduzione sociale di un intero sistema, di
un’intera collettività.
L’epidemia globale ha dimostrato come la salvaguardia della salute e
della vita siano questioni socialmente e politicamente centrali nella
nostra epoca. Per questo non possiamo accettare che la cura del nostro
mondo sia affidata soprattutto alle donne, immaginando una loro piena
disponibilità ad accettare questo ruolo, come se fosse un automatismo,
una missione naturale.
Né possiamo consentire, in futuro, che si realizzino ancora
politiche brutali di taglio del welfare e dei servizi sociali, come è
accaduto negli ultimi decenni a livello globale, con l’implacabile
ridimensionamento della sanità pubblica, dell’assistenza,
dell’istruzione e della ricerca.
Il 25 novembre, giornata di attivismo internazionale delle donne, ci
porta a considerare le molteplici aree di guerra e conflitto presenti
nel mondo dove le politiche condotte dagli stati - politiche coloniali,
di invasione, di occupazione militare, di acceso nazionalismo –
colpiscono le popolazioni civili e impediscono la possibilità di
ricevere cure e trattamenti sanitari adeguati. In questi contesti le
donne subiscono una violenza ulteriore e viene limitata la loro lotta
per il pieno riconoscimento della libertà dal dominio patriarcale.
Nonostante le difficili condizioni materiali, l’impoverimento
diffuso, l’oppressione esercitata da regimi illiberali, nonostante il
distanziamento sociale imposto dal contagio, le donne nel mondo non
hanno smesso di costruire e rafforzare reti di solidarietà e
resistenza. Hanno usato lo sciopero femminista come strumento di
espressione della propria autonomia ideale, politica e organizzativa.
Così hanno fatto le donne polacche, impegnate negli ultimi mesi in una
strenua lotta per impedire che l’accesso all’aborto fosse completamente
proibito nel loro Paese, guidato da forze politiche della destra più
retriva e misogina.
Lo sciopero femminista globale ci ha insegnato, dal 2017 a oggi, che
è possibile, stando insieme, raccogliere l’energia necessaria per
opporci alla “normalità” dell’oppressione patriarcale. Per questo
diventa fondamentale orientare le nostre voci in una stessa direzione,
per reagire all’isolamento ed evitare la frammentazione imposta dalla
pandemia.
Il 25 novembre non potremo scendere in strada, ma rilanciando
l’appello di alcune reti femministe transnazionali invitiamo tutt*
coloro che rifiutano la violenza di genere, lo sfruttamento, il
razzismo, a unirsi per rafforzare il movimento globale delle donne, per
uscire insieme dalla pandemia e per progettare il nuovo!
Donne in Nero di Udine
In allegato il documento in pdf