La vita umana: un bene inestimabile
La vita umana: un bene inestimabile
Letture e riflessioni
Centro Balducci e Aviano, agosto 2021
IL VALORE DELLA VITA UMANA
Spunti di riflessione

6 e 9 agosto: in memoria delle vittime di Hiroshima e Nagasaki
Don Pierluigi Di Piazza

Ci sono eventi che cambiano la storia per cui non è e non sarà più come prima. 

Le bombe atomiche sganciate dagli USA sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki il 6 e il 9 agosto del 1945, 76 anni fa, è uno di questi perché ha segnato il passaggio mostruoso delle possibilità distruttive dell'uomo. La ricerca scientifica è stata piegata alla produzione della morte e le decine e decine di migliaia di persone uccise immediatamente e poi per lunghi anni successivi ne sono state la conseguenza.

Ho trovato sempre inaccettabili i tentativi di giustificazione, anzi un disprezzo per le vittime, a partire da chi è rimasta solo l'ombra e di tutte le altre innumerevoli colpite con esiti impressionanti sui loro corpi. È stato un crimine contro l'umanità, l'annientamento delle popolazioni inermi di due città: dai bambini che quella mattina del 6 agosto alle 8:15 a Hiroshima si recavano a scuola, agli operai che alle 11:02 del 9 agosto lavoravano nelle fabbriche di Nagasaki.

Da allora per decenni c’è stata una corsa sfrenata agli armamenti nucleari soprattutto da parte delle due potenze di USA e URSS, nel mondo diviso in due blocchi: si è parlato per anni dell'equilibrio del terrore, fondato cioè sulla paura reciproca; padre Balducci scrisse che paradossalmente l'umanità è stata sorvegliata dalle "sentinelle atomiche".

Ho vissuto l'esperienza di grande coinvolgimento e commozione di essere parte di una piccola delegazione del Centro Balducci nella partecipazione nel 2005 al sessantesimo anniversario di questo crimine contro l'umanità. Il Centro ha cercato di porre sempre attenzione alla memoria storica e ha invitato anche i testimoni di Hiroshima e Nagasaki, gli hibakusha (sopravvissuti), fra cui Suzuko Numata di Hiroshima. Partecipare in queste due città martiri alla memoria con i testimoni presenti è stata un'esperienza indelebile.

Tra le altre situazioni nel parco della memoria di Hiroshima colpisce il monumento a Sadako Sasaki e con lei a migliaia di bambini vittime; è morta a soli 12 anni per la leucemia causata dalle radiazioni della bomba; era sopravvissuta all'esplosione e poi aveva costruito da malata con le sue mani mille gru di carta per auspicare la pace nel mondo. Nel parco della memoria di ambedue le città è presente in modo eloquente l'acqua per ricordare le decine di migliaia di vittime che la imploravano negli spasmi della morte mentre i loro corpi bruciavano. Negli anni ci sono stati trattati per la non proliferazione e per la riduzione delle armi nucleari ma con grave preoccupazione si evidenzia che ad oggi nel mondo sono presenti all'incirca 14200 armi atomiche con gli USA al primo posto e la Russia al secondo.

Nel luglio 2017 l'ONU ha votato un trattato contro le armi nucleari sottoscritto da 122 paesi. Il 22 gennaio 2021 al termine dei 90 giorni previsti dopo la cinquantesima verifica il Trattato è diventato giuridicamente vincolante per tutti i Paesi che l'hanno firmato: rende illegale l'uso, lo sviluppo, i test, la produzione, la fabbricazione, l'acquisto, il possesso, l’immagazzinamento, installazione e il dispiegamento di armi nucleari. Il nostro Paese non ha firmato il trattato, quindi non ha potuto successivamente ratificarlo. Fra i primi firmatari c'è invece la Santa Sede. In Italia nelle basi di Aviano e di Ghedi sono presenti una quarantina di ordigni nucleari (B61).

Nella base di Ghedi si stanno ampliando le strutture per poter ospitare i nuovi cacciabombardieri F35 ognuno dal costo di almeno 155 milioni di euro, in grado di trasportare nuovi ordigni atomici ancora più potenti (B61-12). Il nostro Paese si è impegnato ad acquistare 90 cacciabombardieri F35 per una spesa complessiva di oltre 14 miliardi di euro a cui vanno aggiunti i costi di manutenzione e quelli relativi alla loro operatività. Si pensa immediatamente ad investimenti alternativi per la salute, la scuola, il lavoro, i servizi sociali. Che il nostro Paese non abbia firmato il Trattato ONU è sconcertante, come lo è la scarsa sensibilità nelle Chiese: in quante se ne parla?

Eppure ci sono stati pronunciamenti importanti e forti da parte del Magistero. Eccone alcuni. Nel 1963 Papa Giovanni XXIII nell'enciclica Pacem in Terris ha affermato che pensare che la guerra possa essere utilizzata come strumento è "alienum a ratione" cioè una pazzia, fuori dalla razionalità umana. Nel documento del Concilio Vaticano II “Gaudium et spes” si afferma che ogni guerra che mira indiscriminatamente alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti è "delitto contro Dio e contro la stessa umanità". Papa Francesco ad Hiroshima il 24 novembre 2019 ha parlato di "un crimine, non solo contro l'uomo e la sua dignità, ma contro ogni possibilità di futuro della nostra casa comune. L'uso è immorale come anche il possesso”.

In queste gravi e decisive questioni è sempre richiesta la rivoluzione culturale, etica politica e spirituale. Non si può vivere come se i crimini di Hiroshima e Nagasaki non ci siano stati, come se le armi nucleari non continuino ad essere una terribile minaccia di distruzione e di morte e per la loro costruzione una sottrazione inaccettabile di risorse all'attenzione, alla premura e alla cura per l'umanità e l'ambiente vitale.

Come avviene da diversi anni ci si è trovati il 9 agosto alle ore 10 per un sit-in davanti alla base USAF di Aviano a favore del disarmo nucleare: questo ha evidenziato soprattutto come la corsa agli armamenti sottrae risorse alla salute pubblica, alla scuola, alla ricerca, al lavoro, alla salvaguardia dell’ambiente, alle attività socialmente utili. Fra i promotori: Beati i costruttori di pace, Centro E. Balducci, Emergency, ANPI, Bilanci di giustizia, Rete DASI Fvg


Intervento letto stamane davanti alle base militare nucleare di Aviano all'iniziativa per la memoria delle vittime bombardamenti atomici 6-9 agosto 1945.

Di fronte a questa enorme deposito di morte, un sito di vecchie e poi nuove armi nucleari americane, pronte ad essere collocate sui bombardieri volanti, non possiamo non ricordare il dramma di chi a circa 400 km da qua è confinato in un vecchi e ora nuovissimi e “moderni”  campi di trattenimenti.

Si tratta di qualche migliaio di persone, compresi minori non accompagnati, provenienti da Pakistan, Afghanistan, Siria, Iran, Palestina, dal nord e centro Africa fermi in Bosnia, respinti dall’Italia, dalla Slovenia e dalla Croazia, anche con estrema brutalità.

Questo inverno ci siamo commossi davanti alle immagini di quello di Lipa, nel cantone di Una Sana, in Bosnia Erzegovina, incendiato, con le persone costrette a vagare sotto la neve senza vestiti e calzari adeguati, in strutture precarie senza acqua corrente e luce; abbiamo i partecipato a raccolte di aiuti e alla campagna di digiuno a staffettapromossa da Rete DASI da metà gennaio a fine aprile, per chiedere a Italia ed Europa la fine dei “respingimenti informali” nonché di ogni brutale aggressione, aiuti umanitari immediati e l’avvio di una nuova politica europea di accoglienza.

L’Europa ha investito oltre 100 milioni di euro per la Bosnia (sappiamo anche di cifre ben più impressionanti per Grecia, Turchia e Libia) per far fronte all’arrivo dei migranti che attraverso la cosiddetta “rotta balcanica” arrivano in Europa, una piccolissima parte di quel mare di 80 milioni di persone che viaggia, dati ONU, nel mondo per scappare da guerre, discriminazioni, persecuzioni, semplicemente fame, denutrizioni, disastri climatici. Respingimenti e confinamento: un’altra faccia delle “nostre” politiche di sfruttamento e riarmo. Oggi però su quei campi è sceso il silenzio, sembra quasi che tutto sia “risolto”: in realtà non è affatto così. Gran parte dei fondi europei viene utilizzata dal governo della Bosnia, in accordo con l’Europa, per realizzare grandi strutture, fatiscenti e degradatelontanissime dai centri abitati, con standard di vita molto bassi, nei quali sono rinchiusi ogni genere di persone: famiglie intere, minori, uomini soli.

E il caso del nuovo campo di Lipa, isolato a 30 km dal centro più vicino di Bihac, in struttura senza requisiti minimi di vivibilità, dove vengono ammassate anche persone prese in ogni luogo vicino e li trasferite a forza. Le pochissime domande di asilo raccolte giacciono nei cassetti e comunque sono destinate ad essere respinte, mentre la Croazia, avamposto dell’Europa, continua la sua tradizionale politica di “accoglienza”. Così la Slovenia. L’Italia se ha per ora formalmente sospeso i respingimenti informali ha ripreso un massiccio pattugliamento con la polizia slovena dei confini del FVG per di fatto bloccare ogni attraversata del “game”, quel gioco infinito con cui i migranti descrivono il tentativo di entrare nella nostra fortezza.

Sappiamo che incombe la discussione e votazione al Parlamento europeo del “Nuovo Patto su immigrazione e asilo”, presentato dalla Commissione europea a fine settembre, dopo il fallimento nella legislazione precedente dell’ accordo di Dublino del 2013. Sappiamo anche che gli arrivi irregolari sono diminuiti, negli ultimi anni e così le domande di asilo. Ma invece è cresciuto un sentimento di avversione e odio verso l’accoglienza e le uniche azioni di soccorso delle ONG. Sappiamo che il Mediterraneo si è trasformato in un grande cimitero e non mancano i morti. Così anche sul versante dei Balcani: ogni tanto qualcuno salta su una mina, annega attraversando mari o fiumi, cade in qualche dirupo o semplicemente muore assiderato.

Il Nuovo Patto in discussione mina profondamente l’attuale Sistema europeo di asilo (CEAS), di fatto comunque mai pienamente realizzato, e concentra quasi tutte le azioni degli Stati per integrare le politiche nazionali in materia di controllo di frontiera, asilo e immigrazione verso quasi esclusivamente su identificazione e rimpatrio, prevedendo che sia la “frontiera esterna” il luogo dove questi obiettivi si realizzano.

Così gli Stati non potrebbero accogliere “autonomamente” richiedenti asilo, perché essi vanno trattenuti in strutture detentive in prossimità del confine, fino alla fine delle procedure complesse di identificazione comprese quelle di espulsione con rimpatrio. Quindi è probabile, alle frontiere dell’Europa, una sorta di approccio hotspot generalizzato e chiuso con alti costi economici e umani verso un numero elevato di persone.

E quanto si sta realizzando in Bosnia, come in Grecia o in Turchia, ne è l’anticipazione.

Così tragicamente l’Europa ripropone “campi di confinamento” per “risolvere” il tema di persone “indesiderate” anziché attuare vere politiche di accoglienza e integrazione anche per risolvere i suoi grandi problemi di denatalità e carenza di manodopera.

Un impegno contro i pericoli degli armamenti atomici, i costi enormi del riarmo sottraendo investimenti al sociale e ambiente, per combattere la pandemia, deve guardare anche alla condizione dei migranti e opporsi ai tentativi, già in fieri, di trattenerli ai confini dell’Europa in moderni campi di concentramento semplicemente per impedire il loro l’ingresso regolare nell’Occidente ricco.

PaceAmbiente e Accoglienza: uguale impegno per un altro nuovo mondo, unico possibile per superare la crisi strutturale di questo che ci sta portando alla distruzione.

Per Rete DASI FVG, Michele Negro

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