In ricordo di Giulio Regeni
In ricordo di Giulio Regeni
Riflessioni di don Pierluigi Di Piazza
Mi dispiace molto dell’impossibilità ad non essere presente questa sera a Fiumicello come ogni anno con Paola, Claudio, Irene, Alessandra, don Gigi, tutte e tutti voi che saluto con amicizia e cordialità. 

Quando ci comunichiamo in modo diretto ed essenziale con Claudio e Paola esprimo loro sempre vicinanza profonda e continua. 

Non si tratta di una vicinanza fisica, misurabile, bensì di un coinvolgimento interiore vissuto che comprende dolore devastante, amore di memoria e presenza viva di Giulio che "continua a fare cose" e che chiede di dare attuazione concreta alla verità e alla giustizia. 

Un amore trasformato in impegno continuo, determinato e perseverante. Oggi 25 gennaio 2022 sono 6 anni da quel 25 gennaio 2016 quando Giulio è stato sequestrato, fatto sparire per torturarlo poi in modo terrificante e buttare in disparte il suo corpo devastato il 3 febbraio. 

Le date segnano il tempo cronologico ma come ci ha insegnato padre Ernesto Balducci c'è un tempo dell'essere in cui si misurano umanità e disumanità, moralità e immoralità, regimi autoritari come l'Egitto e tanti altri i paesi democratici anche se affaticati e incerti come il nostro con una politica da cambiare profondamente come contenuti, rappresentanza e metodo. 

Nella situazione in cui ci troviamo la politica deve operare con decisione e determinazione ben maggiori, quella italiana e quella europea perché Giulio è cittadino italiano ed europeo, e come sensibilità, cultura e atteggiamenti cittadino del mondo. La questione dei diritti umani da affermare e rivendicare è fondamentale, decisiva. Il compianto David Sassoli lo ripeteva spesso con convinzione. 

A mio sentire uno dei passaggi più scandalosi di questo difficile, tormentato e avversato percorso però con le conquiste davvero notevoli che si sono fatte, è stata la vendita di navi da guerra e di altre armi all'Egitto da parte dell'Italia. 

Resta un fatto di gravità inaudita. 

Mi scuso se ripropongo quell'immagine già espressa che il ferro, l'acciaio delle navi e delle armi ha evocato drammaticamente una sorta di continuazione degli strumenti della tortura sul corpo di Giulio. 

È incredibile come si possono tenere questi rapporti con il regime che ha ucciso Giulio e che continua ad opporsi alla verità e alla giustizia. 

Mi ha fatto sempre molto pensare, cari Paola e Claudio, da quando avete iniziato e poi continuato a dire: “Giulio insieme a tutti i Giuli e le Giulie del mondo” per cui il dolore diventa dolore condiviso così come la denuncia della continua violazione dei diritti umani deve diventare impegno comune per la loro affermazione. 

In questi anni mi ha ancora colpito come il nome, la storia straziante e insieme luminosa di Giulio, il vostro modo di procedere siano diventati coinvolgimento di tantissime persone, del Vasto popolo giallo a dire che la vicenda ci riguarda, ci coinvolge, ci muove in tanti e tante. L’ “I Care” di Barbiana continua a guidarci anche in questa ardua impresa.  

Si constata come le presenze di questo grande popolo siano unite nella diversità delle loro espressioni e manifestazioni. Abbiamo gioito e ci siamo commossi quando la maglia rosa Alessandro De Marchi che dovrebbe essere lì presente e che è un amico con cui ho condiviso momenti molto importanti, ha comunicato a tutto il mondo con il braccialetto giallo, con il nome di Giulio, con parole profonde, che portava sulle strade Giulio con sé. Proprio bello e significativo. 

Ricordo ancora un'espressione di David Sassoli in un suo messaggio di auguri prima dello scorso Natale: "La speranza siamo noi quando non chiudiamo gli occhi di fronte al bisogno degli altri".
 
E il bisogno di verità e giustizia è essenziale e doveroso. Di fronte alla violazione dei diritti umani non si può mai chiudere gli occhi. Questa mattina al Circolo della Stampa di Trieste c'è stato un momento di attenzione e di riconoscimento alla Fondazione Lucchetta, Ota, D’Angelo, giornalisti uccisi a Mostar il 28 gennaio 1994 e Miran Hrovatin, ucciso con Ilaria Alpi a Mogadiscio il 20 marzo 1994. 

Questa iniziativa fa parte dei momenti pubblici per ricordare i vent'anni di “Articolo 21”, la Fondazione di Trieste ha trasformato l'immenso dolore in amore: in concreto nell'accoglienza, attenzione, premura, cura, intesa nel senso più profondo e ampio del termine a bambini e bambine provenienti da Paesi in guerra e in diverse situazioni difficili ed estreme.

Amore, dolore, disponibilità e impegno sono inscindibilmente intrecciati; il contrario sono l'indifferenza, il disinteresse, il voltarsi dall'altra parte, la violazione dei diritti umani, la disumanità. 

Con tenacia vogliamo restare umani, crescere in umanità e diffonderla. 

Personalmente mi sento piccolo piccolo ma in questa piccolezza disponibile a camminare facendo parte di quel noi a cui ci sentiamo di appartenere.

Saluto tutti e tutte voi con vicinanza, amicizia e cordialità.

Pierluigi Di Piazza

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