Giovani all'altezza di un tempo nuovo
Giovani all'altezza di un tempo nuovo
Una riflessione di speranza
Dopo il ritorno dalla GMG di Lisbona
Si è conclusa domenica scorsa la Giornata Mondiale della Gioventù di Lisbona. Alcuni interventi dei media hanno riportato l’attenzione sul mondo giovanile alla luce di una situazione ecclesiale alquanto complessa e critica soprattutto a partire dalla constatazione di chiese sempre più deserte; ci sta, i numeri non dicono certo tutto, ma avere il coraggio di rendere i giovani davvero protagonisti del nostro oggi (e non di un famigerato, lontano domani…) è la grande sfida della società oltre che della Chiesa.

Altri interventi sono stati espressione di accesa critica con chiavi di lettura superficiali e ridicolizzanti da lasciar basiti per la miope visione senza futuro, per i contorni di un quadro senza speranza. Probabilmente come quello che aveva respirato su fronti più globali papa Roncalli quando, l’11 ottobre 1962, aprendo il Concilio Vaticano II, dissentì risolutamente dai “profeti di sventura, che, sebbene accesi di zelo per la religione, annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo”.

Lo scorso 9 agosto, nel 78° anniversario di Nagasaki, l’incontro di pacifici manifestanti contro le armi atomiche davanti alla Base Usaf di Aviano ha fatto riaffiorare un’affermazione di sant’Agostino che desidero riportare: “La speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno e il coraggio. Lo sdegno per la realtà delle cose e il coraggio per cambiarle”. Credo che (anche) le GMG nel loro piccolo stiano dando un contributo di speranza permettendo ai giovani di lavorare proprio su questi due fronti: lo sdegno per il male, le sofferenze di persone e di popoli interi, le ingiustizie subite dai prepotenti di turno, la violenza comminata contro l’uomo e la madre terra,… e il coraggio per tentare di cambiare qualcosa, di lasciare il mondo meglio di come l’abbiamo trovato, il coraggio di scendere in campo anche a rischio di qualche scivolata o di sporcarsi le brache, il coraggio di metterci la faccia in prima persona e di aprire alleanze, costruendo ponti senza paura di perdersi. Francesco, tornato da Lisbona, ha detto: “La GMG ha dimostrato che esiste un’alternativa alla guerra”. Oso dire: la GMG è alternativa per lo shalom. È scuola di speranza per una vita di senso. È laboratorio della fede per uomini e donne evangelicamente solidali e fiduciosi. È workshop di civiltà per cominciare a realizzare un mondo realmente senza confini.

A scrivere queste cose non è certo un idolatra delle GMG e nemmeno un “Papaboy”. Da una parte, alla soglia dei sessant’anni, penso di essere semplicemente un credente che cerca – e, lo dico con umiltà, con quotidiana fatica – di camminare sulle impronte di Gesù di Nazareth, attingendo da Lui la forza e la grazia per rinnovarmi e divenire sempre più uomo; dall’altra, riconosco che (anche e non solo) quegli eventi abbiano contribuito a farmi sentire parte viva di una Chiesa davvero cattolica nel senso di universale, e nel contempo mi abbiano confermato nella necessità di quei piccoli e grandi cambiamenti e scelte di campo indispensabili per uscire dall’individualismo e da una pericolosa, inumana, sempre incombente e spesso dominante indifferenza. Cosa a cui mi sento chiamato ogni giorno, pur nella consapevolezza dei limiti personali.

Per questo mi ritrovo pienamente in chi riconosce come nel corso di quasi quarant’anni i giovani della GMG, immischiati nel mondo, nel nascondimento di famiglie “incasinate” e sorridenti che con fedeltà al vissuto si aprono alla vita e all’accoglienza, nella quotidianità di professionisti che non si rassegnano alla mediocrità e mettono amore nel proprio lavoro, nella scelta di chi fa spazio a progetti di solidarietà, di giustizia o di servizio al bene comune, siano “come un fuoco acceso sotto la cenere: non lo vedi, ma c’è e riscalda”. È l’augurio che mi sento di custodire di vero cuore specialmente verso i giovani che per la prima volta hanno partecipato a questo evento: siate bronze vive, perché, “se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutto il mondo!”, ricordava nel 2000 da Tor Vergata Giovanni Paolo II citando santa Caterina da Siena.

Sono convinto che il cristianesimo, inteso nel senso più ampio e inclusivo che coinvolge chiunque accoglie in sé l’Amore, non è alla fine. Sarà diverso da un tempo, forse meno riconoscibile da etichette, ma non morirà; lo Spirito del Risorto, che soffia dove vuole, sta già trovando modi nuovi e nuovi protagonisti per scrivere inedite pagine di un mondo più giusto, più libero, più vero, più solidale, più umano, un mondo senza confini più carico di speranza. E io sono certo che, contrariamente a quanto professano i “profeti di sventura”, i giovani d’oggi ne sono all’altezza.

Paolo Iannaccone
(Si ringraziano i direttori del Messaggero Veneto di Udine e del Piccolo di Trieste per la disponibilità a pubblicare il presente articolo sul rispettivo quotidiano del 12 agosto 2023)

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