DOMENICA 3 Febbraio 2019 Vangelo Luca 4, 20-30
03/02/2019

DOMENICA 3 FEBBRAIO 2019
La profezia rifiutata
Vangelo di Luca 4, 20-30

Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: «Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!»». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c'erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone.  C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».
All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno.  Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù.  Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

Il Vangelo di questa domenica (Luca 4, 20-30) ci propone una riflessione su una situazione che nella storia si è ripetuta e si ripete con maggiore o minore evidenza. Di fronte a una persona, ad una comunità che esprimono con forza e coraggio la profezia, all’inizio ci possono essere sorpresa, stupore e meraviglia. Poco dopo, può insinuarsi qualche interrogativo dubbioso riguardo all’origine di quella profezia, per prenderne in qualche modo distanza. 
Così avviene a Gesù dopo che nella sinagoga di Nazaret, il paese in cui è cresciuto, ha annunciato il progetto del Regno di Dio, la sua missione di mistico-rivoluzionario, di rivelazione della presenza nella storia del Dio umanissimo vicino, solidale, accogliente, liberatore. Tutti i presenti guardano a lui sorpresi per le cose meravigliose che dice, gli danno ragione, ma subito dopo cominciano a chiedersi: “Come mai questo Gesù esprime un progetto così grande da sembrare presuntuoso, se fino all’altro giorno in casa di Giuseppe e Maria ha svolto il lavoro di falegname? Gesù commenta il loro atteggiamento e ricorda il proverbio famoso “medico cura te stesso” e interpreta il loro desiderio che anche lì nel suo villaggio lui compia i gesti con cui già si è manifestato a Cafarnao: di accoglienza, guarigione, fiducia e incoraggiamento. Poi aggiunge: «Io vi dico: nessun profeta ha fortuna in patria».
Così è sempre avvenuto e avviene. Ricordiamo con profonda stima, vicinanza e gratitudine alcuni profeti nella Chiesa incompresi, osteggiati, emarginati, poi riconsiderati, anche con affermazioni esplicite, però solo parzialmente seguiti, perché la forza della profezia continua sempre a provocare, a smuovere, a chiedere coscienza, autonomia, presa di posizione, responsabilità.
Primo Mazzolari: la profondità spirituale, l’antifascismo, la condanna della guerra, il suo essere prete dei “lontani”. Papa Paolo VI, dieci anni dopo la morte di don Primo, ha ricevuto in Vaticano la sorella Giuseppina e un gruppo di parrocchiani e così si è rivolto loro: «Hanno detto che non abbiamo voluto bene a don Primo. Non è vero. Anche noi gli abbiamo voluto bene. Ma voi sapete come andavano le cose. Lui aveva un passo troppo lungo e noi si stentava a tenergli dietro. Così ha sofferto lui e abbiamo sofferto noi. Questo è il destino dei profeti». 
Il profeta poeta della nostra terra padre Davide Turoldo, incompreso, criticato, fatto girare; così dice: «Ero senza casa e senza chiesa. E dovevo girare». E questo a motivo del suo essere profeta appassionato e coinvolgente. Il 21 novembre 1991 il cardinale Martini alla consegna a padre David del Premio Lazzati così gli dice: «Considero un vero dono della Provvidenza averti incontrato più da vicino per esternarti il mio affetto e la mia gratitudine. Oltre l’apprezzamento per ciò che sei vogliamo fare atto di riparazione, evitare di edificare solo sepolcri ai profeti e dirti che abbiamo sbagliato; esprimere il desiderio di ascoltare con più attenzione le voci profetiche nella Chiesa; di aver rispetto e amore per l’onestà con cui ogni profeta parla, quando è mosso dallo Spirito e sa pagare di persona per quello che dice e sente». 
E così possiamo considerare don Milani, padre Balducci, don Tonino Bello, don Diana, don Puglisi, mons. Romero e tanti altri. È un grave peccato che così raramente nelle Diocesi e nelle parrocchie si attinga allo straordinario patrimonio dei profeti e dei martiri.


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