Il Vangelo di questa domenica (Luca 4, 20-30) ci propone una riflessione su una situazione che nella storia si è ripetuta e si ripete con maggiore o minore evidenza. Di fronte a una persona, ad una comunità che esprimono con forza e coraggio la profezia, all’inizio ci possono essere sorpresa, stupore e meraviglia. Poco dopo, può insinuarsi qualche interrogativo dubbioso riguardo all’origine di quella profezia, per prenderne in qualche modo distanza.
Così avviene a Gesù dopo che nella sinagoga di Nazaret, il paese in cui è cresciuto, ha annunciato il progetto del Regno di Dio, la sua missione di mistico-rivoluzionario, di rivelazione della presenza nella storia del Dio umanissimo vicino, solidale, accogliente, liberatore. Tutti i presenti guardano a lui sorpresi per le cose meravigliose che dice, gli danno ragione, ma subito dopo cominciano a chiedersi: “Come mai questo Gesù esprime un progetto così grande da sembrare presuntuoso, se fino all’altro giorno in casa di Giuseppe e Maria ha svolto il lavoro di falegname? Gesù commenta il loro atteggiamento e ricorda il proverbio famoso “medico cura te stesso” e interpreta il loro desiderio che anche lì nel suo villaggio lui compia i gesti con cui già si è manifestato a Cafarnao: di accoglienza, guarigione, fiducia e incoraggiamento. Poi aggiunge: «Io vi dico: nessun profeta ha fortuna in patria».
Così è sempre avvenuto e avviene. Ricordiamo con profonda stima, vicinanza e gratitudine alcuni profeti nella Chiesa incompresi, osteggiati, emarginati, poi riconsiderati, anche con affermazioni esplicite, però solo parzialmente seguiti, perché la forza della profezia continua sempre a provocare, a smuovere, a chiedere coscienza, autonomia, presa di posizione, responsabilità.
Primo Mazzolari: la profondità spirituale, l’antifascismo, la condanna della guerra, il suo essere prete dei “lontani”. Papa Paolo VI, dieci anni dopo la morte di don Primo, ha ricevuto in Vaticano la sorella Giuseppina e un gruppo di parrocchiani e così si è rivolto loro: «Hanno detto che non abbiamo voluto bene a don Primo. Non è vero. Anche noi gli abbiamo voluto bene. Ma voi sapete come andavano le cose. Lui aveva un passo troppo lungo e noi si stentava a tenergli dietro. Così ha sofferto lui e abbiamo sofferto noi. Questo è il destino dei profeti».
Il profeta poeta della nostra terra padre Davide Turoldo, incompreso, criticato, fatto girare; così dice: «Ero senza casa e senza chiesa. E dovevo girare». E questo a motivo del suo essere profeta appassionato e coinvolgente. Il 21 novembre 1991 il cardinale Martini alla consegna a padre David del Premio Lazzati così gli dice: «Considero un vero dono della Provvidenza averti incontrato più da vicino per esternarti il mio affetto e la mia gratitudine. Oltre l’apprezzamento per ciò che sei vogliamo fare atto di riparazione, evitare di edificare solo sepolcri ai profeti e dirti che abbiamo sbagliato; esprimere il desiderio di ascoltare con più attenzione le voci profetiche nella Chiesa; di aver rispetto e amore per l’onestà con cui ogni profeta parla, quando è mosso dallo Spirito e sa pagare di persona per quello che dice e sente».
E così possiamo considerare don Milani, padre Balducci, don Tonino Bello, don Diana, don Puglisi, mons. Romero e tanti altri. È un grave peccato che così raramente nelle Diocesi e nelle parrocchie si attinga allo straordinario patrimonio dei profeti e dei martiri.