La morte è parte della vita; della morte biologica noi recepiamo,
per com’è possibile, l’esperienza degli altri, perché della nostra non
possiamo parlarne; anzi si potrebbe considerare come si possa parlare
del suo avvicinamento, ad esempio nel percorso di malattie lunghe e
irreversibili che portano la persona coinvolta a riflettere e alle
volte anche ad esprimersi sulla morte che sta arrivando.
L’esperienza della morte delle persone care, familiari e amiche,
provoca sempre un profondo dolore, una lacerazione dell’anima, proprio
perché sconvolge le relazioni di amore e di amicizia intuite, cercate,
costruite, vissute. La persona cara non c’è più fisicamente, ma di
fatto continua ad esserci con la sua presenza nella nostra vita perché
ne è parte importante, decisiva. Questa assenza e presenza
contemporanee determinano la lacerazione dolorosa. Vita e morte
sono interdipendenti più di quanto comunemente si pensi: tante morti
sono provocate dall’ingiustizia, dalle violenze, dalle guerre, dalla
pericolosità e dai veleni degli ambienti di lavoro; per estensione si
consideri la morte di tante specie viventi. Non ci sono solo le morti
biologiche, ma anche quelle personali interiori, quelle sociali che
limitano e impediscono la vita; sono condizioni di non vita, pur
continuando quella biologica. Ci si dovrebbe impegnare in modo più
costante e determinato per rimuovere le cause di morte, per affermare
nella concretezza delle scelte, l’amore alla vita, per quello che è
possibile, senza presunzioni di immortalità.
Noi esseri umani siamo tali nella globalità delle nostre persone e
vivere e morire, vita e morte riguardano tutte le dimensioni
della nostra esistenza. Prendere a cuore la nostra storia personale,
insieme a quelle altre della storia umana con le quali siamo in
relazione, ma poi in qualche modo on tutte le storie umane dentro
all’interdipendenza del Pianeta.
La fede coinvolge nell’impegno per la vita e può, poco a poco,
nell’itinerario personale di ciascuno, contribuire a ritrovare
lentamente pacatezza e serenità interiore di fronte alla morte. E’ una
possibilità, non una certezza aprioristica; chissà se un passaggio
interiore particolarmente significativo sia quello di poter intuire,
percepire che Dio, il Dio di Gesù di Nazaret, non determina la morte,
non colpisce, non punisce, ma invece è accanto a noi nel dolore:
condivide, accompagna, sorregge…
Di certo la morte, in diverse situazioni è avvertita come una
profonda ingiustizia e suscita una serie di interrogativi…
Il Vangelo di questa domenica ci presenta una di queste (Vangelo
di Luca 7,11-17). Gesù con i suoi discepoli e il seguito di una grande
folla sta entrando in un villaggio chiamato Nain. Questa folla ne
incontra un’altra che sta accompagnando alla sepoltura il figlio unico
di una madre vedova. Una situazione drammatica, un dolore immenso.
“Appena la vide, il Signore ne ebbe compassione e le disse:-Non
piangere!-. Poi si avvicinò alla bara e la toccò: quelli che la
portavano si fermarono. Allora Gesù disse:-Ragazzo, te lo dico io:
alzati!-. Il morto si alzò e cominciò a parlare. Gesù allora lo
restituì a sua madre”.
Quindi Gesù vive una immediata compassione, cioè una profonda
partecipazione dell’anima; il dolore di quella madre attraversa la sua
umanità…Il suo pianto straziante gli fa male; la invita a non piangere:
non per un conforto occasionale e passeggero, in qualche modo
previsto, bensì per la sua presenza profonda nella situazione, di
cui è segno anche il suo toccare la bara. Invita il ragazzo morto ad
alzarsi; e lui si alza e parla; e Gesù “lo restituisce” alla madre
perché è suo figlio e la morte non deve interrompere il loro rapporto
di amore. Le reazioni dei presenti sono di grande stupore e di
gratitudine a Dio per Gesù di Nazaret profeta della vita presente fra
loro…
Tutti coloro che si trovano nella situazione della madre vedova
vorrebbero rivivere l’incredibile e inattesa ripresa della vita della
persona cara, la trasformazione del dolore in gioia insperata. Senza
entrare nelle modalità di questo segno di Gesù, accettandone la
provocazione e il significato profondi, si può affermare che dove passa
il Dio di Gesù, niente è impossibile, anche la ripresa della vita in
situazioni di morte, anche della morte fisica. Gesù ha affermato la
vita in continuità: quando ha accolto le persone, le ha ascoltate,
capite, guarite, consolate; quando ha condiviso i pani e i pesci;
quando ha insegnato l’amore, l’accoglienza, la fratellanza; quando ha
dato la sua vita ed è andato incontro alla morte per affermare la vita…
Ne deriva il coinvolgimento ad operare per la vita, ad alimentare
le ragioni della speranza, non con parole superficiali, di occasione,
ma con la pratica di una vita umana, veramente umana.