DOMENICA 9 GIUGNO 2013 Vangelo Luca 7,11-17
09/06/2013

DOMENICA 9 GIUGNO 2013
PRATICARE LA VITA
Vangelo Luca 7,11-17

In seguito Gesù andò in un villaggio chiamato Nain: lo accompagnavano i suoi discepoli insieme a una gran folla. Quando fu vicino all'entrata di quel villaggio, Gesù incontrò un funerale: veniva portato alla sepoltura l’unico figlio di una vedova, e molti abitanti di quel villaggio erano con lei.
“Non Appena la vide, il Signore ne ebbe compassione e le disse:-Non piangere!-. Poi si avvicinò alla bara e la toccò: quelli che la portavano si fermarono. Allora Gesù disse:-Ragazzo, te lo dico io: alzati!-. Il morto si alzò e cominciò a parlare. Gesù allora lo restituì a sua madre”.
Tutti furono presi da stupore e ringraziavano Dio con queste parole: “Tra noi è apparso un grande profeta!”. Altri dicevano: “Dio è venuto a salvare il suo popolo”. E la notizia di questi fatti si diffuse in quella regione e in tutta la Giudea.

La morte è parte della vita; della morte biologica noi recepiamo, per com’è possibile, l’esperienza degli altri, perché della nostra non possiamo parlarne; anzi si potrebbe considerare come si possa parlare del suo avvicinamento, ad esempio nel percorso di malattie lunghe e irreversibili che portano la persona coinvolta a riflettere e alle volte anche ad esprimersi sulla morte che sta arrivando.
L’esperienza della morte delle persone care, familiari e amiche, provoca sempre un profondo dolore, una lacerazione dell’anima, proprio perché sconvolge le relazioni di amore e di amicizia intuite, cercate, costruite, vissute. La persona cara non c’è più fisicamente, ma di fatto continua ad esserci con la sua presenza nella nostra vita perché ne è parte importante, decisiva. Questa assenza e presenza contemporanee determinano la lacerazione dolorosa. Vita  e morte sono interdipendenti più di quanto comunemente si pensi: tante morti sono provocate dall’ingiustizia, dalle violenze, dalle guerre, dalla pericolosità e dai veleni degli ambienti di lavoro; per estensione si consideri la morte di tante specie viventi. Non ci sono solo le morti biologiche, ma anche quelle personali interiori, quelle sociali che limitano e impediscono la vita; sono condizioni di non vita, pur continuando quella biologica. Ci si dovrebbe impegnare in modo più costante e determinato per rimuovere le cause di morte, per affermare nella concretezza delle scelte, l’amore alla vita, per quello che è possibile, senza presunzioni di immortalità.
Noi esseri umani siamo tali nella globalità delle nostre persone e vivere e morire, vita  e morte riguardano tutte le dimensioni della nostra esistenza. Prendere a cuore la nostra storia personale, insieme a quelle altre della storia umana con le quali siamo in relazione, ma poi in qualche modo on tutte le storie umane dentro all’interdipendenza del Pianeta.
La fede coinvolge nell’impegno per la vita e può, poco a poco, nell’itinerario personale di ciascuno, contribuire a ritrovare lentamente pacatezza e serenità interiore di fronte alla morte. E’ una possibilità, non una certezza aprioristica; chissà se un passaggio interiore particolarmente significativo sia quello di poter intuire, percepire che Dio, il Dio di Gesù di Nazaret, non determina la morte, non colpisce, non punisce, ma invece è accanto a noi nel dolore: condivide, accompagna, sorregge…
Di certo la morte, in diverse situazioni è avvertita come una profonda ingiustizia e suscita una serie di interrogativi…
Il Vangelo di questa domenica ci presenta una di queste (Vangelo di Luca 7,11-17). Gesù con i suoi discepoli e il seguito di una grande folla sta entrando in un villaggio chiamato Nain. Questa folla ne incontra un’altra che sta accompagnando alla sepoltura il figlio unico di una madre vedova. Una situazione drammatica, un dolore immenso. “Appena la vide, il Signore ne ebbe compassione e le disse:-Non piangere!-. Poi si avvicinò alla bara e la toccò: quelli che la portavano si fermarono. Allora Gesù disse:-Ragazzo, te lo dico io: alzati!-. Il morto si alzò e cominciò a parlare. Gesù allora lo restituì a sua madre”.
Quindi Gesù vive una immediata compassione, cioè una profonda partecipazione dell’anima; il dolore di quella madre attraversa la sua umanità…Il suo pianto straziante gli fa male; la invita a non piangere: non  per un conforto occasionale e passeggero, in qualche modo previsto, bensì per la sua  presenza profonda nella situazione, di cui è segno anche il suo toccare la bara. Invita il ragazzo morto ad alzarsi; e lui si alza e parla; e Gesù “lo restituisce” alla madre perché è suo figlio e la morte non deve interrompere il loro rapporto di amore. Le reazioni dei presenti sono di grande stupore e di gratitudine a Dio per Gesù di Nazaret profeta della vita presente fra loro…
Tutti coloro che si trovano nella situazione della madre vedova vorrebbero rivivere l’incredibile e inattesa ripresa della vita della persona cara, la trasformazione del dolore in gioia insperata. Senza entrare nelle modalità di questo segno di Gesù, accettandone la provocazione e il significato profondi, si può affermare che dove passa il Dio di Gesù, niente è impossibile, anche la ripresa della vita in situazioni di morte, anche della morte fisica. Gesù ha affermato la vita in continuità: quando ha accolto le persone, le ha ascoltate, capite, guarite, consolate; quando ha condiviso i pani e i pesci; quando ha insegnato l’amore, l’accoglienza, la fratellanza; quando ha dato la sua vita ed è andato incontro alla morte per affermare la vita…
Ne deriva il coinvolgimento ad operare per la vita, ad alimentare le ragioni della speranza, non con parole superficiali, di occasione, ma con la pratica di una vita umana, veramente umana.

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