Il Vangelo di questa domenica (Luca 10,38-42) ci provoca ad una riflessione profonda, sempre necessaria sul rapporto fra l’essere e l’operare, fra la riflessione e l’azione, fra le motivazioni, i fini e la pratica. Il fare caratterizza noi donne e uomini, riguarda la nostra stessa dignità; la nostra Costituzione ne evidenzia l’importanza fondamentale quando afferma che “la Repubblica è fondata sul lavoro”; senza lavoro appunto non ci sono dignità, libertà, democrazia, responsabilità.
Questo fare così decisivo si esprime e si concretizza in modi diversi, non meno o più importanti perché esprimono ugualmente la dignità di ogni persona. Ci sono, ad esempio, i lavori quotidiani da svolgere in casa per chi vi abita e per l’ambiente stesso; c’è il lavoro degli operai in tante situazioni, c’è quello degli insegnanti; dei giornalisti; quello degli infermieri e dei medici, delle altre diverse professioni, fino a quella degli industriali. C’è il lavoro degli artisti che esprime creatività e competenza: dai pittori, agli scultori, ai poeti, ai musicisti. C’è il lavoro di chi è diversamente abile.
Ci sono tante persone che esprimono presenza e dedizione nel volontariato in diverse esperienze; dalla vicinanza ai malati, all’accoglienza, alla pratica sportiva.
Potrebbe essere inteso come un lavoro anche l’impegno, per richiamarne la serietà e la dedizione liberandolo dalla lontananza, dalla separatezza e dai privilegi. Può succedere che il fare diventi totalizzante e segni in modo totale l’identità della persona, per cui, di conseguenza, se manca, può essere avvertito come insignificanza della stessa vita.
Il nostro essere profondo si esprime nel fare, ma prima e contemporaneamente esige di essere illuminato, nutrito, rafforzato in quelle dimensioni, in quelle sensibilità e vibrazioni profonde che orientano, verificano e rilanciano non solo le motivazioni, i fini, il senso dell’agire, ma quelli riguardanti il senso stesso della nostra vita.
Gesù si ferma a Betania nella casa di Marta, Maria e Lazzaro con cui vive un’amicizia e presso i quali trova accoglienza.
Maria si mette in moto per preparare il pranzo ed “è molto affaccendata. Sua sorella Maria invece, si è seduta ai piedi del Signore e sta ad ascoltare quello che dice”. Marta si rivolge a Gesù e si lamenta perché sua sorella l’ha lasciata sola a servire; “dille di aiutarmi”. Ma il Signore risponde: “Marta, Marta, tu ti affanni e ti preoccupi di troppe cose! Una sola cosa è necessaria. Maria ha scelto la parte migliore, e nessuno gliela porterà via”. Gesù non intende di certo svalutare il fare, né privilegiare pregiudizialmente l’ascoltare, ma ribadire che senza la profondità della meditazione, della contemplazione, della riflessione il fare può vivere la presunzione di bastare a se stesso, senza motivazioni, senza etica, senza finalità per il bene comune.
Questo rapporto riguarda la nostra vita quotidiana, la società locale e tutto il Pianeta, riguarda anche quella che si chiama nella Chiesa “attività pastorale”.
I gravi problemi del lavoro; i tanti aspetti dell’ingiustizia, i disastri ambientali non sono forse conseguenza della mancanza di riflessione, di progettazione, di etica, di attenzione alle persone, alle famiglie, alle comunità e all’ambinete vitale? Si fa quello che scientificamente, tecnologicamente e finanziariamente è possibile senza preoccuparsi del bene comune sempre e soprattutto per guadagnare, per arricchire i pochi.
Si percepisce che i gesti di papa Francesco esprimono l’insegnamento del Vangelo; confermano le parole. Danno ad esse concretezza, significato e credibilità.
Pare proprio non si possa agire, operare in modo umano, senza la premessa e il supporto continuo della meditazione, della riflessione, della contemplazione.