Noi preghiamo? Le persone in generale pregano? Ma come si può
intendere il senso profondo della preghiera? Certamente le esperienze
sono diverse e molteplici fra persone della medesima fede religiosa e
delle diverse fedi religiose. Una indicazione che viene da lontano
riguardo alla preghiera parla di “ elevazione dell’anima a Dio”;
si intende comunque una relazione con Lui. Si potrebbero quindi
considerare i vissuti profondi del nostro essere, in relazione con Dio,
nelle diverse situazioni della vita e della storia; non con un Dio
vagamente inteso, bensì, per come viviamo la tradizione della fede, nel
Dio di Gesù di Nazaret. Pare di poter dire che non ci può essere
preghiera autentica e sincera se non proviene dal silenzio interiore,
non vuoto, bensì abitato da sentimenti, serenità, dolore, fatiche,
volti, nomi, storie, sorrisi e gemiti. Si può considerare la preghiera
di gratitudine per il bene dato e ricevuto, vissuto insieme; per la
presenza delle persone, per l’amore e l’amicizia, le esperienze
positive che incoraggiano. E intrecciata con questa la preghiera
dell’invocazione, non perché Dio ci sostituisca nelle nostre
responsabilità, bensì per aprirci, per poter essere coinvolti dalla
luce, dalla forza interiore che può venirci “dall’ alto”, quando
sperimentiamo la nostra fragilità e finitudine, lo scoraggiamento e la
tentazione di arrenderci. E ancora intrecciata si può sperimentare la
preghiera dell’affidamento, che è il vissuto più radicale della fede:
la percezione e l’esperienza di poterci affidare al Signore, qualsiasi
sia la condizione esistenziale in cui ci si trova. C’è ancora la
preghiera della protesta dolorosa nei confronti di Dio, degli
interrogativi a Lui sul perché del male, del dolore, della morte,
specie degli innocenti, specie quando si avvertono, in modo drammatico,
come grandi ingiustizie. La preghiera può essere personale, di due o
più persone, di una comunità, di un popolo o di diversi popoli ; di
persone di diverse fedi religiose che i uniscono in nome di un unico
Dio, chiamato con nomi diversi, con la medesima intenzione e finalità
che riguardano la pace, la giustizia, l’accoglienza, la salvaguardia
del creato, il bene comune di tutta l’umanità. Il Vangelo di questa
domenica (Luca 18, 1-8) ci racconta la parabola di una povera vedova
che si rivolge con insistenza a un giudice che non rispetta nessuno,
che alla fine risolve problema della donna non per convinzione e
disponibilità, ma perché irritato dall’insistenza di lei. Gesù
raccomanda “di pregare sempre, senza stancarsi mai”. Se quel giudice
malvagio alla fine i qualche modo risponde: “ Volete che Dio non faccia
giustizia ai suoi figli che lo invocano giorno e notte? Tarderà ad
aiutarli? Vi assicuro che Dio farà loro giustizia e molto presto! Ma
quando il Figlio dell’uomo tornerà sulla terra, avrà ancora fede?” La
questione vera è dunque quella della fede da cui si esprime la
preghiera, anche quando si sperimenta l’ingiustizia, la violenza, la
guerra, la discriminazione, l’indifferenza; quando per gravissime
responsabilità avvengono le stragi degli innocenti nel mar
Mediterraneo, e Dio sembra lontano e silenzioso.
La preghiera non è una moltiplicazione di parole, ma l’espressione
della fede in tutti i momenti della vita; si potrebbe dire che non
basta pregare ma che è indispensabile, per nutrire la forza interiore
necessaria per contribuire attivamente a rendere più umano questo mondo.