C’è chi abita i palazzi del potere economico, politico, militare, religioso e chi, la stragrande parte dell’umanità, le strade, le scuole, i luoghi di lavoro, le campagne, le montagne, le pianure; tanti abitano le periferie nel senso profondo e ampio del termine.
Giovanni il Battezzatore, cugino di Gesù, profeta e poi martire vive il potere della profezia, totalmente diverso, alternativo a quello dei governatori e dei sacerdoti; non proviene infatti dagli scranni su cui quelli sono assisi, ma dal deserto luogo di marginalità e di prova, di silenzio recettivo alla forza dello Spirito che lo illumina e lo chiama, infondendogli la forza per la sua missione.
Pur lontano dai poteri riesce con l’autenticità e la forza della sua parola e la coerenza della sua vita a farsi ascoltare e ad essere considerato pericoloso dagli uomini del potere che di fatto poi lo uccideranno, nella illusoria speranza, permanente nella storia, di far tacere la voce della profezia, eliminando le persone che ad essa fanno eco, che la testimoniano nella storia. Il profeta non testimonia il Dio del tempio, bensì il Dio del deserto, il Dio della storia. La gente avverte il bisogno di cambiamento, come lo si avverte nella nostra società e nella chiesa.
Non basta un gesto, anche se è importante quando esprime la verità del cuore e della coscienza, nel caso, non è sufficiente il battesimo con l’acqua, ma quello con lo Spirito Santo; è cioè fondamentale la conversione del cuore e della coscienza, una “metanoia”, un cambiamento del modo di pensare, di esprimersi, di rapportarsi, di decidere. Gesù di Nazaret è venuto nel mondo per questo, Giovanni lo ha preceduto e annunciato, gli ha preparato la strada denunciando il male, la corruzione, l’ipocrisia, la illusoria rendita di posizione riguardo alla religione, indicando la strada del bene da praticare e diffondere.
Fra la folla che accorre per ascoltare le sue parole qualcuno gli pone interrogativi “su cosa fare, su come agire”, come facciamo noi oggi dopo le analisi, le riflessioni, i progetti ci chiediamo: “cosa possiamo fare?”.
Giovanni risponde in modo semplice, diretto; indica l’agire possibile e concreto che può riguardare ciascuno: “Chi possiede due abiti ne dia uno a chi non ne ha e chi possiede dei viveri li distribuisca agli altri.”.
Problemi strutturali certamente richiedono decisioni e interventi strutturali: povertà, fame, guerre, ambiente vitale; nel contempo con sensibilità e intelligenza si possono vivere concrete azioni di prossimità personale e organizzativa: presenza, disponibilità, energie, denaro, alimenti, vestiti; è sempre importante operare con consapevolezza senza dimenticare cause ed effetti strutturali, impegnandosi per modificarli.
Si rivolgono a Giovanni anche alcuni esattori delle tasse invisi al popolo e considerati immondi e perduti dalle classi sacerdotali.
La risposta è: “Non prendete di più di quanto stabilito dalla legge”. Gesù non entra in merito alla bontà e alla giustizia della legge e neanche promuove una radicale obiezione di coscienza della stessa: esorta ad attenersi a non approfittare della situazione, come tanti fanno arricchendosi, ad esempio Zaccheo, capo degli esattori delle tasse di Gerico, convertitosi dopo l’incontro con Gesù.
Infine lo interrogano anche alcuni soldati, forse del tempio, forse dell’esercito di Roma, anch’essi parte di un’organizzazione potente e armata.
Di nuovi Giovanni esorta a non farsi forza della propria posizione e delle armi di cui sono dotati, per derubare, calunniare, imporre; di accontentarsi invece della paga che ricevono.
Non si tratta ancora della beatitudine della non violenza attiva, dell’esortazione alla liberazione da ogni inimicizia fino all’amore al nemico, è il primo passo, fattibile da tutti per esprimere una sensibilità e un progetto positivo, di bene. Tradotto per noi nella nostra vita quotidiana si tratta di compiere gli atti per noi possibili di condivisione, di attenzione a non usare i propri compiti per sfruttare gli altri.