L’esperienza delle tentazioni è di noi tutti; sarebbe importante nella comunicazione e nel dialogo approfondirne le suggestioni e i contenuti; possono essere considerate nella laicità della storia come possibilità reali di disattendere a ideali, progetti, convinzioni; nell’esperienza della fede come infedeltà e incoerenza alle dichiarazioni e all’assunzione degli impegni derivanti dalla fede stessa. Nell’educazione del passato nella Chiesa di è posta un’attenzione preponderante alla sessualità e quindi alle tentazioni rispetto ad essa; in realtà il Vangelo ci propone un orizzonte e attenzioni più ampie che riguardano le nostre scelte di fondo nelle quali certamente rientrano le dimensioni dell’affettività e della sessualità così importanti e decisive con le loro diversità nella vita delle persone.
Le tentazioni vissute da Gesù e il loro superamento diventano un importante insegnamento per noi oggi. Quelle tre tentazioni come ci narra il Vangelo di questa domenica (Luca 4, 1-13) in qualche modo possono riassumere tutte le altre.
Nelle nostre storie alle volte si avverte la possibilità di parlare e di operare per ricevere consenso, per avere successo; di utilizzare con questo fine qualche nostra risorsa e qualità, in particolare quando ne avvertiamo la necessità per situazioni di difficoltà, di solitudine di avvilimento.
Gesù nel deserto, sperimenta per 40 giorni l’assenza di cibo.
Il tentatore lo coglie nel momento del bisogno, della necessità di mangiare: “Se tu sei figlio di Dio comanda a questa pietra di diventare pane”. La tentazione riguarda il suo essere Figlio di Dio e le possibilità di operare che questo comporta: con un gesto spettacolare può sfamare se stesso, le persone che a lui si avvicineranno; susciterà ammirazione, consenso, seguito entusiasta. Gesù risponde al tentatore che: “Non di solo pane vive l’uomo”. Non si tratta di un’indicazione spiritualista a non preoccuparsi del pane e di tutte quelle esigenze primarie per la dignità di ogni persona, comunità e popolo. Certamente le persone sono soggetti di bisogni e fra questi è fondamentale la relazione con Dio e con gli altri. Quando si vive questa dimensione di per sé si è coinvolti a preoccuparsi del pane e delle altre esigenze primarie per tutti, impegnandoci nella liberazione dalla povertà, dalla fame, dalla sete, dalla mancanza di assistenza sanitaria, di scuola, di casa, di lavoro.
E’ la ricerca immediata per sé e per il proprio mondo chiuso che allontana dagli altri e mantiene disuguaglianze e discriminazioni.
La seconda tentazione è terribile e continua: e quella del potere e dell’avere; di guardare il mondo e gli altri dall’alto, con superiorità, bramosia, disprezzo, strumentalità.
Il tentatore dice: “vedi, tutti questi regni, ricchi e potenti, sono miei: a me sono stati dati e io li do a chi voglio. Ebbene, se ti inginocchierai davanti a me, io te li darò”.
Il potere usurpa l’unica autorità, quella di Dio che libera accompagna e sostiene le persone.
Il tentatore propone a Gesù dominio e ricchezza chiedendogli un gesto che, inteso superficialmente, potrebbe sembrare possibile e facile.
Invece inginocchiarsi comporta l’abdicazione e la vendita della propria coscienza; corruzione, evasione tangenti, mafie, privilegi vergognosi stanno a dirci della suadente tentazione del potere e dell’avere di cui è parte anche la sessualità come dominio e strumentalità.
Gesù risponde: “Adora il Signore Dio tuo: a Lui solo rivolgi la tua preghiera”. Riferirsi all’autorità di Dio significa relativizzare ogni altro potere e ricondurlo al servizio, l’unico compito che lo rende dignitoso e accettabile.
La terza tentazione riguarda Dio stesso e la fede in Lui. Il tentatore conduce Gesù sul punto più alto del tempio e lo invita a buttarsi perché se lui è il Figlio “Dio comanderà ai suoi angeli di proteggerlo”. Con questo segno dimostrerebbe veramente chi è e tutti gli crederebbero. Lo stesso avverrà sul Golgota: la sfida a Gesù morente di scendere dalla croce con l’aiuto di Dio. Si tratta della verifica della promessa di Dio di intervenire e soccorrere. Gesù risponde con le parole della Bibbia: “Non sfidare il Signore, tuo Dio”.
Dio non si usa per una religiosità miracolistica; la fede autentica non si basa sui miracoli, sui segni prodigiosi e spettacolari. Dio si prega, si invoca, con lui si dibatte, a lui ci si affida.