Sinceramente è difficile celebrare la Prima Comunione nel suo
significato più profondo: vivere la memoria della presenza di Gesù di
Nazaret, incontrarci con lui nella Parola, nel Pane e nel Vino
dell’Eucarestia per ricevere luce, forza, coraggio per incontrarlo nei
fratelli e nelle sorelle: affamati, assetati, denudati di dignità e di
vestiti, ammalati, carcerati, stranieri… .
Basterebbe riferirsi con partecipazione e commozione, dato che a
celebrare la Prima Comunione sono un gruppo di ragazzine e ragazzini,
agli 800 bambini che ogni ora muoiono, più veritiero dire che vengono
uccisi dalla povertà, dalla fame, dalla sete, da malattie endemiche
curabili; dall’essere migranti con le loro famiglie o con i soli papà o
le sole mamme.
E ancora ai bambini e bambine del Pianeta, a cominciare da quelli
di questa nostra società che vivono, per diversi motivi, situazioni di
dolore e di tristezza, che non possono frequentare le scuole, né vivere
momenti di amicizia e di discreta serenità.
Si rischia, nella Prima Comunione, di sbrigare un rito previsto di
passaggio che poi “lascia il tempo che trova”, di assecondare quella
religione sociale che conferma gli animi delle persone e i meccanismi
sociali così come sono, senza indicare un progetto di umanità, senza
coinvolgere nella disponibilità e nell’impegno per contribuirvi,
di fare solo una festa in più.
Celebrare la Prima Comunione seriamente significherebbe altro.
Il riferimento indispensabile è a Gesù di Nazaret e al suo
Vangelo, buona notizia per l’umanità.
E’ necessario il ritorno necessario e autentico al Vangelo nella
sua forza profetica.
Gesù annuncia e inizia a praticare un mondo diverso e di
giustizia, verità, pace, accoglienza,. perdono, fratellanza; a
condividere il pane e i beni, a mettersi al servizio; a vivere l’amore
profondo che fa vibrare di compassione e sollecita alla prossimità
senza pregiudizi e distinzioni, con apertura, umiltà decisione, con
fedeltà, coerenza, perseveranza.
Il Vangelo scelto per l’Eucarestia della Prima Comunione (Giovanni
6, 1-15) ci racconta come Gesù è attento alle esigenze delle persone e
cerca di dare risposte concrete, in quella situazione a poter
condividere il pane e ai pesci.
L’atteggiamento e le parole dei discepoli ci rappresentano quando
noi esprimiamo senso di impotenza, scetticismo, sfiducia nel poter
contribuire a una risposta che ci apre impossibile. “Dove potremo
comprare il pane per sfamare questa gente?” Come potremo noi
contribuire in modo positivo per liberare il mondo dalla fame, dalle
violenze, dalle armi, dalle guerre, dalla distruzione dell’ambiente,
dal rifiuto dell’altro, del diverso, dalle diverse forme di razzismo?
Noi pensiamo di potere ben poco: “C’è qui un ragazzo che ha cinque
pagnotte d’orzo e due pesci arrostiti. Ma non è nulla per tanta gente!”.
Gesù prega e fa sì che quella folla possa condividere il pane
della giustizia e della fraternità. Alla fine avanzano dodici cesti.
Gesù per il suo amore incondizionato e rivoluzionario è stato ucciso
dai poteri, primi responsabile quello religioso; è Vivente dopo la
morte e ci accompagna comunicandoci luce, forza, coraggio per seguire
la sua persona e il suo insegnamento. La comunione con Gesù presente
nell’Eucarestia diventa impegno a costruire giorno dopo giorno la
comunione nella storia fra le persone con le loro diversità.
La comunione dell’Eucarestia e quella con i fratelli sono
inscindibilmente unite.