Sembra proprio che l’esigenza più profonda e diffusa sia quella della speranza; cosa può significare veramente; chi può sminuirla o addirittura distruggerla, chi invece può nutrirla, alimentarla?
Pare di capire che quella utentica non può essere mai individualista, corporativa, elitaria; né può riferirsi ad aspetti superficiali, di immagine, di materialismo… .
E’ quella che riguarda tutte le donne e tutti gli uomini del Pianeta, dai bambini agli anziani e anche la Terra e tutti i viventi.
Speranza è condividere le attese di chi è povero e sperimenta la fame e la sete, la mancanza di cure, di chi è vittima di violenze, di guerre, di razzismo, di chi è privato dell’istruzione, del lavoro, di un’abitazione dignitosa, di una discreta tranquillità di vita; di chi è malato, disabile, in carcere, emarginato per la sua diversità, escluso e isolato.
Condividere le attese, le speranze di queste moltitudini di persone significa coinvolgersi, dedicarsi, impegnarsi per affrettare risposte concrete.
La memoria autentica del Natale nutre queste speranze condivise perché Dio si è reso presente nell’umanità fragile di un bambino (Vangelo di Luca 2, 1-14) per condividere le povertà e le speranze di tutta l’umanità, per sostenerle e incoraggiarle.
Perché questo sia credibile non è nato in una collocazione di potere, di privilegio, di separatezza sacrale, ma invece bambino di un popolo oppresso dal potere dell’impero, come avviene a tanti bambini oggi sotto diversi cieli del Pianeta.
Concretezza, mistero, tenerezza sono particolarmente intensi per Maria, Giuseppe e per alcuni pastori che sono da quelle parti con i loro greggi. Gli uomini del potere sono lontani e neppure se ne accorgono.
Questa speranza iniziale è stata ampliata e ha assunto la forza rivoluzionaria quando il bambino è diventato il profeta Gesù di Nazaret contrastato e ucciso dal potere della religione del tempio, unito a quello delle classi dirigenti e a quello militare.
Dio è umano, è vicino, partecipe, solidale nel liberare dalle condizioni disumane, nell'affermare dignità. giustizia, uguaglianza e pace per tutte le donne e tutti gli uomini a qualsiasi popolo appartengano.
Mai quindi può essere usato per legittimare ingiustizie, violenze, guerre ed esclusione.
Purtroppo è stato ricostruito un sistema religioso di potere, sacrale, separato spesso autoreferenziale che esibisce il Bambino del Presepe come momento spiritualista e consolatorio che si mescola agli altri ingredienti delle feste.
Una esibizione che lascia il mondo così com’è e che non provoca, né mette in discussione il capitalismo, la corruzione, il militarismo, il razzismo, l’indifferenza, la distruzione dell’ambiente.
Questo bambino strumentalizzato non comunica nessuna speranza; chi vive il profondo bisogno di speranza può sentire in modo più profondo e diretto questo Dio che nasce nella stalla degli animali e può essere compagno di viaggio, sostegno e conforto per resistere, lottare, camminare in direzione ostinata e contraria.
Della presenza di questa speranza che il Bambino della stalla di Betlemme nutre in noi, ci sono segni nella nostra società, nel mondo, nella Chiesa.
Sono le persone, i gruppi, le comunità che con la loro disponibilità attuano il suo insegnamento con riferimento esplicito a lui o anche senza, ma di fatto praticandolo.
Un segno del tutto speciale di cui essere grati è papa Francesco. Lo ricordiamo in modo particolare esprimendogli anche oggi tutta la stima, la vicinanza, l’affetto e la gratitudine. I contrasti e l’opposizione sono tanti e crescenti, ma non riusciranno a spegnere la profezia.