I racconti dei Vangeli sulla risurrezione di Gesù non esprimono nessuna affermazione dogmatica; si tratta infatti di narrazioni degli incontri fra Gesù risorto, vivente oltre la morte e i suoi discepoli frastornati, addolorati, sconfermati brutalmente riguardo all’orizzonte della nuova umanità annunciata e iniziata da Gesù di Nazaret con il suo essere, le sue parole, i suoi gesti, soprattutto le relazioni nuove con le persone.
Non si può sapere, con il criterio delle conoscenze dimostrabili, com’è avvenuta la risurrezione, di cui la constatazione del sepolcro vuoto è solo un indizio. Si può constatare invece il cambiamento di quegli uomini e di quelle donne che trasformano il dolore e lo smarrimento in serenità, la mancanza di speranza e di fiducia in un’apertura positiva alla vita e al futuro.
Questo cambiamento è da loro attribuito agli incontri con Gesù vivo che di nuovo comunica loro quelle dimensioni profonde di amore, disponibilità, compassione, fiducia e speranza.
Il Vangelo di questa domenica (Luca 24, 35-48) ci narra uno di questi incontri.
Mentre i due discepoli che hanno incontrato Gesù sulla strada di Emmaus sono ritornati e ora lo raccontano agli undici, Gesù si presenta in mezzo a loro.
“Sconvolti e pieni di paura, essi pensavano di vedere un fantasma”.
Recuperare fiducia e speranza da situazioni dolorose, traumatiche, tribolate è tutt’altro che facile, ci può essere qualche barlume che per crescere e consolidarsi esige tempo, elaborazione, fatica, calore di vicinanza, amore, sostegno. E’ appunto sempre fondamentale la relazione che rassicura; così Gesù: “Perché avete tanti dubbi dentro di voi? Guardate le mie mani e i miei piedi! Sono proprio io! Toccatemi e verificate: un fantasma non ha carne e ossa come me!”
Il recupero della speranza può registrare oscillazioni, momenti di elevazione e di abbassamento: Gesù mostra loro le mani e i piedi: ora provano stupore e gioia ma non riescono a crederci che con loro sia proprio Gesù vivo, lui che era stato ucciso così brutalmente.
Chiede se hanno qualcosa da mangiare e loro gli offrono un po’ di pesce arrostito; la concretezza nelle relazioni può aiutare le dimensioni interiori.
Gesù ricorda loro il senso delle riflessioni che avevano condiviso fatto loro, anche riguardo alla sua morte violenta, conseguenza della sua fedeltà al Padre e all’umanità.
C’è un possibile intreccio, insieme a tanti altri, con la storia di Malàla, premio Nobel per la pace che nei giorni scorsi è riuscita a ritornare nel suo Pakistan. Era scritto che una ragazzina che rivendicava per lei e per tutte le ragazze e i ragazzi di poter frequentare la scuola sarebbe stata colpita dai talebani. Ed ecco nel suo discorso all’ONU, nel giorno del 16^ compleanno, le parole di vita, di risurrezione, di Pasqua.
“I terroristi che hanno sparato a me e ai miei amici pensavano che i proiettili ci avrebbero messo a tacere, ma hanno fallito. Anzi, dal silenzio sono spuntate migliaia di voci. Nulla è cambiato nella mia vita, tranne questo: debolezza, paura e disperazione sono morte; forza, energia e coraggio sono nati. Sono qui per parlare per il diritto all’istruzione di tutti i bambini, anche quelli dei terroristi. Non odio chi mi ha sparato. Anche se avessi una pistola in mano e lui fosse in piedi di fronte a me, non gli sparerei.
Questo è stato il sentimento di compassione che ho imparato da Maometto, il profeta della misericordia, da Gesù Cristo e da Buddha. Questa la spinta al cambiamento ereditata da M.L. King, Nelson Mandela, Mohammed Ali Jinnah”.