Il profeta Giovanni sollecita a quel cambiamento di cui si avverte l’esigenza anche oggi soprattutto rispetto a questa deriva di umanità, a questa diffusione dell’avversione e dell’inimicizia fino all’odio verso l’altro, in particolare l’immigrato, ma poi verso ogni persona considerata diversa, al di fuori del perimetro definito del pensiero unico dominante. La gente interpella il profeta Giovanni sul da farsi: “In fin dei conti che cosa possiamo fare?” (Vangelo di Luca 3,10-18). Giovanni risponde con l’invito ad agire, a compiere gesti e azioni che siano espressione concreta di questo cambiamento: “Chi possiede due abiti ne dia uno a chi non ne ha e chi ha dei viveri li distribuisca agli altri”. È un invito alla giustizia e alla condivisione, a costruire giustizia perché le persone non si trovino in condizioni di bisogno e nello stesso tempo ad essere concretamente disponibili, a intervenire perché nessuna persona resti senza cibo e priva di vestiti per coprirsi, specie ora nella stagione del freddo.
Si può essere disponibili a condividere il cibo e a fornire i vestiti, che non siano però gli stracci che si buttano, solo quando si prendono a cuore le persone e le loro storie e non si erigono barriere e muri, espressioni del “me ne frego”; anzi, quando nella solidarietà concreta alle persone si è capaci di leggere le cause strutturali che le riducono in quelle condizioni e a battersi per cambiarle. La ricerca della fraternità e della giustizia riguarda tutte le persone, anche quelle discutibili e disprezzate di cui ci parla il Vangelo e che possono essere avvicinate a simili situazioni di oggi. Si rivolgono infatti a Giovanni anche alcuni soldati mercenari che servono di appoggio all’odiosa operazione di questi piccoli impiegati che hanno l’appalto della riscossione delle tasse a favore dell’amministrazione romana e fanno la figura di strozzini e ladri, collaborazionisti delle forze di occupazione. Anche per queste categorie di persone può esserci salvezza alla condizione indispensabile richiesta a tutti allora come oggi: la pratica della giustizia là dove si vive e si opera. Resta aperta la grande questione dei cambiamenti strutturali che riguardano la cultura, le istituzioni, la politica, l’economia, e per i quali la spiritualità, la fede vissuta con profondità dovrebbero essere uno stimolo significativo.
Giovanni è esigente, non radicale come lo sarà il Messia che battezzerà non più con l’acqua ma con lo “Spirito Santo e il fuoco”, cioè con un coinvolgimento profondo delle coscienze. Da qui infatti anche oggi dobbiamo partire. Cosa fare dunque? Così si esprime il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky:
“A chi pretende di parlare a nome degli ‘italiani’, e della loro ‘identità’ si opponga il dissenso; a chi esalta la forza, si oppongano il rispetto e la mitezza; a chi burocratizza la scuola e l’università per trasformarle in avviamento professionale, si oppongono i diritti della cultura; alle illegalità, si reagisca senza timore con la denuncia; alla cultura della discriminazione e della violenza si contrappongono iniziative di solidarietà. Agli ignoranti che usano la vuota e spesso oscena neolingua, si chieda: “Ma cosa dici mai, come parli?”. Fino al limite della resistenza ai soprusi e della disobbedienza civile che, in casi estremi, come ha insegnato don Milani, sono virtù”.