Si può pensare che la speranza sia la dimensione più richiesta nelle nostre vite, specialmente nelle situazioni di dolore, di smarrimento, di conferma del male nelle sue diverse manifestazioni: violenze, guerre, atti di terrorismo; ancora nelle situazioni in cui i grandi ideali di giustizia, uguaglianza, libertà, fratellanza, pace vengono calpestati; quando lo sono i diritti umani fondamentali e inviolabili; quando subentra un senso di scoraggiamento e di impotenza e l’impegno a lungo profuso con disponibilità pare non abbia riscontri ed esiti positivi.
Come si possono riprendere fiducia, speranza, coraggio? Da chi e da dove attingere la forza interiore?
Il Vangelo di questa domenica ci propone un percorso (Giovanni 21, 1-14).
Un gruppo di sette discepoli ancora addolorati, delusi e ripiegati su se stessi dopo la fine tragica di Gesù sono ritornati sulla riva del lago di Tiberìade. Hanno già incontrato Gesù risorto quando erano rinchiusi in gruppo, ma la loro ripresa è faticosa e lenta, come avviene nelle nostre storie, in quelle delle comunità e dei popoli.
Gesù la mattina si presenta sulla riva, ma loro non lo riconoscono. Chiede loro se hanno qualcosa da mangiare e dopo la loro risposta negativa li invita a gettare la rete che si riempie di pesci in abbondanza. Poco dopo sulla riva condividono il pesce arrostito sulle braci insieme al pane portato da qualcuno.
Questa è la pedagogia del racconto: farsi presenti, essere insieme, formare il noi del presente, del futuro, della speranza.
Gesù vivente oltre la morte si fa presente per comunicare che l’amore è più forte dell’ingiustizia, della violenza, della guerra, dell’indifferenza; sulle rive del lago di Tiberìade e oggi nelle nostre storie, nella storia dell’umanità dentro alle situazioni di disumanità e all'esigenza profonda di riscatto e di vita.
Nella misura in cui ci sono persone capaci di dedicarsi per amore agli altri, al bene comune, in quella misura c’è la speranza.
S. Paolo così conclude l’inno dell’amore: “Ecco dunque le tre cose che contano: fede, speranza, amore. Ma più grande di tutte è l’amore.”
È infatti l’amore che sollecita la fede a farsi concreta prossimità e a non dissolversi in spiritualismi astratti, separati dalla realtà.
È infatti l’amore che coinvolge le persone a donarsi, a dedicarsi e così a comunicare speranza a chi le incontra e percepisce e riceve consolazione e incoraggiamento dell’amore che si fa storia.
La speranza autentica rinasce affidandosi a parole dense di significato, frutto di esperienze dolorose e liberatrici; non certo alle promesse facili, agli slogan di un momento. Le spinte irrazionali non sono certo speranza autentica.
La speranza rinasce quando, come sulle rive del lago Tiberìade, si condivide concretamente il pane della vita e ci si sente compagni (cum-pane) di viaggio, perché si vivono insieme fede, ideali, memorie, prospettive, sofferenze, delusioni e rilanci, nella concretezza delle esperienze e soprattutto nella loro credibilità.