Pare proprio di percepire con progressiva evidenza che l’essere cristiani non dipende dal battesimo ricevuto in massima parte da piccoli, né dagli altri sacramenti anche con la partecipazione attuale, si pensi all’Eucarestia; non dipende dall’appartenenza sociale, culturale, religiosa ma unicamente dall’essere in cammino alla sequela, al seguito di Gesù di Nazaret; non c’è nessuna garanzia ma solo la libertà e la responsabilità della scelta.
Padre Ernesto Balducci, già alcuni decenni or sono, affermava come tutte le religioni, cristianesimo compreso, sono ad un bivio: o scelgono di conservare se stesse nell’involucro storico sacrale con cui si presentano, che di fatto però va scomponendosi; o riscoprono i loro principi ispiratori, la profezia che le ha originate e sollecitate nella storia, per testimoniare così che a generarle non è stato il timore né il potere ma l’amore.
Il Vangelo di questa domenica (Luca10,1-12.17-20) ci racconta l’invio in missione da parte di Gesù di altri 72 discepoli, un gruppo notevolmente più ampio rispetto ai 12.
La motivazione è questa: il bene da compiere è tanto, “La messe è molta” e “gli operai sono pochi”: sarebbero cioè necessarie tante altre persone disponibili a lavorare nel campo del Signore, che è tutta l’umanità: impegnarsi nella cura dell’anima, nell’attenzione, nell’accoglienza, nella giustizia, nella pace.
La situazione è difficile “vi mando come agnelli in mezzo ai lupi”; le dimensioni costitutive di questo impegno sono il coinvolgimento profondo, cioè il crederci veramente e la libertà da ogni bramosia di potere, di denaro, di successo: “non portate borsa, né sacca, né sandali”.
I discepoli di Gesù diventano annunciatori e testimoni non di una dottrina, non di una religione istituzionale, ma di un nuovo modo di essere e di relazionarsi, coinvolti nell’insegnamento di Gesù: dalle sue parole e dai suoi gesti espressi in mezzo alla gente, soprattutto dalle relazioni con le persone con attenzione a quelle deboli, fragili, malate, messe ai margini, disprezzate.
Rifletto sulle considerazioni di amici preti con tutta la stima e la gratitudine: il compianto don Andrea Gallo, don Luigi Ciotti, don Mario Vatta di Trieste, don Alberto De Nadai di Gorizia, quando dicono di aver appreso il Vangelo sulla strada dalle persone che vi abitano.
Anche i discepoli di Gesù hanno appreso dalle sue relazioni sulle strade e piazze dei villaggi della Palestina. Ora sono da Lui inviati soprattutto a portare la pace che è frutto della libertà, dell’uguaglianza, della fratellanza.
Di fronte all’eventuale rifiuto è preferibile andare oltre perché tante persone attendono un messaggio e segni di pace.
Non si deve contare sul potere, sulla forza, sulla violenza; bisogna procedere forti solo delle convinzioni profonde e della disponibilità gratuita. Non ha senso aspettarsi successi e riconoscimenti, è importante sentirsi umili servitori del progetto di Dio di un’umanità accogliente e fraterna; coinvolti e appassionati, coraggiosi e credibili.
Questi orientamenti illuminano il cammino della Chiesa e ne verificano la credibilità e sono più che mai attuali: una Chiesa profetica o invece omogenea e conformista al pensiero dominante nella società, perdendo così ogni credibilità rispetto al Vangelo e alle persone che la attendono come segno di speranza.