Il Vangelo di questa domenica (Luca 2, 22-40) racconta un momento particolare della vita della famiglia di Nazaret che si reca nel tempio di Gerusalemme per adempiere un rito di purificazione e di consacrazione del figlio a Dio.
Tutte le fedi religiose ma non solo esse si esprimono con diverse ritualità; pare significativo notare che i riti rivelano una pregnanza propria che può essere decritta soprattutto da chi li vive e in modo diverso anche da chi li osserva, senza però riuscire a penetrare il nucleo intenso dei vissuti e dei significati.
Si percepisce il rapporto tra la concretezza delle parole, dei gesti, dei simboli, degli elementi materiali “chiamati” ad essere parte della celebrazione (ad esempio terra, acqua, fuoco, incenso, fiori, candele…) e il mistero della profondità della relazione con l’ulteriorità, la trascendenza.
C’è sempre il rischio che i riti diventino così ripetitivi da essere meno significativi, perfino vuoti.
E’ fondamentale quindi il vissuto di chi li propone: persone, gruppi, comunità.
Le relazioni possono diventare fondamentali come quel giorno nel tempio di Gerusalemme, specie se le persone presenti sono memorie vive di storie, fedi, disponibilità, speranze attese.
Simeone è un uomo anziano retto e pieno di fede in Dio in attesa della liberazione e certamente coinvolto a porne qualche segno anticipatori nella storia. Lo Spirito gli aveva fatto intuire un prossimo incontro speciale con l’Inviato del Signore.
Prende il Bambino tra le braccia, vive una profonda commozione, ringrazia Dio e gli dice che ora può morire in pace perché i suoi occhi hanno visto il Salvatore, la luce per tutta l’umanità.
M;aria e Giuseppe sono stupiti, come quando nella vita ci si stupisce per situazioni e dimensioni inattese, belle, sorprendenti che “ci riempiono il cuore”. Il saggio Simeone si rivolge a Maria e le dice che quel suo Figlio “sarà un segno di Dio, ma molti lo rifiuteranno: egli così metterà in chiaro le intenzioni nascoste
nel cuore di molti. Quanto a te, Maria, il dolore ti colpirà come colpisce una spada”. Gesù nella storia è sempre stato e lo è tutt’ora un segno di contraddizione, proprio perché presenza di Dio.
Molti ne accolgono il Vangelo e cercano di viverlo, tanti altri lo rifiutano, lo usano, lo strumentalizzano.
Rifiutarlo significa essere con il capitalismo, il materialismo e il consumismo, con le armi e le guerre, con la xenofobia e il razzismo, con la distruzione dell’ambiente, a cominciare dall’essere indifferenti prima ancora che attivi.
Seguire il Vangelo dona pace interiore e senso profondo della vita e insieme anche sofferenze a motivo di rifiuti e incomprensioni.
Maria ha sofferto come solo una madre può; anche agli umili discepoli del Signore è richiesta la sofferenza a motivo del Vangelo. Donne, uomini e comunità formano un popolo immenso di martiri. All’incontro nel tempio partecipa anche Anna, una donna anziana di 84 anni, una profetessa, rimasta vedova molto giovane e poi vissuta a servizio del tempio: digiuna e prega e conduce una vita ascetica; si può pensare alla sua disponibilità ad accogliere i fedeli e i pellegrini con umanità, orientandoli con esortazioni e consigli ricchi di saggezza.
Maria e Giuseppe, Anna e Simeone tutti con attenzione particolare al piccolo Gesù, vivono un momento intenso di fede, di memoria storica, di progetto per il futuro e di speranza. Sono momenti auspicabili anche per noi in questo tempo storico di tribolazione.