DOMENICA 10 OTTOBRE 2010 Vangelo di Luca 17, 11-19
10/10/2010
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LA COMPASSIONE GUARISCE E SALVA. FONDAMENTALE E’ LA GRATITUDINE
Vangelo di Luca 17, 11 - 19

Mentre andava verso Gerusalemme, Gesù passò attraverso la Galilea e la Samaria. Entrò in un villaggio e gli vennero incontro dieci lebbrosi. Questi si fermarono ad una certa distanza e ad alta voce dissero a Gesù:
- Gesù, Signore, abbi pietà di noi!
Appena li vide, Gesù disse:
- Andate dai sacerdoti e presentatevi a loro!
- Quelli andarono, e mentre camminavano, improvvisamente furono guariti tutti.
Uno di loro,  appena si accorse di essere guarito, tornò indietro e lodava Dio con tutta la voce che aveva. Poi si gettò ai piedi di Gesù per ringraziarlo. Era un abitante della Samaria.
Gesù allora osservò: “ Quei dieci lebbrosi sono stati guariti tutti! Dove sono gli altri nove? Perché non sono tornati indietro a ringraziare Dio? Nessuno lo ha fatto, eccetto quest’uomo che è straniero”.
Poi Gesù gli disse: “Alzati e va’! la tua fede ti ha salvato!”

I racconti dei Vangeli riguardano la vita, le relazioni con le persone che si trovano nelle condizioni più diverse, quindi anche con quelle ammalate di lebbra.
Si può precisare che il termine ebraico che in genere si traduce in “lebbra”, pare non indichi quella che l’attuale medicina conosce come “morbo di Hansen”, (scopritore nel 1868 del mycrobacterium leprae), ma comprende un insieme di malattie della pelle che, producendo depigmentazione, eruzioni, piaghe purulente ed altre manifestazioni, causano ripugnanza.
Rispetto a queste condizioni delle persone, il libro del Levitico raccoglie una serie di prescrizioni severe, che intrecciano due dimensioni: la preoccupazione e quindi la prevenzione dalle infezioni con l’allontanamento delle persone ammalate dalla comunità e la considerazione di quelle malattie come castigo di Dio.
L’esclusione, l’emarginazione, la segregazione portano all’identificazione delle persone ammalate con la loro condizione e quindi alla totale disistima, all’avvilimento, alla disperazione, alla mancanza di qualsiasi speranza e prospettiva.
E’ doveroso il riferimento alle persone ammalate di lebbra oggi, nel mondo, per l’80% presenti in India, Brasile, Bangladesh, Indonesia e Birmania. Nonostante i notevoli miglioramenti nella prevenzione e nella cura all’incirca 2mila persone al giorno nel mondo contraggono la lebbra; circa un milione sono le persone in cura; la vita di oltre 10 milioni é segnata da questa malattia; 4 milioni presentano disabilità evidenti; 7 milioni subiscono discriminazioni. Come a rappresentare le migliaia di medici, infermieri, religiose e religiosi, volontari che su tutto il Pianeta si dedicano quotidianamente alle persone lebbrose, prendendosene cura, attivando autonomia di vita e di lavoro, di relazioni significative, è doveroso ricordare con riconoscenza per il suo impegno infaticabile Raoul Follereau, morto a Parigi nel 1977, anche per quell’iniziativa rimasta clamorosa; nel 1954 aveva scritto al Presidente degli Stati Uniti e a quello dell’Unione Sovietica per richiedere loro il costo di un aereo da bombardamento: “Con il prezzo di due di questi aerei potremo curare tutti i lebbrosi del mondo…”.
Ci parlano ancora oggi il suo coraggio, la sua intraprendenza e il cinico silenzio degli interpellati.
E insieme a Raoul Follereau, è da ricordare qui nella nostra realtà il dott. Sipione che con l’Associazione “I nostri amici lebbrosi” da tanti anni opera in modo straordinario per progetti di concreta e significativa solidarietà.
Chi si dedica attua l’insegnamento che il Vangelo di questa domenica ci propone (Luca 17,11-19). Nel suo cammino verso Gerusalemme, Gesù incontra tante e diverse persone. Entra in un villaggio e gli vengono incontro dieci lebbrosi. Probabilmente, vivere insieme la loro condizione di emarginazione poteva essere motivo di sostegno e aiuto reciproci. Si fermano ad una certa distanza, com’era prescritto. Gridano verso di lui chiedendogli attenzione, ascolto, aiuto. In altri racconti del Vangelo, si evidenzia come Gesù infrangendo le prescrizioni, si avvicina e tocca il lebbroso per comunicargli vicinanza, considerazione, condivisione; la conseguenza è che lui stesso da quel momento è considerato impuro e non può entrare nei villaggi.
Con la sua persona, la sua profonda sensibilità, la sua compassione da cui provengono l’attenzione, la premura, la cura, la guarigione delle persone ammalate, sofferenti, discriminate ed escluse, Gesù di Nazaret rivela la presenza del Dio umano che non punisce e non condanna, bensì partecipa e accompagna, comunica sollievo, serenità, sostegno.
Non è il Dio del tempo e dei funzionari della religione.
Gesù invita i dieci lebbrosi ad andare a presentarsi ai sacerdoti perché detengono il potere di dichiarare l’eventuale guarigione, ed egualmente quello di decretare l’esclusione.
Anche oggi la religione del tempio e i suoi funzionari escludono chi, anche senza aver contratto questa malattia, è considerato come un lebbroso da discriminare ed escludere; in qualche modo, tutte le persone che fanno fatica per dipendenza da sostanze, per condizione sessuale, per prostituzione, per la condizione di carcerati o ex carcerati; per malattie come l’AIDS, per altre situazioni ancora: lebbrosi per la società e per la chiesa della religione. La Chiesa del Vangelo e della fede è riconoscibile proprio per  l’accoglienza senza alcuna discriminazione.
I dieci lebbrosi durante il cammino guariscono. Uno solo di loro, appena se ne accorge, ritorna indietro per incontrare Gesù e ringraziarlo. E’ uno straniero, abitante in Samaria. Gesù osserva come su dieci guariti, lui solo straniero, è ritornato a ringraziare Dio e dice a quell’uomo: “Alzati e va! La tua fede ti ha salvato!”. Se non si è grati, riconoscendo quello che si riceve e chi ce lo comunica, si rischia di diventare padroni della vita e di umiliare gli altri! Probabilmente qualcuno dei dieci guariti si è trasformato a sua volta in un discriminatore dei deboli, dei poveri, dei lebbrosi, perché incapace di riconoscere il dono ricevuto.

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