DOMENICA 28 AGOSTO 2011 Vangelo di Matteo 16,21-27
28/08/2011
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LA SCELTA DI ANDARE INCONTRO ALLA MORTE PER AFFERMARE LA VITA
Vangelo di Matteo 16,21-27

Da quel momento Gesù cominciò a spiegare ai discepoli ciò che doveva capitare. Diceva: “ È necessario che io vada a Gerusalemme; gli anziani del popolo, i capi dei sacerdoti e i maestri della legge mi faranno soffrire molto, poi sarò ucciso, ma al terzo giorno risusciterò”. A queste parole, Pietro prese da parte Gesù e si mise a rimproverarlo: Dio non voglia, Signore! No, questo non ti accadrà mai!”. Gesù si voltò verso Pietro e disse: “Và via, lontano da me, Satana. Tu sei un ostacolo per me, perché non ragioni come Dio, ma come gli uomini”. Poi Gesù disse ai suoi discepoli: “ Se qualcuno vuole venire con me, smetta di pensare a sé stesso, prenda la sua croce e mi segua. Chi pensa soltanto a salvare la propria vita, la perderà; chi invece è pronto a sacrificare la propria vita per me, la ritroverà. Se un uomo riesce a guadagnare anche il mondo intero, ma perde la vita, che vantaggio ne avrà? Oppure c’è qualcosa che un uomo potrà dare per riavere, in cambio, la propria vita? Il Figlio dell’uomo ritornerà con la gloria di Dio Padre, insieme con i suoi angeli. Allora egli darà a ciascuno la ricompensa in base a quello che ciascuno avrà fatto”.

Nella storia dell’umanità ci sono state tante persone, davvero una moltitudine, che hanno vissuto l’intuizione e poi la crescente consapevolezza di andare incontro alla morte violenta da parte del potere economico, politico, militare, con la copertura di una certa religione. E questo, come conseguenza dei propri ideali, delle prese di posizione, delle decisioni e delle azioni. Questa situazione continua in tanti luoghi del Pianeta. Pensiamo alle donne e agli uomini e ad intere comunità della resistenza italiana ed europea e di tutte le resistenze, di tutte le lotte di liberazione.
Una folla enorme di martiri, a cominciare dalle donne e dai bambini, non hanno avuto la percezione evidente della morte prossima.
Tanti altri sì. Nell’ambito dell’esperienza della fede che fa riferimento a Gesù di Nazaret, questi sono chiamati “martiri gesuanici”, perché hanno seguito Gesù e il suo Vangelo; come lui, non senza timore e tremore, hanno perseverato con fedeltà nel cammino di giustizia e pace intrapreso, con chiara consapevolezza di andare incontro alla morte violenta. In realtà tutte le donne, gli uomini e le comunità martiri per una umanità più umana, sono parte, senza distinzioni, del Mistero del Dio della vita.
In questo contesto di riflessione, si può collocare il Vangelo di questa domenica (Matteo 16,21-27).
“Da quel momento Gesù cominciò a spiegare ai discepoli ciò che gli doveva capitare. Diceva:-Io devo andare a Gerusalemme. E’ necessario. Gli anziani del popolo, i capi sacerdoti e i maestri della legge mi faranno soffrire molto, poi sarò ucciso, ma al terzo giorno risusciterò-”.
Questa crescente e sempre più chiara consapevolezza non frena le parole e i gesti di Gesù: lui rivela il Dio umanissimo nella storia e per questo entra in conflitto con il Dio del tempio che la classe dirigente, a cominciare da quella sacerdotale gestisce e dalla cui utilizzazione si sente garantita e legittimata.
Pietro interviene per dire a Gesù che quella strada è perdente rispetto al potere da conquistare e gestire Gerusalemme. Gesù lo allontana: “Và via, lontano da me, Satana. Tu sei un ostacolo per me, perché tu ragioni come gli uomini, ma non pensi come Dio”. Satana, il diavolo, è colui che divide, nel caso specifico che separa la coscienza dalla coerenza; suggestiona con la logica del potere, del successo e del prestigio e di conseguenza con l’allontanamento dalla fedeltà al Padre e alle persone che incontra.
Gesù dice: “Chi vuol essere mio discepolo smetta di pensare a se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Chi pensa soltanto a salvare la propria vita la perderà; chi invece è pronto a sacrificarla la propria vita la salverà”.
Se uno viene a guadagnare anche tutto il mondo ma poi perde lo spirito, il senso della sua vita, quali saranno le conseguenze? Come potrà riprendere questo spirito?
La croce era lo strumento di supplizio per uccidere gli schiavi, gli indesiderati, i ribelli.
Nell’esperienza umana e nel linguaggio comune indica in modo pregnante le situazioni e le condizioni di sofferenza delle persone, delle famiglie, delle comunità: dalla malattia e dal dolore; alla morte delle persone care; alla marginalità e all’angoscia; all’impoverimento, all’oppressione, alle violenze, fino a parlare dei popoli crocifissi. Portare la croce al seguito di Gesù significa incontrare contrasti, durezze, avversione, calunnie, isolamento, arresto, persecuzione, morte per restare fedeli all’impegno per la giustizia, la pace, l’accoglienza, la condivisione, la verità.
La croce è quindi segno di violenza e di morte da parte del potere e insieme di amore, di coerenza e fedeltà da parte di chi per scelta è coerente fino ad essere crocifisso, nell’itinerario di una vita che continua dopo la morte, accolta e valorizzata da Dio e testimonianza per tante persone.
Gli esempi di due vescovi: mons. Romero, ucciso il 24 marzo 1980 in Salvador, sull’altare mentre celebrava l’Eucarestia, voce dei poveri, dei senza voce; ha avuto chiara consapevolezza del suo imminente martirio.
E il vescovo nero mons. Christophe Munzhinwa, ucciso insieme a tante persone il 29 ottobre 1996 in Congo: aveva due sole camice e due pantaloni che lavava lui stesso; povero, esemplare testimone della verità, “zamu”, sentinella, custode e pastore del suo popolo fino a dare la vita.

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