DOMENICA 29 APRILE 2012 Vangelo Giovanni 10,11-18
29/04/2012

DOMENICA 29 APRILE 2012
AUTORITA’ E GUIDA COME SERVIZIO AL BENE COMUNE
Vangelo Giovanni 10,11-18

“Io sono il buon pastore. Il buon pastore è pronto a dare la vita per le sue pecore. Un guardiano che è pagato, quando vede venire il lupo lascia le pecore e scappa, perché le pecore non sono sue. Così il lupo le rapisce e le disperde. Questo accade perché il guardiano non è pastore: lavora solo per denaro e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore: io conosco le mie pecore ed esse conoscono me, come il Padre mi conosce e io conosco il Padre. E per queste pecore io do la vita.
Ho anche altre pecore, che non sono in questo recinto. Anche di quelle devo diventare pastore. Udranno la mia voce, e diventeranno un unico gregge con un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama, perché io offro la mia vita, e poi la riprendo. Nessuno me la toglie; sono io che la offro di mia volontà. Io ho il potere di offrirla e di riaverla: questo è il comando che il Padre mi ha dato”.

Viviamo un periodo della storia particolarmente complesso, per diversi motivi: cambiamenti accelerati della società, nelle istituzioni, nell'etica, nella politica, nelle religioni, nella Chiesa; le acquisizioni scientifiche e tecnologiche, nella medicina, ad esempio, pongono questioni etiche sull'inizio e sul fine vita, come mai prima d'ora; la tecnologia nei mezzi di informazione offre possibilità inedite straordinarie di comunicazione planetaria e nello stesso tempo evidenzia le difficoltà della comunicazione fra le persone, fino alla incomunicabilità; l'interdipendenza planetaria, confermata dagli oltre 5 milioni di persone immigrate che vivono in Italia, circa 105.000 nella nostra Regione, fa emergere gli individualismi, i localismi, le chiusure, i rifiuti.
La finanza speculativa che mette in crisi l'economia reale con ricadute drammatiche nel mondo del lavoro e nella vita quotidiana di milioni di famiglie, evidenzia le ingiustizie, la ricchezza in mano a pochi, la diffusione della povertà di molti, inserita in quella drammatica subita da sempre dai due terzi dell'umanità. La politica è avvertita lontana per la povertà dei contenuti, peggio per l'illegalità e la corruzione che in modi e ampiezza incredibili la macchiano, per la crisi del metodo partecipativo e di rappresentanza. Se ne avverte tutta la imprescindibile importanza proprio in questo momento di difficoltà gravissima. Si avverte che questa crisi è preceduta da quella della cultura e dell'etica. Le religioni sono tutte ad un bivio e sono provocate ad uscire dalla nicchia di sacralità e di autoreferenzialità per immergersi nella storia per incontrare le persone e per assumere la responsabilità della giustizia, della pace, della salvaguardia dell'ambiente vitale, in una parola della salvezza delle persone, intendendola in modo globale, nella relazione continua fra materialità e spiritualità, corpo e anima, storia e trascendenza.
Spesso ci si interroga sui modelli e sui maestri: quali siano, come dovrebbero essere: nella famiglia, nella società, nella scuola, nelle istituzioni, nella politica, nella Chiesa. Il Vangelo di questa domenica (Giovanni 10,11-18) ci propone la parabola del pastore buono, immagine che Gesù riferisce alla sua persona: è lui il pastore, bello, vero, ideale, modello da seguire, perché legittimo nel suo proporsi, parlare e operare. E quali sono le qualità per questa attribuzione? E’ la disponibilità a dare la vita per le pecore perché condivide le loro storie, abita con loro, le conosce una a una, si accorge delle situazioni di ciascuna; la relazione con loro è di coinvolgimento profondo; lui le chiama per nome ed esse lo seguono perché riconoscono la sua voce; lui le conduce a pascoli erbosi e poi a dissetarsi ad acque limpide. Lui si sente pastore di tutte le pecore, non solo di quelle raccolte in un recinto particolare. Si comprende in modo più profondo ed evidente la dedizione del pastore buono, nel confronto con chi pretende di essere pastore ma non lo è perché smentisce il suo compito di guida con il suo atteggiamento, le sue parole e le sue azioni. Le pecore lo sentono estraneo, non ne conoscono la voce, non possono seguirlo, anzi fuggono.
Anche oggi nella società, nella politica e nella Chiesa le parole dei capi che non vivono con le persone, che non ne ascoltano drammi, attese, speranze, non possono giungere al loro cuore, non né rasserenare, né incoraggiare, ma intimidiscono, infastidiscono e distanziano.
Le caratteristiche negative di chi dovrebbe guidare sono: la presunzione di essere superiori, di possedere la verità, di essere unici nell'indicare la via da percorrere; di godere di immunità e privilegi, di curare i propri interessi e di accumulare denaro e ricchezza; di imporsi e dominare, non di amare e di servire. Gesù dice che sono guide cieche perché non solo non vogliono vedere, ma impongono la loro menzogna come verità, il loro autoritarismo come autorità a cui ubbidire. In una parola sono mercenari perché cercano solo il proprio tornaconto.
Gli accostamenti alla realtà di diverse guide istituzionali, politiche e religiose sono evidenti. Per contrasto l'immagine del pastore buono viene accostata a tante persone che vivono il loro compito: genitori, insegnanti, impegnati nella politica e nelle istituzioni, nella Chiesa, con disponibilità e con impegno per il bene delle persone, per il bene comune, disposte a donarsi fino a dare la vita. La condizione indispensabile è quella di conoscere, partecipare, condividere, amare; altrimenti quali parole umane e significative si possono mai dire?

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