DOMENICA 13 MAGGIO 2012 Vangelo Giovanni 15,9-17
13/05/2012
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DOMENICA 13 MAGGIO 2012
AMATEVI GLI UNI GLI ALTRI
COME IO HO AMATO VOI
Vangelo Giovanni 15,9-17

Come il Padre ha amato me, così ho amato voi: rimanete nel mio amore! Se metterete in pratica i miei comandamenti, sarete radicati nel mio amore; allo stesso modo io ho messo in pratica i comandamenti del Padre mio e sono radicato nel suo amore. Vi ho detto questo, perché la mia gioia sia anche la vostra, e la vostra gioia sia perfetta. Il mio comandamento è questo: amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: morire per i propri nemici. Voi siete miei amici, se fate quello che io vi comando. Io non vi chiamo più schiavi, perché lo schiavo non sa che cosa fa il suo padrone. Vi ho chiamato amici, perché vi ho fatto sapere tutto quello che ho udito dal Padre mio. Non siete voi che avete scelto me, ma io ho scelto voi,  e vi ho destinati a portare molto  frutto – un frutto duraturo. Allora il Padre vi darà tutto quello che chiederete nel nome mio. Questo io vi comando:  amatevi gli uni gli altri.

Riflettere sull'amore significa coinvolgerci a considerare le dimensioni più profonde del nostro essere. L'amore è la forza fondamentale della vita; senza amore non si può vivere: e questo in tutta la nostra storia umana, da bambini appena nati, fino, per come e quando ci è concesso, alla nostra vecchiaia; anzi, prima ancora della nostra nascita, perché il venire al mondo dovrebbe essere espressione e frutto dell'amore. Già esprimersi però, in modo veritiero, con il condizionale, ci ricorda come alle volte non c'è questa rispondenza fra nascita e atto di amore; con il riferimento alle situazioni estreme di violenza come uno stupro di massa durante le guerre, ad altre forme di violenza più subdole e nascoste, a condizioni di vita fragili, sofferte, tribolate. Per esperienza diretta, ciascuna e ciascuno di noi può testimoniare la profondità, la bellezza la ricchezza dell'amore ricevuto e dato e le mancanze di amore, le tribolazioni, le sofferenze, le ferite. Ancora per esperienza, possiamo raccontare le testimonianze di tante persone che ci hanno fatto percepire la profondità e la gratuità dell'amore.
In realtà, proprio perché l'amore è la forza propulsiva della vita -anche se questa constatazione potrebbe sembrare un paradosso-è insieme la più fragile, la più esposta a fraintendimenti, a confusioni, a proiezioni e ricerche egoiste. Se può essere di aiuto ricordarlo, il mondo greco, ad esempio, nell'amore considerava due aspetti diversi: "l'eros" come appagamento dei nostri desideri, come tensione verso la ricchezza, la pienezza; una spinta che il filosofo Platone ha ben descritto, dal basso verso l'alto, fino alla bellezza in sé. E l'altro aspetto appunto: "l'agape" che è invece una discesa dalla ricchezza alla povertà, è dedizione, è gratuità, spoliazione che trova il suo adempimento per il dono che certo è pienezza di sé, ma fino a donare la propria vita, fino alla croce.
Dio è amore, è "agape".
Il Vangelo di questa domenica (Giovanni, 15,9-17) ci propone un orientamento e un'esortazione che abbiamo ascoltato mille e mille volte, fino da piccoli e considerato come il nucleo del messaggio evangelico: "Il mio comandamento è questo: amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: morire per i propri amici. Voi siete miei amici se fate quello che vi comando. Io non vi chiamo più schiavi, perché lo schiavo non sa cosa fa il suo padrone. Vi ho chiamati amici perché vi ho fatto sapere tutto quello che ho udito dal Padre mio". Il pericolo costante, comprovato anche da una pratica diffusa, è quello della genericità e della occasionalità. Spesso ci si dimentica che il riferimento, la fonte, la verifica dell'amore è lui, Gesù di Nazaret: "Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi". E come ci ha amati? Quali la profondità e la concretezza, quale la qualità e le caratteristiche del suo amore? Un amore mosso dalla compassione, cioè del patire-con, dall'immedesimarsi nelle condizioni, nelle storie delle persone con attenzione immediata e preferenziale ai piccoli, ai poveri, ai sofferenti, agli indifesi, agli esclusi.
Quindi un amore incondizionato, non frenato, limitato, condizionato, orientato dalla condizione di vita delle persone, dalla loro appartenenza culturale e religiosa; non rispondente ai loro meriti; non rifiutato per i loro errori e demeriti. Troppo spesso nella storia della Chiesa in nome di un generico amore di Dio si sono escluse le persone diverse, sacralizzando l'esclusione: appartenenti a determinate ideologie e partiti politici; anticlericali e atei, più di qualche volta per il rifiuto al Dio proposto, contrario anche al Dio di Gesù di Nazaret; eretiche; omosessuali e altre ancora; per non ricordare i secoli delle conquiste e del colonialismo, nei quali pur "predicando" l'amore di Dio si consideravano inferiori gli indios e i neri, si opprimevano, derubavano, convertivano e anche si sterminavano. L'amore di Dio è per tutti, senza differenze o distinzioni. Se noi impariamo dall'amore del Dio di Gesù siamo chiamati a nutrirne la profondità e a viverne la concretezza nelle relazioni con le persone con cui più da vicino condividiamo la nostra vita, a tutte le altre che incontriamo, a tutta l'umanità che compone la famiglia planetaria. L'amore riguarda le dimensioni più intime e la concretezza dell'impegno quotidiano nel lavoro, dell'accoglienza, nelle istituzioni, nella politica, nella Chiesa che dovrebbe essere un ambito speciale per educarci all'amore, dato che annuncia il Vangelo dell'amore. Fondamentale, in realtà, che lo testimoni con coerenza.

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