La complessità delle storie umane conduce diverse volte alla marginalità, a causa dei meccanismi sociali, culturali, economici, politici religiosi fra loro intrecciati, anche con sostegno reciproco.
Una condizione di malattia fisica, psicologica, dell’anima; una forma di disabilità; una situazione di dipendenza da sostanze può indurre sconferma, tristezza, marginalità, anche angoscia, proprio perché nella società dell’esaltazione della prestanza fisica, della bellezza, dell’efficienza, del vitalismo immortale, del materialismo diffuso chi non è protagonista adeguato ai canoni e alle attese, di per sé è fuori da questo gioco dei forti, dei belli, dei sempre giovani, dei prestanti, dei presuntuosi immortali. Questa è la tendenza omologante, ma proprio a motivo della forza della vita nelle sue dimensioni più profonde, dell’amore e dell’amicizia nella loro autenticità di presenza, coinvolgimento e dedizione, per fortuna, o, in termini teologici, per grazia di Dio, tante, proprio tante volte non è così e, le malattie, i limiti, le difficoltà delle persone sono accolte, accompagnate, condivise, tanto da diventare storie umane ricche di significato per tante altre persone. Certamente è sempre di fondamentale importanza l’atteggiamento interiore e poi a seguire quello concreto della persona, ma tante volte risulta altrettanto importante, alla volte proprio decisivo, l’incontro con una persona, la sua attenzione, accoglienza, premura, fiducia, incoraggiamento, sostegno, accompagnamento.
Il Vangelo di questa domenica (Marco 10, 46-52) ci racconta una di queste vicende.
Ci presenta un uomo di nome Bartimèo, figlio di Timotèo. E’ cieco, quindi nella mentalità comune diffusa è castigato da Dio; è emarginato dalla comunità: per questo è seduto sul bordo della strada a chiedere l’elemosina. Per immediata associazione umana si è portati all’attenzione alle amiche e agli amici ciechi, alla loro vicenda umana, ai loro diritti e relazioni, all’autonomia, al lavoro. Passi significativi sono stati fatti, ma l’impegno deve essere continuo e ulteriore, per garantire dignità, liberandosi da concezioni e pratiche paternaliste e assistenzialiste.
Gesù e i discepoli seguiti da molta folla stanno uscendo dalla città di Gèrico. L’uomo cieco che ha sentito parlare di quel Gesù di Nazaret così attento e disponibile alle persone come lui, accortosi che passa comincia a gridare: “Gesù, Figlio di Davide, abbi pietà di me!”.
E’ un grido insieme disperato e fiducioso. Molti si mettono a sgridarlo per farlo tacere. Un atteggiamento molto diffuso anche nella nostra società, anche nella Chiesa: impedire che i silenzi dolorosi, le grida che implorano aiuto, le voci che rivendicano attenzione, dignità, diritti arrivino nei luoghi e alle persone dove dovrebbero già essere presenti e dove già si dovrebbe decidere la risposta più idonea. Che le persone affaticate, malate, disabili, carcerate, diversamente sofferenti tacciano, restino nella loro situazione, si accontentino di quello che già ricevono: questo troppe volte è l’atteggiamento.
Gesù ha ascoltato le grida di quell’uomo; si ferma e invita a chiamarlo vicino a sé. Alcuni gli vanno vicino e gli dicono: “ Coraggio, alzati! Ti vuol parlare!”.
Il cieco butta via il mantello, balza in piedi e va vicino a Gesù. La percezione di una possibilità sognata, la conferma di un’attenzione che sta concretizzandosi gli da la forza interiore di liberarsi non solo dal mantello, ma più ancora dall’involucro costituito da tutti i pregiudizi, le frasi fatte, i luoghi comuni, i commenti cattivi ascoltati fino in quel momento nei suoi confronti; la religione del tempio e della sinagoga che lo condannava alla emarginazione.
Gesù gli chiede che cosa desidera: parrebbe scontato, ma in questo modo vuole coinvolgerlo attivamente. Naturalmente il cieco chiede a Gesù di poter vedere di nuovo. E
Gesù: “Vai, la tua fede ti ha salvato”. Bartimèo recupera la vista e da mendicante sul ciglio della strada, diventa protagonista attivo nel seguire Gesù.
E’ una provocazione a ciascuna e ciascuno di noi, alla Chiesa, alla cultura, alle istituzioni, alla politica: nessuna persona ai margini, ma ciascuna e ciascuno con le sue diversità è protagonista nella sua vita.