Spesso procediamo seguendo una sorta di "legge della necessità": a livello, sociale, culturale, economico, politico e religioso, come se tutto questo fosse "naturale"; anche sul piano personale si rischia di assecondare schemi e stereotipi che costringono in sofferenza dimensioni profonde del nostro animo.
Da tanti secoli e in modo evidente ancora oggi, la società è basata su modelli e criteri di competizione ed efficienza: i forti vincono e i deboli soccombono; i ricchi determinano e i poveri subiscono; la cultura dominante con i suoi mezzi di informazione pretende di diffondere una mentalità e modelli vincenti e i gruppi, i movimenti, le minoranze faticano ad esprimersi e contare.
L'assoluto del mercato e della massimizzazione del profitto sembra essere un dogma per i poteri forti e di conseguenza gli impoveriti e gli affaticati dell'esistenza aumentano a livello locale e mondiale. Lo sfruttamento della terra e di tutto l'ambiente è stato e continua ad essere per tanti una necessità legata al profitto. Le armi e le guerre sono ritenute necessarie.
La politica è in una situazione di crisi profonda per la sua separatezza dalla vita delle persone e delle comunità, per i suoi privilegi, per la deriva nell'illegalità e nella corruzione. Il potere religioso spesso trasforma la fede in istituzione religiosa, la identifica nell'ortodossia dottrinale e in alcuni principi non negoziabili, mentre tante persone cercano una fede che illumini, orienti, sostenga nella vita. Il dare per ricevere sembra un criterio molto diffuso; si agisce per i risultati, per l'immagine ed il successo, per un ritorno vantaggioso. Questa descrizione degli aspetti e delle situazioni negative, non copre certamente i tanti segni positivi costituiti dall'esperienza di persone, comunità e popoli che diventano un incoraggiamento reciproco per l'impegno quotidiano di noi tutti.
Ecco, il segno dell'acqua trasformata in vino sulle tavole delle nozze di Cana (Vangelo Giovanni 2,1-12) si colloca nel superamento di quella logica stringente della necessità e propone la gratuità come dimensione fondamentale per liberarsi dalla costrizione.
Gesù con sua madre e i suoi discepoli partecipa ad una festa di nozze a Cana di Galilea. Ad un certo punto la madre gli fa presente che è finito il vino. Lui reagisce con apparente durezza, come a dire che i segni profondi non sono da pretendere comunque e in qualsiasi momento. La madre invita i servitori ad essere comunque disponibili alle indicazioni di Gesù. La prima richiesta è di riempire d'acqua i sei recipienti di pietra che contengono circa 100 litri ciascuno; servono alla purificazione degli ebrei, un'esigenza che può anche essere un itinerario positivo del cuore e della coscienza, che però spesso può risolversi in ritualità formale e ripetitiva, che non incide sulle scelte e i comportamenti.
Gesù chiede ai servitori di prendere un po' di vino e di portarlo al capotavola che assaggia l'acqua diventata vino e non sa capacitarsi da dove venga; di conseguenza, commenta con lo sposo l'anomalia di servire ora, a festa inoltrata, il vino buono, contrariamente a quello che si è soliti fare.
Questo è il primo segno con il quale Gesù si manifesta. Il vino su quelle tavole delle nozze non sarebbe stato strettamente necessario; eventualmente, il tempo della festa si sarebbe accorciato; ma non è paragonabile questa situazione all'esigenza di guarigione di un ammalato, di perdono di una persona scomunicata e sconsolata, del pane come nutrimento da condividere da parte di una folla affamata.
La gratuità del vino inatteso rende possibile la continuazione della festa e la felicità delle persone convenute. E’ la gratuità dell'amore e dell'amicizia, della riflessione e del dialogo, del silenzio e della contemplazione, della preghiera e della generosità che rompono la necessità costretta del capitalismo, della violenza, della guerra, del razzismo, dell'usurpazione dell'ambiente; che progetta e anima parole e gesti per un mondo nuovo.