La riflessione di queste domeniche, oggi a partire dal Vangelo di Giovanni 21, 1-19, cerca di approfondire la questione cruciale che sempre ci interpella, del rapporto fra vivere e morire, fra vita e morte, fra tribolazioni e speranze, fra sfiducia e ripresa della fiducia.
E questa riflessione assume come riferimento del tutto speciale Gesù di Nazareth ucciso dal potere, dell'intreccio fra quello religioso, politico, legislativo, militare e resuscitato per il suo amore incondizionato, per la sua fedeltà al Padre e ai fratelli, vivente oltre la morte. Costituisce motivo di continua sorpresa constatare come nel Vangelo scopriamo i tratti delle nostre vicende umane e come in esse scorgiamo i tratti del Vangelo in una reciprocità commovente.
I Vangeli raccontano l'incontro di Gesù risorto con le donne e gli uomini suoi amici: proprio a questi momenti così sorprendenti, vissuti fra incertezze, dubbi, incredulità, ripresa di energia interiore e di speranza, loro attribuiscono il rinnovato coinvolgimento con la persona e il messaggio di Gesù nel superamento del dolore, dello smarrimento, della mancanza di speranza, dell'incapacità di guardare al futuro. Avvengono nei luoghi conosciuti e frequentati come il lago di Tiberiade dove alcuni di loro sono tornati a pescare. In questa giornata sono sette. Pietro prende il largo per la pesca seguito dagli altri. Ma in tutta la notte non prendono nulla. La fatica del lavoro senza alcun esito positivo viene quasi a confermare la situazione difficile che stanno vivendo a seguito dell'uccisione di Gesù. Alle volte, nelle nostre storie, pare che le difficoltà si sommino, che le fatiche con esito incerto e negativo, contribuiscano ad appesantirle e renderle più dolorose.
Di prima mattina, Gesù si presenta sulla riva, ma i discepoli non lo riconoscono, non sanno che è lui. Chiede loro qualcosa da mangiare e, dato che constata che non hanno nulla, li invita a gettare la rete dal lato destro della barca, perché vi troveranno pesce in abbondanza. La pesca in realtà è straordinaria e viene interpretata dal discepolo Giovanni che si rivolge a Pietro indicandogli la presenza e l'azione del Signore. Il riconoscimento deriva ora dall'aver creduto alla sua parola, nonostante la fatica inutile di tutta la notte; dalla conferma della fiducia corrisposta, non tradita. Nella nostra vita la ripresa da situazioni di tribolazioni e di sfiducia può iniziare quando noi confidiamo in una parola che ci invita a una presenza, ad un'azione, anche se interiormente avvertiamo una resistenza. Se quel credito di fiducia è poi seguito da un segno positivo, la fiducia stessa viene confermata e nutrita; essa stessa sollecita un nuovo dinamismo, come a Pietro che si getta in mare per andare incontro a Gesù.
Sulla riva del lago condividono fra loro pani e pesci che Gesù distribuisce. I discepoli non hanno coraggio di fargli domande; hanno capito che è il Signore, ma qualche titubanza interiore che permane li frena, quasi per paura di essere smentiti, per timore che non sia proprio e del tutto vero quello che stanno vivendo: cioè l'incontro con il loro maestro, il crocifisso ora vivo. E’ anche questa un'esperienza che conosciamo: il residuo dell'incertezza dopo una situazione difficile e dolorosa, pure sperimentando che un cambiamento positivo sta avvenendo.
Dopo aver condiviso il cibo, Gesù chiede per tre volte a Pietro se lo ama più degli altri; cioè, lo provoca riguardo all'intensità e alla profondità del rapporto e del coinvolgimento con lui. Pietro rimane addolorato per questa insistenza che in qualche modo lui interpreta come dubbio sulla sua dedizione; e dichiara il suo amore, la sua disponibilità. Gesù si raccomanda di pascere le pecore; poi una frase misteriosa intende far capire a Pietro come sarebbe morto, dando gloria a Dio. Avverrà con la crocifissione a Roma. Un testo, questo passaggio del Vangelo di Giovanni, storicamente controverso perché interpretato come fondamento del papato. Resta indubbia comunque, la prospettiva: questo potere è pensabile solo come un servizio utile e concreto, come ha detto anche papa Francesco, fino a dare la vita stessa.