L’essere cristiani dovrebbe dipendere unicamente dal seguire nella
vita Gesù di Nazaret e il suo Vangelo; questa considerazione ci porta
subito a considerare che nessuno realmente e pienamente è cristiano;
che invece cristiani si diventa e lo si conferma quando le nostre
scelte di vita sono maggiormente coerenti con il Vangelo. Certamente
quando questo itinerario è perseverante, pur nelle infedeltà e
incoerenze, che speriamo non gravi, si può acquisire e alimentare un
riferimento importante, un modo di pensare ed uno stile di vita
conseguenti, in cui si può intuire e riconoscere l’ispirazione
evangelica.
E’ troppo diffusa nella società della complessità e della crisi,
l’appartenenza alla religione legata a occasioni, ad esempio ai
passaggi della vita, come il battesimo, la prima comunione, il
matrimonio; e ancora mescolata ad aggregazioni sociali per feste o
eventi particolari; e spesso in queste situazioni diventa niente altro
che un ingrediente sociale. Diversa di solito è la partecipazione ai
funerali, al saluto alle persone, perché la morte propone una
riflessione profonda sul senso stesso della vita, come la storia delle
persone che se ne vanno.
Tante altre volte l’appartenenza a momenti religiosi non è neanche
pensata. Nello stesso tempo emerge in modo riscontrabile una ricerca di
spiritualità, di profondità, di senso. Si dovrebbe seguire il Vangelo
per fede, non per l’appartenenza più o meno vaga a una religione
cristiana sociologica, là dove se ne danno i segni, tanto meno per una
presunta rendita di posizione espressa in dichiarazioni anche di
rappresentanti della politica e delle istituzioni: radici cristiane,
cultura cattolica…; tante volte smaccate e ipocrite dichiarazioni
smentite dai comportamenti della vita.
Dall’altra parte lo stesso insegnamento di Gesù è chiaro, esigente
e, seguendone la prospettiva e l’esperienza, arricchente (Vangelo Luca
10,1-12.17-20). Sceglie oltre ai 12 altri 72 discepoli perché lo
precedano nei villaggi e nelle borgate che egli stava per visitare. Li
manda due a due perché possano sostenersi reciprocamente e anche perché
l’annuncio sia avvalorato dalla testimonianza di due persone, non
sminuito dalla presenza di una sola. Gesù constata che le esigenze
delle persone, dei gruppi, dei villaggi sono numerose e diffuse e
invita a pregare perché tante persone si rendano disponibili: “La messe
da raccogliere è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate perciò il
padrone del campo perché mandi operai a raccogliere la sua messe.”
Queste parole di Gesù sono state interpretate quasi
esclusivamente riferite alle vocazioni dei preti, dei religiosi, delle
religiose. E’ l’invito alla preghiera finalizzata appunto a suscitare
nuove vocazioni, specie nella situazione attuale di una diminuzione
vistosa della loro presenza nella comunità. In realtà la constatazione
di Gesù non riguarda la Chiesa, ma tutta l’umanità con le sue
tribolazioni e aspirazioni, angosce e speranze; la provocazione a farsi
prossimi dovrebbe essere accolta in modo più diffuso e convinto; la
preghiera invoca questa disponibilità, non solo dei preti, delle
religiose e dei religiosi. E per quanto riguarda la Chiesa la preghiera
dovrebbe essere rivolta alla disponibilità a nuovi compiti, servizi e
ministeri, riguardanti i preti celibi, quelli sposati, donne prete e
altri servizi nella comunità, attribuendo una dimensione molto più
significativa al diaconato maschile e femminile, come servizio nella
comunità, non limitato alla dimensione del culto, peggio se clericale.
Gesù nell’inviare i discepoli indica uno stile di vita
caratterizzato da quello che non devono portare per non estraniarsi dai
poveri, dagli umili, dagli ultimi: non denaro, non provviste di alcun
genere, non un sacco quindi per collocarle, né per riporre le
elemosine… La missione dovrà basarsi solo sulla confidenza e la fiducia
in Dio e sull’accoglienza delle persone; per questo dovranno
lasciare anche il bastone per non apparire armati; né calzare i sandali
per condividere la condizione degli ultimi, degli schiavi; non portare
due tuniche per immedesimarsi con i più poveri. Dovranno avvicinarsi ai
villaggi in modo pacifico senza spaventare donne e bambini. La
presenza, le parole, i gesti dovranno far percepire la gratuità e così
essere accolti come ospiti graditi nelle case. Questo scambio reciproco
è il primo segno di una nuova umanità basata su dimensioni radicalmente
diverse da quelle dei ruoli, dell’onore e del disonore, dei padroni e
degli schiavi; dei sani e degli ammalati… L’attenzione prima dei
discepoli è per loro: così rincuorati e anche guariti potranno sedersi
anche loro alla mensa in una nuova e insperata situazione.
Così Gesù di Nazaret, privo di potere politico e religioso immette
questa forza nella storia, nelle relazioni fra le persone per dare
inizio, in mezzo all’immenso impero di Roma, ad una nuova umanità più
sana e fraterna, più degna e vera. Così oggi le diverse comunità
cristiane e la Chiesa tutta: povera, sobria, essenziale, credibile,
testimone di segni riconoscibili per una rinnovata, autentica umanità.