Cercare di diventare cristiani, perché nessuno realmente e
pienamente lo è, comporta una decisione seria e profonda, che poi è
chiamata a rinnovarsi in continuità.
Non è principalmente aderire ad un bagaglio di verità; non è
segnatamente appartenere ad una cultura, tanto meno ad
associazioni religiose o pseudoreligiose ma è prima e soprattutto
cercare di seguire e attuare l’insegnamento di Gesù di Nazaret,
facendolo diventare l’orientamento di fondo della vita,
l’ispirazione delle parole, delle scelte e delle decisioni.
E questo senza nessun integralismo o fondamentalismo, forzatura e
obbligatorietà, ma invece con la radicalità di chi sente importante
questo insegnamento per poter vivere nel modo più umano e contribuire
ad un mondo in cui giustizia, pace, condivisione, accoglienza, verità
perdono, fratellanza non restino buone intenzioni, né parole solo
dichiarate, ma diventino esperienze reali di vita, di relazioni, di
comunità e di processi storici positivi.
Quindi: la radicalità della proposta, la serena convinzione nel
seguirla, il conforto di tante persone e comunità esemplari.
Il Vangelo di questa domenica (Luca 14, 25-33) provoca e illumina
riguardo alla serietà della scelta.
“Chi mi segue senza portare la sua croce non può essere mio
discepolo.” Si chiede la disponibilità interiore e poi anche pubblica
nella società e nella Chiesa ad assumersi il peso delle inevitabili
contradizioni e critiche; del discredito e dell’isolamento come
conseguenze di scelte controcorrente riguardo al potere, al denaro,
alla nonviolenza e alla pace, all’accoglienza, alla gratuità, ad un
parlare senza veli e ipocrisie.
Pensiamo a certi rapporti sui luoghi di lavoro, nelle istituzioni,
nella politica e anche nella Chiesa. Sarebbe preferibile, secondo chi
ne è responsabile ufficiale, che le situazioni procedessero così come
sono, al massimo con qualche aggiustamento e aggiornamento parziale o
peggio solo formale che non incide sulla realtà a livelli profondi.
E questo può riguardare anche l’appartenenza alla famiglia, agli
amici, alla comunità. Il Vangelo afferma che non si può essere
discepoli se non si ama Gesù più dei familiari, più di se stessi. Non
si tratta di una impossibile quantificazione dell’amore, né di
stabilire criteri di priorità, ma invece di suggerire quella libertà
interiore che riesca a svincolarsi da aspetti formali e contingenti che
determinano, chiudono e impoveriscono in visioni e atteggiamenti di
ripiegamento. Ispirandosi e nutrendosi alla sorgente del Vangelo le
relazioni diventano più profonde e umane, più libere e serene anche con
i propri familiari. Un altro tratto decisivo e qualificante del
diventare discepoli è la libertà dall’avere, dal possedere,
dall’accumulare. “Chi non rinuncia a tutto quello che possiede non può
essere mio discepolo.”
La provocazione è di attraversare il sistema dei rapporti
economici in cui ci troviamo, con minori o maggiori responsabilità, con
un giudizio che è quello dell’amore verso gli altri. Significa quindi
prendere posizione contro la corruzione, l’illegalità, l’evasione
fiscale, la ricchezza iniqua fonte di sofferenza per molti e di
inammissibili privilegi per pochi. Significa partecipare ad esperienze
di autotassazione, di fondi comunitari, di condivisione e di concreta
solidarietà.