La questione della fede, del credere e non credere è stata sempre
presente nella storia dell’umanità. Le risposte sono state e
continuano ad essere diverse, negli itinerari delle differenti
spiritualità e fedi religiose; nella critica radicale alla fede
religiosa come risposta troppo facile e ingenua ai quesiti fondamentali
della vita delle persone e della storia dell’umanità; o come fuga dalla
storia, come oppio, come alienazione, soprattutto da parte dei maestri
del sospetto del mondo occidentale. C’è chi sostiene che senza la
dimensione trascendente, senza un significativo riferimento
all’ulteriorità, al Mistero, le vicende umane possono appiattirsi in
una sorta di autosufficienza; che il fare può risolversi in un
attivismo fine a se stesso; che la concretezza materiale senza un’anima
può diventare appiattimento; che il senso profondo, ultimo della vita
si può intuire e percepire in una relazione con una presenza speciale,
chiamata con nomi diversi. C’è chi sostiene che l’essere umano può
farcela anche da solo, che nell’esigenza della trascendenza può
annidarsi sempre il pericolo della fuga dalle responsabilità della
storia, per non dire della tentazione di rapportare la religione ai
poteri di questo mondo per cercare vantaggi e offrire protezioni.
A partire dalla laicità che tutti dovrebbe accomunarci le
posizioni di chi dice di credere e di chi dice di non credere non sono
da considerare statiche e definitive, bensì in movimento, in ricerca,
in possibile dialogo. Certo, dipende molto dalle persone, dagli
interlocutori: quando di recente Francesco papa afferma che la verità
della fede non è un assoluto, perché la fede si vive in una relazione
di amore, conferma e rilancia la possibilità dell’incontro e del
dialogo, a partire dalla vita e dentro alla vita. Il Vangelo di questa
domenica (Luca 17, 5-10) ci propone un dialogo fra Gesù e i suoi
discepoli, a partire da una loro richiesta: “ Accresci la nostra fede!”
E Gesù: “ Se aveste almeno una fede piccola come un granello di senape,
voi potreste dire a questa pianta di gelso: Togliti via da questo
terreno e vai piantarti nel mare! Ebbene, se avreste fede, quell’albero
farebbe come avete detto voi.”
La fede è ricerca, dono, grazia, dubbio, interrogativo,
soprattutto fiducia e affidamento, nella nostra esperienza col Dio di
Gesù di Nazaret. La storia ci insegna come tante volte la fede sia
diventata religione di apparato, di potere, perfino di violenza; come
invece innumerevoli persone e comunità hanno operato in modo inatteso e
incredibile, con una forza interiore sorprendente, contribuendo alla
giustizia, alla pace, al bene comune, spesso dando la loro stessa vita,
come Gesù di Nazaret. Rispetto all'impegno nella storia Gesù esorta a
vivere con una disponibilità piena e gratuita: “Quando avete fatto
tutto quello che vi è stato comandato, dite: “Siamo soltanto servitori.
Abbiamo fatto quel che dovevamo fare.” Quindi un protagonismo attivo e
positivo ma non per l’affermazione egocentrica del sé, bensì per il
bene comune; un impegno coinvolto e perseverante come se tutto
dipendesse da noi, con la consapevolezza di agire per rispondere alla
richiesta familiare, professionale, politica, religiosa, con umiltà,
coscienti di dare il nostro contributo positivo, quello che nessuno
potrebbe al nostro posto e nello stesso tempo che la storia procederà
anche senza di noi. Importante aver lasciato segni, semi buoni di
umanità.