Dire in latino “ Corpus Domini” in questa società probabilmente può significare “qualcosa” per le persone adulte e anziane, meno per i giovani se non per quelli che vivono un’esperienza ecclesiale piuttosto intensa, anche se per tutti resta aperta la questione della testimonianza coerente nella vita. Le solenni celebrazioni di un tempo certamente risentivano di una tradizione nata nel secolo XIV quando nella Chiesa cattolica c’è stata l’esigenza di ribadire con forza e costanza la presenza di Cristo nel Pane e nel Vino dell’Eucarestia.
La riflessione sull'Eucarestia non dovrebbe partire dal Pane e del Vino “consacrati”, bensì da tutta la vita di Gesù di Nazaret, dalla sua corporeità che comunica le parole e i gesti dell’amore incondizionato pieno di compassione, di attenzione, di ascolto; che diventa guarigione, perdono, salvezza, fiducia e incoraggiamento.
Il corpo di Cristo è la sua umanità che si dona… La sua presenza e il suo amore incondizionato provocano la reazione delle classi dirigenti, la critica crescente, fino all'opposizione, all'avversione, alla condanna a morte. Gesù celebra la Pasqua con i suoi discepoli, proprio nell'imminenza del suo arresto, del processo farsa, della tortura e della uccisione violenta sulla croce… Durante la cena spezza il pane e invita a mangiarne insieme, facendolo diventare sua presenza donata fino a dare la vita, fino a spargere il suo sangue. Le parole e i gesti di Gesù nella cena della Pasqua trovano attuazione veritiera nella sua passione e uccisione sulla croce. Il suo corpo è veramente dato e il suo sangue veramente versato, come conseguenza delle parole e dei gesti della sua vita. L’attenzione all'Eucarestia, alla presenza di Gesù nel Pane e nel Vino non devono diventare un devozionalismo staccato dalla vita, una adorazione che conferma una spiritualità individualista; invece la disponibilità interiore e poi la dedizione attiva, concreta di rapportare costantemente la presenza di Gesù nell'Eucarestia e la sua presenza in chi ha fame, sete; in chi è spogliato dei vestiti e della dignità; in chi è ammalato nel corpo, nella psiche, nell'anima; in chi è in carcere, in chi è straniero…”Ogni volta che avete fatto questo (con accoglienza, premura, autentica solidarietà) a uno dei fratelli, l’avete fatto a me.”
Il Vangelo di Giovanni (6, 51-58) riporta i passaggi conclusivi della lunga riflessione di Gesù a coloro che erano ritornati da lui perché ripetesse il segno dei pani e dei pesci condivisi da una moltitudine, Gesù dice di essere lui il pane vivo venuto dal cielo e che se qualcuno mangia di questo pane vivrà per sempre. Gli avversari obiettano che non è possibile che lui dia loro questo pane, il suo corpo e il suo sangue. E Gesù ripropone questa possibilità di mangiare il suo corpo e di bere il suo sangue per nutrire la vita e il suo significato profondo. L’obiezione è ben oltre la concretezza considerata possibile o impossibile; riguarda la disponibilità all'amore profondo, a vivere impegno, professioni, compiti, ruoli nella famiglia, nei luoghi di lavoro, nelle istituzioni, nella politica, nella Chiesa animati dall'amore. Credere che l’incontro con Gesù nutre questa disponibilità: questa è la sfida, la ricchezza, l’esperienza possibile.