Ci sono diverse esperienze nelle quali la partecipazione al dolore favorisce il superamento di indifferenze, diffidenze, sospetti, divisioni, inimicizie. In altre invece il dolore altrui lascia indifferenti, anzi, se si tratta ad esempio di morti e di feriti gravi nelle guerre, si arriva a vivere la supremazia, la superiorità, la vittoria sui nemici, in cui il dolore è conseguenza dell’avversione, parte dell’inimicizia.
Altre volte si tende a prendere a cuore o a sfumare il dolore fino ad essere indifferenti, a seconda del rapporto con le persone o a viverlo con un’intensità emotiva del momento che poi non ha seguito. Si potrebbe invece pensare che il dolore dell’altro in quanto dolore di una persona, dovrebbe comunque interpellarci e sollecitarci alla compassione, al prenderci a cuore, al prenderci cura.
Gesù si è diretto nel territorio di Tiro e di Sidone, considerato pagano, cioè abitato da gente lontana dalla fede del popolo ebraico. (Vangelo di Matteo 15, 21-28) Gesù è dovunque cercato da tante persone bisognose di attenzione, ascolto, perdono, guarigione, fiducia. Fra di loro si accosta a lui una donna che gli esprime, gridando, tutto il suo dolore, la sua stanchezza, il suo senso di impotenza riguardo a sua figlia “che sta molto male, perché uno spirito maligno la tormenta”. Chissà: forse un disturbo della personalità, un disagio profondo, una depressione, la chiusura in se stessa con il rifiuto delle relazioni, forse anche del cibo; comunque una condizione molto grave. Gesù non le risponde; pare indifferente, quasi che interrompa la sua continua compassione. I discepoli dicono al Maestro di mandarla a casa perché continua a venire dietro a loro gridando. Può essere un atteggiamento di difesa dal dolore, misto a quell'indifferenza di fronte alle situazioni tribolate e difficili, in realtà un rifiuto a coinvolgersi. Gesù pare rimarcare il suo atteggiamento dicendo di “essere stato mandato solo per le pecore perdute del popolo di Israele”. Probabilmente si tratta di accentuazioni redazionali per evidenziare ancor di più l’atteggiamento della donna e le successive parole profonde di Gesù.
La madre angosciata insiste ora in ginocchio e Gesù continua dicendo che “non è giusto prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini”, cioè ai pagani. E la donna gli dice che la tratti pure come vuole, anche così male, che lei può sentirsi come un cagnolino che sotto il tavolo mangia le briciole che cadono. “ Allora Gesù le dice: - O donna, davvero la tua fede è grande! Accada come tu vuoi”. E in quel momento sua figlia guarisce. Questo incontro fra Gesù e la madre ci insegna che la partecipazione al dolore, la condivisione, la disponibilità ad attenuarlo e guarirlo, per quanto e come è possibile, va oltre ogni pregiudizio, giudizio, differenza culturale e religiosa. L’insistenza angosciata della madre ha trovato risposta, la figlia è guarita anche perché la madre dall'incontro con Gesù ha ritrovato forza e fiducia per starle accanto.